sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Europa Rassegna Stampa
30.06.2004 Se l'ecumenismo è un occasione per attaccare Israele
il quotidiano della Margherita si dimostra subito interessato

Testata: Europa
Data: 30 giugno 2004
Pagina: 4
Autore: Aldo Maria Valli
Titolo: «Il dialogo ecumenico per vincere l'odio»
Su Europa di oggi a pagina 4 troviamo una cronaca dell'incontro ecumenico con i cardinali Martini e Tettamanzi svoltosi in questi giorni a Gerusalemme. I temi principali dell'incontro sono stati la situazione dei cristiani in Terra Santa e, in generale, del conflitto tra israeliani e palestinesi. Dall'articolo di Valli, che riporta le dichiarazioni del cardinal Martini, traspare l'idea che le uniche vittime del conflitto siano i palestinesi i quali "soffrono molto a causa dell'occupazione dei territori e della loro legittima aspirazione alla libertà e all'indipendenza". Quell'indipendenza che avrebbero potuto ottenere svariate volte nella storia del conflitto, ma che hanno rifiutato mai riconoscendo a Israele il diritto di esistere. Successivamente, per bocca del cardinal Tettamanzi, viene spiegato che, situazioni come quella del campo profughi di Deheishe, non possono far altro che generare violenza; tutto questo senza ricordare che i campi profughi vengono mantenuti in quelle condizioni da Arafat & co, con la benedizione dell'ONU, per essere usati come arma politica contro Israele. Come al solito il quotidiano della Margherita si dimostra fazioso, facendo leva su dichiarazioni di autorità politiche o religiose. Ecco il pezzo.
L’incontro avviene in una sede piuttosto anonima e in una cornice non certo adeguata: un seminterrato
del Novotel di Gerusalemme, davanti a un ascensore.
Ma per la Chiesa ambrosiana, e non solo, è un momento
importante ed emblematico: il cardinale Carlo Maria
Martini, che nella città santa ha deciso di vivere, abbraccia
il suo successore sulla cattedra di sant’Ambrogio,
il cardinale Dionigi Tettamanzi, in mezzo a una piccola
folla di pellegrini arrivati da Milano.
Fisicamente le differenze fra i due non potrebbero
essere più marcate: alto e ieratico Martini, tutt’altro che
prestante Tettamanzi. Diversi sono anche nel carattere
e nel modo di proporsi (il piemontese Martini, la cui timidezza
può essere scambiata per distacco, è sempre
un po’ in imbarazzo quando si tratta di manifestare i propri
sentimenti; il brianzolo Tettamanzi, spontaneo come
un buon parroco, si lascia avvicinare da tutti), ma
in questo caso differenze così marcate non fanno che
sottolineare l’eccezionalità dell’avvenimento: due epoche
della diocesi più grande del mondo si incontrano
nella terra di Gesù e da qui lanciano insieme un richiamo
al dovere della pace nel segno del dialogo ecumenico.
L’iniziativa, inedita, consiste in un cammino di pace
e di solidarietà, nei confronti di tutti i popoli della Terra
Santa, che vede impegnate undici diverse confessioni
cristiane (dai cattolici agli ortodossi, dagli evangelici
ai copti) sotto la guida del consiglio delle Chiese cristiane
della metropoli lombarda, organismo da tempo
attivo sul delicato fronte dell’ecumenismo. L’agenda è
ricca di incontri e di testimonianze, otto giorni improntati
soprattutto all’ascolto reciproco, con frequenti
incursioni nella realtà sociale e politica di questa terra
martoriata (come la visita alla Knesset, con esponenti
del governo e del parlamento israeliano, e quelle al campo
profughi palestinese di Deheishe a Betlemme, o al
villaggio della pace Nevè Shalom – Wahat as Salam). Un
modo concreto per sottolineare l’importanza della fede
religiosa nel costruire rapporti di convivenza pacifica,
non di odio.
Il cardinale Martini, che dopo più di vent’anni a Milano
ha scelto di vivere qui a Gerusalemme per dedicarsi
alla preghiera e agli amati studi biblici, spiega così il suo
atteggiamento mentale e il suo stato d’animo: «Il mio
incontro con Israele è caratterizzato dall’assenza di giudizi
e dal primato dell’intercessione. Negli ultimi decenni
la situazione di Israele nel quadro dei paesi arabi e soprattutto
in relazione ai palestinesi si è fatta così complessa,
dolorosa e intricata che anche per un competente
sarebbe quasi impossibile dare giudizi spassionati e oggettivi.
Io vi rinuncio per principio, perché voglio vivere
la mia presenza in Israele soprattutto come intercessione,
nel senso etimologico della parola: intercedere,
cioè camminare in mezzo, non inclinando né da una parte
né dall’altra, pregando ugualmente per tutti, per ottenere
grazie di pace e di riconciliazione».
Pochi giudizi, molto ascolto. Una filosofia che, tuttavia,
non impedisce all’ex arcivescovo di Milano di
usare parole taglienti a proposito della realtà palestinese:
«L’amore per Israele apre gli occhi anche all’amore
per tutte le situazioni presenti qui a Gerusalemme e in questa terra. Anzitutto per le situazioni del popolo palestinese,
che soffre molto a causa dell’occupazione dei
territori e della sua legittima aspirazione alla libertà e
all’indipendenza. È importante pregare perché ottenga
tutto ciò senza violenza alcuna. Non possiamo approvare
nessuna violenza, di nessuna matrice e di nessun
tipo, ma dobbiamo auspicare e sperare perché siano rimosse
le cause della violenza».
Una denuncia condivisa dal cardinale Tettamanzi,
che subito dopo la visita al campo profughi di Deheishe
(undicimila abitanti, la maggior parte bambini, costretti
in mezzo chilometro quadrato, in condizioni di vita degradanti,
una "fabbrica di odio" che ha già prodotto quattro
kamikaze) dice senza mezzi termini: «Questo campo
profughi è una testimonianza di come può essere violentemente
umiliata la dignità delle persone, eppure qui
ho incontrato persone fiere della propria dignità umana.
Mi tormenta una domanda: è un luogo vivibile questo?
È possibile vivere qui da uomini? È un terreno sul
quale si può seminare qualche germe di speranza oppure
gli unici semi che qui possono cadere sono quelli
della disperazione? Sono domande drammatiche perché
la disperazione può essere il terreno di coltura della
violenza».
Incominciato significativamente con la visita allo Yad
Vashem, il memoriale della shoah, dove il cardinale Dionigi
Tettamanzi si è raccolto in preghiera e ha deposto
fiori davanti alla fiamma che arde a ricordo dei milioni
di ebrei uccisi nei campi di sterminio, il cammino ecumenico
ha dedicato attenzione anche alla difficile situazione
dei cristiani di Terra Santa, minoranza sempre
più ridotta di numero (nella sola Betlemme negli ultimi
tre anni, con la seconda intifada, c’è stato un calo
verticale, 2-3 mila cristiani in meno su 120 mila abitanti,
secondo le stime dei frati della basilica della Natività) e
sempre più esposta alle conseguenze di una crisi economica
e occupazionale che sta strangolando molte famiglie.
Il parroco della Natività, padre Amjad Sabbara, ha
lo sguardo sereno dell’uomo di fede, ma le sue parole
non possono nascondere lo sconforto: «Il papa ha detto
che la Terra Santa ha bisogno di ponti, non di muri,
ma vediamo purtroppo che le risposte prevalenti, di fronte
alle difficoltà e ai pericoli, sono dettate dalla paura.
Il muro in costruzione anche qui, non lontano da noi,
è una risposta di paura, e come tale è destinata a provocare
altro odio, altro risentimento. Dobbiamo cambiare
questa logica, invertirla, e in questo i cristiani possono
avere un ruolo importante». Purché siano messi
nelle condizioni di restare.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Europa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.


lettere@europaquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT