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La Repubblica Rassegna Stampa
30.06.2004 Le domande tendenziose di Alberto Stabile
sbilanciano il Dossier Herzl

Testata: La Repubblica
Data: 30 giugno 2004
Pagina: 33
Autore: Benny Morris, Alberto Stabile, Abraham B. Yehoshua, Yorm Hazony, Maoz Azaryahu
Titolo: «Sionismo»
Benny Morris, Amos Oz, Maoz Azaryahu, Yoram Hazony ricordano e commentano
sia la figura di Teodoro Herzl nel centenario della sua morte prematura,
sia il significato della sua opera, il sionismo, che lo ha tramandato ai
posteri come la figura più significativa di un ideale che già da un secolo
era al centro dell' attenzione di un mondo ebraico attento a quanto avveniva
intorno a lui in Europa.
La costruzione degli stati nazionali, la rivendicazione di una patria, i
popoli che prendevano in mano il loro destino erano temi affascinanti per
"il" popolo che da quasi due millenni era senza patria, ma sapeva perfettamente
dove questa sua patria fosse. Là ed in nessun altro posto al mondo.
Eppure, ancora oggi Alberto Stabile, che intervista Yehoshua, non esita
a porre domande maligne collegando il sionismo , l'ideale di rinascita del
popolo perseguitato per antonomasia, a scelte politiche talora controverse
ed a problematiche che con quell' anelito poco hanno a che vedere.
Non solo, ma nella ricostruzione degli albori del sionismo e del suo significato
attuale manca, guarda caso, un tassello essenziale: il modo in cui il mondo
arabo e quello comunista hanno trasformato il nome "sionismo" in un feroce
insulto e ne hanno fatto un' arma per distruggere Israele, cioè il risultato
di quella lotta ideale e di quella rivendicazione di libertà.
Per molti anni le Nazioni Unite, dopo aver approvato in assemblea generale
una delibera che equiparava il sionismo al razzismo, sono state il luogo
privilegiato dell' antisemitismo e del tentativo di annientare Israele,
ed anche se oggi Kofi Annan ne chiede scusa e dichiara che si è trattato
di un episodio che disonora il consesso di cui egli è il segretario generale
nulla può cambiare quel che è successo, e quel che continua a succedere
nel Palazzo di Vetro anche dopo la morte del comunismo. L' impossibilità
di ottenere una condanna del terrorismo palestinese, come lo fu in passato
la condanna formale da parte dell' assemblea generale che sanzionò la firma
del trattato di pace fra Egitto ed Israele, non è che un segnale del profondo
malessere morale, ancor più che politico, che si vive in quel consesso.
Che oggi, tre anni dopo la vergogna del convegno di Durban che nel nome
delle Nazioni Unite legittimò l' antisemitismo, l' antisemitismo sia discusso
analizzato e condannato in quel palazzo può segnare un rinsavimento: ma
questo tardivo ammettere almeno che l' antisemitismo esiste non cancella
la responsabilità dell' ONU nel tentativo di sradicamento di quel sionismo
che si celebra ma del quale si mette in discussione la ragion d'essere.

"Le radici dello Stato ebraico"
di Benny Morris

Quando nel 1896 Theodor Herzl, fondatore del sionismo politico, pubblicò Der
Judenstaat (Lo Stato ebraico) ritenne di aver gettato le premesse per la
soluzione del "problema ebraico" che aveva assillato l´Europa sin
dall´espulsione dalla Giudea/Palestina degli ebrei ad opera dei romani nel
primo e nel secondo secolo. Herzl era profondamente preoccupato per l´ondata
di antisemitismo scatenatasi in Francia in seguito all´affare Dreyfuss («A
morte gli ebrei!» urlava la folla per le strade di Parigi) e dai pogrom che
periodicamente si abbattevano sull´impero russo ed era giunto alla
conclusione che gli ebrei non potevano più considerarsi al sicuro in Europa:
la società cristiana inevitabilmente avrebbe degradato, ucciso o scacciato
gli ebrei. Al pari di molti intellettuali ebrei europei della fin-de-siécle,
anche Herzl sentiva che quella tragica fatalità - l´Olocausto - stava per
abbattersi su di loro.
La salvezza poteva trovarsi nella creazione di uno "Stato ebraico" sovrano,
nel quale gli ebrei sarebbero emigrati in massa. Egli procedette dunque a
radunare attorno a sé i gruppi sionisti che già esistevano in embrione in
Europa e diede vita all´ "Organizzazione Sionista" che mezzo secolo dopo
fondò lo Stato di Israele. Herzl morì, in miseria e in solitudine, nel 1904,
ma nel 1897, sullo sfondo della riunione del primo congresso sionista a
Basilea, in Svizzera, dove l´Organizzazione Sionista fu fondata e dove si
decise che suo obiettivo doveva essere la fondazione di uno Stato, egli così
annotò nel suo diario: «A Basilea ho fondato lo Stato ebraico... forse tra
cinque anni, sicuramente tra cinquanta, tutti se ne renderanno conto».
Sbagliò di un anno soltanto: Israele fu fondato il 14 maggio 1948.
Herzl aveva sperato di fondare uno Stato ebraico grazie a un´opera di
patrocinio, quantunque lautamente ripagata, dall´Impero Ottomano, che
all´epoca governava la Palestina, o con un´azione di forza maggiore da parte
delle Grandi Potenze - Gran Bretagna, Germania, Francia - che avrebbero
piegato i turchi al loro volere. Herzl pose fine al lavoro dei "sionisti
pratici" che comperavano appezzamenti di terreno in Palestina, un acro qui e
un acro là, e inviavano in quella terra sterile dei gruppetti di coloni a
fondare dei piccoli insediamenti ebraici in mezzo alla poco accogliente
popolazione indigena araba. Il sistema era troppo modesto e troppo lento,
dichiarò. Gli ebrei europei avevano bisogno di un rifugio sicuro molto più
rapidamente. Lo Stato doveva essere istituito immediatamente, non tramite un
lento processo evolutivo.
Come poi risultò, Herzl aveva avuto torto e ragione al tempo stesso: la
fondazione di uno stato ebraico richiese effettivamente delle sanzioni
internazionali e aiuto - prima da parte dell´impero inglese con la
dichiarazione di Balfour del 1917 e il successivo mandato, in seguito dalla
comunità internazionale tutta, tramite la risoluzione 181 del 29 novembre
1947 dell´assemblea generale delle Nazioni Unite (che raccomandò la
creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo palestinese in una
Palestina ripartita). E senza alcun dubbio nel corso dei decenni il
contributo finanziario, politico e militare occidentale - essenzialmente
americano, ma anche talora francese e tedesco - contribuì a garantire
l´esistenza di Israele nel tempo. Herzl però si era sbagliato in merito al
significato del Sionismo pratico. Senza dubbio fu l´emergente rete di
insediamenti e di infrastrutture ebraiche di autogoverno e di autodifesa ad
aprire la strada sia alla vittoria di Israele nei confronti degli aggressori
palestinesi e degli eserciti arabi stranieri nel 1948, sia la tempestiva
trasformazione da comunità di minoranza a entità statale vera e propria.
In che cos´altro sbagliò il Profeta del Sionismo? Beh, se Herzl fosse
vissuto fino al 2004 non sarebbe stato in grado di colloquiare con quasi
nessun israeliano. Soltanto una esigua minoranza di loro, infatti, conosce
il tedesco o il francese, le lingue parlate da Herzl. Non parlava l´ebraico
(o Yddish), non avrebbe mai immaginato che l´ebraico sarebbe stato
resuscitato e sarebbe stato comunemente parlato, e che la cultura
israeliana, con tutta la sua profusione di scrittori, artisti, scienziati e
studiosi, sarebbe stata una cultura ebraica. Ma di fatto in relazione alla
forma di governo presagita ciò che pensò fu più giusto che sbagliato. È
vero, liberale illuminato e non credente, egli si era augurato di escludere
la religione dal regno della politica e aveva auspicato e predetto una
separazione assoluta tra Stato e Sinagoga, come nella Francia repubblicana.
Herzl si sarebbe senza dubbio sbalordito di assistere alla nascita in
Israele di forti partiti religiosi, guidati da rabbini superstiziosi e
ignoranti. Ma, detto ciò, Israele non è una teocrazia: era e rimane una
rigogliosa democrazia di più fazioni, con una pletora di partiti laici
dominanti. Forse, per quanto sbalordito, Herzl ciò non di meno si sarebbe
sentito a casa sua.
Herzl, specialmente nel suo secondo libro, Altneuland (La terra vecchia e
nuova) del 1902, un racconto utopista ambientato in Palestina nel 1923,
aveva presagito l´affermarsi dello stato ebraico come l´ultimo avamposto
europeo in Medio Oriente. E Israele era e rimane proprio questo. Ecco perché
Israele è così profondamente odiato dal mondo islamico che lo circonda: il
mondo arabo considera Israele un alieno, un innesto europeo nel cuore del
mondo arabo, e aborre i valori che esso incarna, l´apertura intellettuale,
la (relativa) tolleranza del prossimo (nella vicina Giordania, un ebreo non
può per legge essere un cittadino a tutti gli effetti), la sua libertà
politica, l´uguaglianza tra i sessi (nella confinante Arabia Saudita le
donne non possono guidare la macchina né votare), la libertà sessuale (in
Egitto gli omosessuali vanno in prigione). Da questo punto di vista, per
come la vedono Hamas o la Jihad islamica, Israele pur non facendo nulla,
semplicemente essendo ciò che è, costituisce una grave minaccia per i loro
costumi e per il loro stile di vita.
Questo ci porta all´errore di previsione più importante commesso da Herzl,
quello del "problema arabo" di Israele. Herzl aveva vissuto in un´epoca
anteriore alla nascita dei movimenti nazionalisti del Terzo Mondo, e
anteriore alla nascita del nazionalismo arabo. In realtà Herzl travisò la
natura del nazionalismo moderno - che colloca l´auto-determinazione
nazionale (anche se quell´auto-determinazione è spesso incarnata da governi
dispotici) al di sopra di tutto il resto (benefici materiali, arricchimento
culturale), e soprattutto aborre il dominio da parte di estranei - e non
previde l´esplosione demografica che la combinazione di scienza occidentale,
interessi politici e proibizioni islamiche concernenti il controllo delle
nascite avrebbe portato nel mondo arabo islamico. Quando Herzl nel 1898
aveva visitato la Palestina, il paese era abitato da circa mezzo milione di
arabi e circa 50.000 ebrei. Oggi esso conta oltre quattro milioni di arabi
(insieme a cinque milioni di ebrei, gran parte dei quali sono immigrati
dall´Europa, dall´Asia e dal Nord Africa). Questi arabi insultano Israele e
inneggiano alla sua fine, come del resto fa gran parte del circostante mondo
arabo, che continua a confutare la legittimità stessa del Sionismo e di
Israele.
Nei suoi scritti Herzl diede scarsa importanza al "problema arabo": anzi,
pare che non lo considerasse affatto un problema. Diede per scontato che
provocare lo spostamento di una popolazione dalla Palestina alla
Cisgiordania o alla Siria non avrebbe dato adito ad alcun grande problema o
trauma: gli arabi si sarebbero semplicemente spostati da una zona della loro
«patria» araba ad un´altra. Inoltre Herzl mancò completamente di considerare

la reazione alla nascita in mezzo a loro di uno Stato ebraico da parte delle
circostanti società arabe (in Siria, in Egitto e in Iraq).
Il che ci riporta alle origine stesse del sionismo: Herzl aveva auspicato la
nascita di uno Stato ebraico che potesse costituire un rifugio sicuro per le
comunità ebraiche perseguitate e minacciate in tutto il mondo. In una parola
aveva sperato di salvarle. Ma paradossalmente il conflitto arabo-israeliano
e, più recentemente e specificatamente, l´attuale guerra israelo-palestinese
ha innescato in Europa una nuova ondata di antisemitismo, quantunque questa
volta non sia più caldeggiata dai cristiani, ma dalle comunità musulmane del
continente. Al tempo stesso il Sionismo, pur creando la più potente comunità
ebraica della Storia, ha creato uno Stato che è il più vulnerabile e
minacciato del mondo. In effetti, l´odio incessante del mondo arabo
musulmano per Israele, nonché gli sforzi islamici (vedi Iran) per entrare in
possesso di armi di distruzione di massa, mettono a repentaglio l´esistenza
stessa di Israele. Herzl, senza dubbio, avrebbe apprezzato l´ironia e la
tristezza di una simile evoluzione.
Traduzione di Anna Bissanti
"Se un popolo corre verso un'utopia"
di Alberto Stabile

Cento anni dopo la morte di Theodor Herzl, si può dire che il suo programma
abbia raggiunto il suo scopo: lo Stato d´Israele esiste.
Abraham B. Yehoshua, il sionismo ha ancora un ruolo da svolgere?
«Solo per il fatto che abbiamo la Legge del Ritorno. Questo paese deve
rimanere un punto di attrazione per gli ebrei di tutto il mondo affinché
possano normalizzare la loro esistenza».
Se dovesse dare uno sguardo critico al sionismo, in quanto strumento
politico per la creazione dello Stato Ebraico, quali errori potrebbe trovare
e correggere?
«Direi che l´errore non è del sionismo, bensì del Popolo Ebraico. Sionismo è
solo il nome della medicina. Il problema è il paziente. Il sionismo è solo
l´idea su come restituire la normalità al popolo. Naturalmente vedo alcuni
errori commessi dalla leadership del Movimento sionista. Ad esempio, vedo un
errore in quanto accadde negli anni ´20 del secolo scorso: volevano
costruire anche una nuova società ed hanno concentrato troppa attenzione
sulla natura del futuro Stato, senza preoccuparsi del fatto che era
necessario portare quanti più ebrei fosse possibile. Quando la sinistra,
negli anni ´20 parlava della creazione di uno Stato che fosse socialista
provocò una forma di riluttanza nella piccola borghesia, negli ebrei della
Diaspora, che erano soprattutto commercianti e che si spaventarono all´idea
di venire in Eretz Israel e di perdere i loro soldi, assoggettandosi ad un
regime socialista. Così è stata perduta l´occasione di farli venire al più
presto».
Non pensa che l´aver sin dall´inizio ignorato le aspirazioni nazionali della
popolazione araba, che a quel tempo abitava nella regione, abbia portato la
leadership sionista a scegliere la via del confronto militare, che dura
tuttora, invece che quella di un processo politico con l´obiettivo di
arrivare ad un accordo?
«Ritengo che fino al 1948 non vi fosse scelta. Gli arabi erano contro e
questo è naturale, ogni altra popolazione sarebbe stata contro
l´immigrazione degli ebrei. Soprattutto se si paragonano i numeri della
popolazione araba e di quella ebraica nel 1917, al momento della
Dichiarazione Balfour. Il numero degli arabi in Palestina era di 550.000,
mentre quello degli ebrei nel mondo era di 18 milioni. Quindi si sono detti
che se agli ebrei fosse stato permesso di venire liberamente, immediatamente
li avrebbero superati di numero, assicurandosi il controllo di tutto il
territorio. La loro opposizione era quindi naturale. Il problema con gli
arabi ed i palestinesi era che essi erano decisi a combattere e non hanno
accettato compromessi fino a quando non è stato troppo tardi. I sionisti
hanno offerto molti compromessi, all´inizio, soprattutto perché negli anni
´20 pensavano: "Dov´è il problema? Verremo qui, saremo sei-sette milioni,
daremo immediatamente la cittadinanza a tutti gli arabi" e, nella visione
herzeliana dello Stato Ebraico, non ci sarebbero stati più problemi. Penso
che i sionisti non abbiano visto il problema arabo perché da un lato
pensavano che in ogni caso sarebbe stato risolto dal loro numero
sovrastante, e dall´altro, se l´avessero visto, sarebbero giunti alla
conclusione che avrebbero dovuto ritirarsi. Quindi hanno preferito chiudere
gli occhi. Dopo il ´48, dopo la fondazione dello Stato, non penso che gli
arabi fossero disposti al compromesso. L´errore più grave è stato commesso
dopo il ´67, la Guerra dei Sei Giorni, ma questo non ha nulla a che fare con
il Sionismo. Si tratta della politica dello Stato d´Israele».
Nella dottrina revisionista di Vladimir Jabotinsky, però, vi era l´idea di
questo confronto nelle relazioni fra lo Stato Ebraico e gli arabi:
Jabotinsky parla di una «muraglia di ferro».
«Certo, questa era la sua idea, in quanto leader, ma non ha nulla che fare
con il sionismo. Prima di tutto non è mai stato il leader perché si è sempre
trovato all´opposizione, ma ha avvertito che il confronto ci sarebbe stato e
che bisognava prepararvisi, perché, a suo parere, non vi era altra scelta.
Comprendendo l´opposizione degli arabi, i leader della comunità ebraica in
Palestina pensavano all´inevitabilità del confronto e tentavano di posporlo,
perché si rendevano conto di non essere sufficientemente forti e di
dipendere dagli inglesi. Se qui non fossero arrivati gli inglesi, anche il
sionismo non avrebbe potuto arrivarci. Gli arabi li avrebbero respinti
immediatamente».
Non crede che la barriera difensiva che si sta costruendo ora sia la
realizzazione concreta della «muraglia di ferro» auspicata da Jabotinsky
ottant´anni fa?
«No, la muraglia difensiva era una metafora di come gli ebrei avrebbero
dovuto porsi e resistere di fronte agli arabi, ma dopo avere dato loro tutti
i diritti. Jabotinsky vedeva un popolo di 18 milioni di persone, non ha
visto l´Olocausto (morì nel 1940). Pensava che milioni di ebrei sarebbero
venuti, gli arabi sarebbero stati all´opposizione, e noi avremmo dovuto
porci nei loro confronti come una muraglia di ferro, ma alla fine gli arabi
avrebbero avuto pieni diritti di cittadinanza. Quello che è successo, in
primo luogo, è che gli ebrei non sono venuti, poi c´è stato l´Olocausto e
quindi i termini del problema sono cambiati: nel senso che non potevamo più
superare numericamente gli arabi e quindi non potevamo dare la cittadinanza
alla maggioranza degli arabi che erano qui. I fatti di oggi sono in parte
conseguenza dell´occupazione e degli errori commessi da Israele. Se la
barriera fosse sulle linee del ?67, sarebbe una buona cosa, sia per noi che
per i palestinesi, perché ridurrebbe il terrorismo».
Non pensa che il sionismo abbia fallito laddove predicava la pace tra
Israele e i suoi vicini arabi?
«Vorrei essere chiaro. Il sionismo è solo il fatto di portare qui il Popolo
Ebraico. Quello che gli ebrei avrebbero fatto qui è un´altra cosa. Ogni
paese ha i suoi partiti, le sue ideologie e le sue numerose concezioni della
politica. Ciò non ha nulla a che fare con il sionismo. Il sionismo dice
semplicemente che si deve normalizzare la situazione degli ebrei, portando
il popolo a vivere sul suo territorio. Le altre cose sono politica,
ideologia ed esistono in ogni altro paese del mondo».
Che cosa risponde a quegli intellettuali e politici, come Abraham Burg, che
lo scorso anno ha proclamato in un suo articolo la morte del sionismo a
causa della decadenza morale della classe politica israeliana?
«L´ho incontrato e gli ho detto che non aveva capito cos´era il sionismo.
Non ha capito ed ha parlato solo delle sue frustrazioni politiche, ha
criticato lo Stato ed il governo di Israele, pensando di parlare di
sionismo. E´ come se in Italia qualcuno criticasse la politica di
Berlusconi, affermando che perciò l´Italia è morta. O che il Risorgimento ha
fallito perché Berlusconi sta facendo questa o quella cosa. O che l´unità
d´Italia è stata una tragedia, perché in Sicilia c´è la mafia. Ho detto e
ripetuto che il sionismo non è una politica, bensì la cura ad una certa
malattia ebraica. Ciò che gli ebrei fanno con lo Stato è una questione
aperta. Una volta le cose vanno così una volta cosà. Sharon ha messo gli
insediamenti a Gaza ed ora li toglie. Si tratta di scelte politiche che non
hanno nulla a che vedere con il sionismo».
Nonostante che l´esistenza dello Stato d´Israele sia un fatto compiuto, la
profonda natura religiosa di questo tipo di stato sembra non rispondere alle
esigenze di una società moderna, multietnica e multireligiosa. Lei stesso
nel suo ultimo libro si augura che Israele possa diventare in futuro una
società più aperta. Oggi però sembra accadere l´opposto, con la crescente
pressione dei partiti nazionalisti e religiosi, che non vorrebbero nemmeno
che l´esercito si ritirasse da Gaza. Che cosa ne pensa?
«Lo Stato non è religioso, lo Stato è guidato dal parlamento, che può
decidere. Nel parlamento vi sono, ovviamente persone religiose, che hanno
opinioni diverse l´una dall´altra. Lo Stato deve essere governato dal popolo
e non da Dio, o da una qualsiasi altra autorità, se non dalla volontà del
popolo stesso. Questo è quello che succede in ogni altro paese democratico
del mondo e noi facciamo parte di questa categoria. Quindi, coloro che si
oppongono al ritiro da Gaza, parlano come i coloni francesi in Algeria, che
anche lì si opposero. Non c´entra con il sionismo. E se il governo francese
ha imposto l´evacuazione ai coloni francesi in Algeria, questo è ciò che
faremo noi con i nostri coloni».
"Così l'Europa napoleonica creò l'ebreo come diverso"
di Yoram Hazony

Theodor Herzl si ripropose di farsi un nome come artefice della civiltà
tedesca e figlio dell´Austria tedesca. In questo egli trovò una vocazione
nobile, esaltante, interessante, alla quale avrebbe probabilmente dedicato
la sua vita intera se non avesse compreso quello che tutto il mondo avrebbe
capito cinquanta anni dopo: che la libertà non aveva portato gli ebrei
europei all´inizio di una nuova vita, ma alla sua fine. A mano a mano che
negli anni seguenti si andò dipanando lo scandalo Dreyfus, Herzl vide
confermata la sua intuizione iniziale: l´ufficiale di artiglieria ebreo era
di fatto innocente. La colpa, piuttosto, era da imputare all´accordo
concluso con Napoleone (che, in occasione dell´emancipazione degli ebrei in
Francia, non accettava la loro esistenza quale nazione, n.d.r.), che aveva
escluso l´eventualità di una nuova identità per gli appartenenti all´antico
popolo ebraico.
Gli ebrei d´Europa si erano battuti quasi cento anni per essere in grado di
rispettare quell´accordo. Eppure, nonostante tutti i miglioramenti che
avevano apportato al loro comportamento e ai loro principi, l´accordo di
emancipazione non era stato rispettato. Così scrisse in proposito Herzl:
«Dreyfus è soltanto un´astrazione ora. Egli è l´ebreo in una società moderna
che ha cercato di adattarsi al suo ambiente, che ne parla la lingua, ne ha
fatti suoi i pensieri, ne cuce i simboli alla propria tunica - e a cui quei
gradi sono stati strappati con la forza. Dreyfus rappresenta una posizione
per la quale si è combattuto, per la quale ancora si combatte e - non
illudiamoci - che è andata sprecata».
La soluzione di Herzl fu quella di un «ritorno all´ebraismo», di reclamare
quello che Napoleone aveva strappato agli ebrei con la forza della spada: la
loro identità di popolo, il sogno di ricostruire un loro Stato. Questo è il
significato di quelle che forse sono le parole più celebri de Lo Stato
Ebraico, che oggi afferriamo così prontamente e che suonarono come una vera

empietà alle orecchie degli ebrei suoi contemporanei: «Noi siamo un popolo,
un solo popolo». Gran parte degli ebrei cui erano dirette quelle parole si
rifiutarono categoricamente di ascoltarle, rispondendo alla crescente marea
dell´antisemitismo con la decisione di diventare sempre più forti
sostenitori dei movimenti socialisti che promettevano di portare la libertà
spogliando i tedeschi - e tutti gli altri popoli - dei loro interessi e dei
loro sogni, proprio come gli ebrei erano stati privati dei loro. Herzl, che
a sua volta aveva accarezzato questi stessi concetti, fu tra i primi a
mettere in guardia che il sogno di far inaridire gli Stati e le nazioni si
basava su una visione alterata della realtà. «Potremmo dire... che non si
dovrebbero creare nuove distinzioni tra i popoli, che dovremmo cercare di
non erigere nuove barriere, bensì di far scomparire quelle che già vi sono.
Ritengo che chi pensa in questo modo è un affascinante sentimentale, ma
l´idea di patria continuerà a espandersi, ben dopo che la polvere delle loro
ossa sarà stata soffiata via senza che ne rimanga più traccia».
(traduzione di Anna Bissanti)
"Quella scommessa chiamata Israele"
di Maoz Azaryahu

La storia del sionismo è racchiusa al meglio nelle foto e nelle lettere che
documentano i suoi primi successi, la creazione di una nuova vita ebraica
nella vecchia patria ebraica. I matrimoni e le escursioni, i bagni in mare e
i bambini a scuola dimostrano la misura in cui il Sionismo ruppe gli usuali
schemi della vita ordinaria. Lo stesso vale per le lettere, nelle quali la
gente si raccontò gioie e dolori, pensieri e aspirazioni. Il sionismo
riguarda una visione e il successo del sionismo è quanto mai evidente nella
creazione di una nuova vita ebraica in Israele.
In anni recenti, oltre alla spietata campagna militare-terroristica contro
di esso, è la legittimità stessa di Israele ad essersi venuta a trovare
sotto attacco ideologico. Questo attacco assume molteplici forme, ma
essenzialmente si presenta con pretesti ipocriti e moraleggianti che hanno
scarsa attinenza con la realtà e che spesso smentiscono addirittura la
Storia. Questo attacco è stato una sorpresa per coloro che sottovalutano la
misura dell´odio indirizzato contro lo Stato ebraico. Questa situazione ha
indotto un gruppo di intellettuali israeliani a fondare Metom, un centro
indipendente di ricerca e documentazione dedito allo studio della dimensione
culturale del sionismo, con un´attenzione particolare alla cultura popolare
e ai modelli della vita contemporanea. La priorità assoluta del Metom è la
documentazione: suo scopo è quello di raccogliere e rendere accessibili le
foto e le lettere della gente comune, la cui vita entrò a far parte di una
delle più grandi avventure del ventesimo secolo: il ritorno degli ebrei
nella Storia non più come vittime - ruolo che era diventato loro consueto -
bensì come nazione indipendente, libera e democratica.
Metom non si interessa alla nostalgia per i tempi andati, ma dà una riposta
alla necessità di comprendere da una nuova prospettiva la storia collettiva
del sionismo, una storia che è ancora in corso di evoluzione. In ebraico
Metom significa unità, forza. L´idea che sta dietro questo centro è
abbastanza semplice: attirare l´attenzione su quello che con ogni
probabilità è il successo più grande del sionismo, l´aver fatto nascere e
sviluppare uno stile di vita precipuamente israeliano, che si manifesta
nella sua cultura popolare e nelle sue consuetudini di vita quotidiane.
Oltre alla documentazione, ai libri e alle conferenze, il nostro centro
vuole rafforzare gli ideali e le idee che hanno reso il sionismo un simile
straordinario successo. Poiché lo Stato ebraico è ora diventato l´ebreo tra
le nazioni, poiché la calunnia ha ora preso il sopravvento sul dibattito
sincero, e poiché la verità ha ceduto il passo all´odio e all´invidia, il
compito del Metom si è fatto quanto mai urgente.
Il centro di documentazione è stato fondato per aiutare e difendere le
premesse culturali di un Israele sovrano, libero e democratico e punta a
enfatizzare i principi morali della nazione ebraica e della democrazia
israeliana: suo scopo è quello di influenzare un dibattito essenzialmente
dominato da distorsioni spesso molto ciniche della realtà e dai falsi
presupposti dell´antisionismo e dei cliché ipermoraleggianti che perpetuano
gli antichi stereotipi antisemiti e i pregiudizi anti-israeliani.
Nella sua autobiografia George Steiner annotò che «Israele è un miracolo
fondamentale: la sua creazione, il modo in cui resiste contro ogni scommessa
militare e geopolitica, i suoi successi civili, annientano qualsiasi
ragionevole aspettativa». Scopo principale di Metom è anche quello di
attirare l´attenzione sul vero Israele: al contrario di quanto si pensa
comunemente in Europa, Israele non è un semplice aspetto del conflitto
ebraico-arabo. Al contrario: il conflitto non è che un aspetto, quantunque
molto importante, di Israele. Il vero Israele è un paese nel quale
l´aspettativa di vita è tra le più alte al mondo. Sebbene fondato da
rifugiati e tuttora impegnato in una battaglia per la propria esistenza,
Israele si è costituito quale isola di ricchezza e di libertà in un oceano
di povertà e di oppressione. E´ una società dinamica e aperta. Circondato da
dittature ostili, Israele è una democrazia viva, nella quale domina il
rispetto della legge. E infine, cosa di non poco conto, Israele rappresenta
anche la continuità ebraica in termini di cultura ebraica condivisa e di
fiorente lezione ebraica.
Metom è stato fondato a partire dalla semplice considerazione che il
sionismo e i suoi successi rappresentano una delle più grandi vittorie del
ventesimo secolo. La rivoluzione sionista riuscì laddove molte altre
rivoluzioni avevano miseramente fallito: trasformare una visione profetica
in un aspetto più che incontrovertibile della vita quotidiana. Il paradosso
è che il successo di una visione implica che essa, prima o poi, diventi
obsoleta. I fondatori del Metom sostengono che un secolo dopo la morte di
Herzl, colui che ebbe la visione del sionismo, è tornato il momento di
ribadire le idee e i valori che fecero di esso un simile successo
fenomenale.
(traduzione di Anna Bissanti)
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