Cento anni fa moriva Theodor Herzl ritratto del fondatore del sionismo e di un idea che ha cambiato la storia
Testata: La Stampa Data: 29 giugno 2004 Pagina: 28 Autore: Avraham B. Yehoshua Titolo: «Herzl, un sogno chiamato Israele»
Nel centenario della morte, un ritratto di Theodor Herzl, fondatore del sionismo, tracciato dallo scrittore israeliano. Che non ne ripercorre la biografia, ma cerca di cogliere il significato storico del suo pensiero e della sua opera. Mostrandone l'influenza decisiva e spiegando, con chiarezza e rigore logico, perchè lo Stato di Israele costituisce anche, oltre che il riconosmento dei diritti nazionali del popolo ebraico, una risposta necessaria all'antisemitismo e alle persecuzioni. Fino a che punto i processi storici dipendono dalla personalità di questo o di quel personaggio? È una domanda che molti si sono posti e le risposte sono varie e complesse. C'è chi attribuisce un'enorme importanza alle personalità storiche, senza le quali determinati eventi non avrebbero avuto luogo, e c'è chi le ritiene un elemento importante ma non indispensabile allo sviluppo dei processi storici. La seconda guerra mondiale si sarebbe svolta in modo diverso se a capo del governo britannico non ci fosse stato un personaggio così assertivo e combattente come Winston Churchill ma qualcuno di più conciliante e irresoluto? Secondo il mio punto di vista, per quanto il governo Churchill fosse importante nella conduzione della guerra, le forze alleate avrebbero sconfitto in ogni caso la Germania e la vittoria sarebbe stata assicurata. Se Charles de Gaulle non avesse gestito con perizia il ritiro della Francia dall'Algeria, quest'ultima sarebbe ancora oggi sotto il suo controllo? Ovviamente no. Dubito però che lo stato di Israele esisterebbe oggi se non fosse comparso negli anni ottanta del diciannovesimo secolo un giovane intellettuale di nome Theodor Herzl che non solo concepì la creazione di uno stato ebraico, ma si sforzò di realizzarla, ponendo le basi organizzative per un nuovo movimento: il movimento sionista. È vero, forse col tempo altri personaggi sarebbero apparsi sulla scena della storia per proclamare l'urgenza di normalizzare la situazione del popolo ebreo con la creazione di un suo stato sovrano. Ma quell'unica occasione storica, quello spiraglio apertosi tra il colonialismo turco e quello inglese all'inizio del ventesimo secolo e prima del risveglio nazionale palestinese, sarebbe stata mancata se Herzl non fosse esistito. E tutte le encomiabili idee di altri intellettuali sarebbero rimaste solo sulla carta. Molte biografie sono state scritte su Herzl e non voglio ripetere qui la storia della sua breve vita (1860-1904). Al di là di ciò che fece per il suo popolo egli rappresenta un esempio universale della capacità di un unico intellettuale di cambiare i processi storici. Herzl creò il movimento sionista dal nulla, senza basarsi su alcuna organizzazione o senza essere legato ad alcuna comunità. È quasi impossibile che un simile evento si verifichi nel mondo moderno, tanto incatenato a schemi globali complessi. Ma può ancora dimostrare la forza del singolo. Qual era il segreto di questo giovane giornalista che all'età di trentaquattro anni trovò il perno su cui appoggiarsi per cambiare la storia ebraica? Herzl era un ebreo laico e assimilato. Conosceva profondamente il mondo dei gentili e ciò gli permise di diagnosticare con precisa e profonda comprensione un fenomeno patologico che si andava rafforzando tra il mondo ebreo e quello gentile. Una comprensione che altri ebrei, chiusi nel loro mondo - rabbini, leader di comunità o altri ancora - non possedevano. E così, in seguito alla falsa accusa di tradimento nei confronti di Alfred Dreyfuss, ufficiale ebreo assimilato, e della reazione antisemita che si scatenò in molti ambienti della Parigi e della Francia del 1894, Herzl capì che i movimenti nazionalisti, laici e moderni, rappresentavano un pericolo per il popolo ebreo molto più grande delle teologie del cristianesimo. Questo perché la figura dell'ebreo assimilato, personaggio dai contorni poco chiari, può risvegliare nella mente dei gentili fantasie omicide, in grado di provocare grandi tragedie. Non bastava perciò educare i gentili europei a valori di liberalità e tolleranza ma era necessario allontanare gli ebrei da un'interazione pericolosa con loro e normalizzarne la situazione mediante la creazione di una realtà ebraica territoriale e sovrana. Non solo quindi continuare a educare il non ebreo ma soprattutto cambiare l'ebreo. Herzl capì, e questo va detto a suo merito, che la questione ebraica, o come veniva definita dai sionisti stessi, il «problema» ebraico, non riguardava solo gli israeliti ma il mondo intero. L'antisemitismo infatti rappresenta una tragedia anche per i popoli in mezzo ai quali gli ebrei vivono, e un chiaro esempio di ciò lo si è avuto durante la seconda guerra mondiale, quando la Germania portò su di sé un’immane catastrofe per via della sua ossessione antisemita. Il mondo doveva dunque collaborare con gli ebrei per raggiungere uno scopo grande e comune: correggere il problema ebraico e trasformare gli israeliti da popolo disperso e esiliato in una nazione sovrana con un proprio territorio. Da qui l'impegno di Herzl - nel corso dei pochi anni in cui servì come leader del movimento sionista - nel cercare di ottenere l'approvazione della comunità internazionale a un insediamento ebraico in Palestina e nel porre il problema ebraico nell'agenda europea. Egli corse dal kaiser tedesco al sultano turco, da esponenti politici inglesi al Papa, e in virtù del suo fascino personale, della sua conoscenza delle lingue e della sua comprensione della politica europea, riuscì a ottenere, con sforzi sovrumani, dei primi risultati che portarono, nel 1917, tredici anni dopo la sua morte, alla pubblicazione della dichiarazione Balfour, un documento che concedeva legittimazione alla creazione di un entità nazionale ebraica in Palestina. Tale concessione venne ratificata nel 1947 dalle Nazioni Unite. A quel tempo, dopo la scoperta degli orrori della Shoà e dagli abissi di odio nei cuori dei gentili, il mondo capì che il problema ebraico riguardava tutti e con una rara azione comune il blocco comunista e quello occidentale si accordarono, al culmine della guerra fredda, per dividere la Palestina in due stati: palestinese ed ebreo. Il successo di Herzl nel mettere in moto un intero movimento era anche legato al fatto che egli non dovette sottostare alla scelta del popolo ebreo. E questo si può dire di tutto il movimento sionista ai suoi albori. È forse infatti l'unico movimento rivoluzionario che non agì all'interno del popolo che cercava di condurre su una nuova via. I sionisti diedero vita a una nuova realtà in una terra deserta, lontana dalla realtà ebraica del tempo, e per giungere alla quale non avevano bisogno dell'approvazione dei loro connazionali. Se Herzl e il movimento sionista avessero dovuto prendere parte a elezioni generali all'interno delle comunità ebraiche degli inizi del ventesimo secolo, avrebbero forse ottenuto il dieci, il quindici per cento dei voti. Ma per loro fortuna, e per quella dello stato di Israele, tale approvazione non fu loro necessaria. E così come Herzl fu sulle prime un cavaliere solitario, così i sionisti giunti nella Terra d'Israele nei primi anni del ventesimo secolo furono rivoluzionari solitari che posero le basi per il popolo che li avrebbe seguiti. Come ebreo laico e assimilato, profano della lingua e della cultura ebraica, Herzl possedeva anche una certa misura di ingenuità nei confronti del popolo che voleva guidare. Pensava che nel momento in cui avesse spiegato agli israeliti, in modo logico, la necessità esistenziale e morale di normalizzare la loro vita, costoro gli avrebbero prestato ascolto. Non capiva quanto profondamente fosse radicata in loro l'esperienza della diaspora. E quanto sarebbe stato difficile convincerli a compiere il passo che li avrebbe portati a condurre una vita normale in un loro territorio sovrano. Herzl morì relativamente giovane, all'età di quarantaquattro anni, e non ebbe il tempo di sperimentare delusioni e conflitti interni al suo movimento, come molti altri leader. E così è rimasto nella memoria nazionale: un principe amato. Se lo volete, non è una favola. Così dichiarò nel corso del primo congresso sionista tenuto a Basilea, in Svizzera, nel 1897. E preconizzò che uno stato ebraico sarebbe sorto entro cinquant'anni, anche se non immaginava che il popolo ebreo avrebbe mancato l'opportunità di crearlo prima della Shoà, limitando così le proporzioni di quell'immane tragedia. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.