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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
25.06.2004 La storia del conflitto israelo-palestinese raccontata in modo parziale
nella recensione di un nuovo libro

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 25 giugno 2004
Pagina: 54
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Tra israeliani e palestinesi non è più la solita Storia»
Non possiamo che rallegrarci del fatto che un gruppo di insegnanti
israeliani e palestinesi abbia deciso di scrivere la storia del conflitto
mettendone in parallelo le due visioni, o le due versioni. Uno dei motivi
principali a causa dei quali i conflitti si radicano nell' inconscio e
proiettano un' ombra spesso negativa sull' educazione dei giovani è proprio
l' ignoranza, la non -conoscenza dell' "altro", la manipolazione.Tentare di
costruire un ponte, per quanto traballante e stretto, che valichi il baratro
è certamente lodevole.

Tutto ciò premesso, ci dobbiamo riservare un giudizio sui contenuti del
libro, che ancora non abbiamo analizzato, ed esprimere una prima valutazione
sul solo articolo della Caferri che lo presenta ai lettori di Repubblica.

La principale osservazione riguarda l' eccidio di Deir Yassin. Innanzi
tutto, autori del massacro non furono "i militari ebraici" (perché non dire
"israeliani"?), come scrive con una interpretazione manipolata la Caferri.
Il testo del libro, come lei lo trascrive, ci pare chiarissimo: autori
furono "uomini del Lehi e dell'Ezel". Si trattava dunque di quelli che oggi
Repubblica, quando si riferisce ai terroristi palestinesi, definisce
"miliziani" od "attivisti", non di "militari" come la Caferri vorrebbe far
credere. Persone facenti capo ad organizzazioni armate indipendenti ed
illegali, spesso addirittura in rotta di collisione con le istituzioni
sioniste. Del resto, e basterebbe aprire un libro di storia, il massacro
avvenne nell' aprile del 1948, prima della proclamazione dell' indipendenza
(maggio) dello stato ebraico. In una nota del medesimo paragrafo si
chiarisce, ma la Caferri ha voluto ignorarlo, che si trattava di
"organizzazioni armate ebraiche".

La storia drammatica del conflitto fra israeliani e palestinesi non può
cominciare dal 1917, se se ne vuole rappresentare con una visione serena la
complessità.
Ignorare le prime immigrazioni di ebrei dall' Europa orientale, gli ideali
di quel sionismo laico e pieno di speranze, e non metterle a confronto con
il caos dell' Impero Ottomano che soffocava ogni velleità autonomista del
mondo arabo significa voler ricondurre implicitamente la nascita di Israele
al solo fattore colonialista ed imperialista che interpretava interessi
francesi ed inglesi.
Significa tacere che nell' incontro dei due nazionalismi, che poi sarebbe
divenuto scontro, quello ebraico era maturo, democratico, aperto a progetti
comuni con i fellahin arabi che abitavano quella regione mentre i padroni
terrieri se ne stavano comodi nei loro palazzi ad oriente del Giordano,
mentre il nazionalismo arabo era autocratico, privo di basi ideologiche e di
investitura popolare, violento e senza progetti che non fossero di mero
esercizio del potere.
E tacere tutto ciò non depone a favore dell' obiettività degli autori e
della loro reale volontà di far capire cosa vi fosse prima e dietro i fatti

È un piccolo libro, ma qualcuno l'ha già definito un mezzo miracolo. Cento
pagine in tutto, corredate di mappe, glossari e fotografie, per raccontare
la Storia come nessuno l'ha mai fatto. Si chiama "La storia dell'altro":
l'hanno messo a punto in due anni di lavoro un gruppo di dodici insegnanti
delle scuole superiori, sei palestinesi e sei israeliani (uscito anche in
Italia con la presentazione di Walter Veltroni). Insieme hanno lavorato
su uno dei terreni più scivolosi per entrambi: l'insegnamento della storia,
l'interpretazione del passato, il rapporto con «l'altro» appunto, il vicino
ingombrante con cui è obbligatorio, volenti o nolenti, fare i conti. Il
risultato è un manuale che per la prima volta mette a confronto il punto
di vista dei due popoli su episodi del passato giocoforza comuni.
Dalla dichiarazione di Balfour del 1917 (con cui la Gran Bretagna appoggia
il disegno della creazione di uno Stato ebraico in Palestina), alla guerra
arabo-israeliana del '48, fino alla prima Intifada del 1987, nelle pagine
vengono raccontate in parallelo la versione israeliana e quella palestinese:
al centro gli autori hanno lasciato uno spazio libero, per consentire agli
studenti di esprimere il loro parere.
Realizzato con la collaborazione dell'ong Prime (Peace research institute
in the Middle East) il libro, di cui è stata fatta una versione in arabo
e una in ebraico, è già stato adottato da 800 alunni in dodici scuole superiori
israeliane e palestinesi. «Gli studenti che studiano la storia nelle scuole,
in tempo di guerra e ostilità, ne conoscono alla fine dei conti soltanto
una versione, la loro, ovviamente ritenuta come quella che sta dalla parte
del giusto» scrivono nell'introduzione gli autori. «Spesso prevale nell'insegnamento
la volontà di indottrinare e di legittimare una sola delle parti in conflitto,
mettendo in cattiva luce le posizioni dell'altra: quello che da una parte
è considerato l'eroe, dall'altra è visto come il criminale della storia.
Noi crediamo invece che sia necessario cominciare a istruire i docenti in
modo che possano diventare promotori di pace, consentendo ai loro allievi
di conoscere il racconto degli eventi storici contemporaneamente da due
punti di vista».
Mettere a punto il testo non è stato facile: ciascuna delle due parti si
è dovuta impegnare in uno sforzo di obiettività, lasciando da parte le interpretazioni
propagandistiche. Il risultato non è una visione unica e pacificatrice,
ma un dialogo a due voci, fatto di idee a volte irrimediabilmente contrapposte,
ma anche di sorprendenti spiragli di dialogo. Se il conflitto del 1948 è
per gli israeliani la guerra di indipendenza, i palestinesi lo chiamano
naqba, la catastrofe: il quadro si ricompone però di fronte alla condanna
della strage di Deir Yassin, uno degli episodi più sanguinosi della guerra,
in cui i militari ebraici uccisero centinaia di arabi. «Fra i più famigerati
eccidi si ricorda quello perpetrato a Deir Yassin, che si concluse con centinaia
di vittime e decine di feriti», si legge nelle pagine palestinesi. «Durante
la guerra si verificarono alcuni massacri, saccheggi e violenze per mano
di soldati israeliani. Il massacro più famigerato fu quello di Deir Yassin
in cui furono assassinati 250 arabi da parte degli uomini del Lehi e dell?Ezel
(organizzazioni armate ebraiche, ndr)», scrivono gli autori israeliani.
«I due popoli sono stati traumatizzati, gli israeliani dal ricordo del genocidio,
i palestinesi da quello dell'espulsione. Sarebbe puerile chiedere loro di
scrivere la stessa storia: è già ammirevole che accettino di fare coesistere
due racconti paralleli», dice lo storico Pierre Vidal-Naquet, sottolineando
l'importanza di passaggi come quelli riportati sopra. Gli stessi autori
ammettono di non cercare un'utopistica verità condivisa, ma di voler stimolare
una maggiore comprensione reciproca: «Ci rendiamo conto che non sarebbe
realistico in questa fase pensare di cambiare la percezione della storia
di ciascuno né tantomeno di svilupparne una che sia comune a entrambi. Ma
bisogna considerare lo studio della storia come un tentativo di costruire
un futuro migliore, capovolgendo ogni pietra, anziché gettarsele addosso»,
scrivono.
Scorrendo il libro non sempre emergono tratti comuni: nelle prime pagine
si scopre che per i palestinesi è a Napoleone che va fatto risalire il progetto
di creare uno Stato ebraico in Palestina, e la Dichiarazione di Balfour
rappresenta «l'incontro tra le ambizioni coloniali britanniche e quelle
sioniste, il culmine del progetto britannico(...) volto a usurpare un popolo
della terra e delle sue risorse, dopo averne cancellato l'identità e represso
violentemente ogni tentativo di liberazione». Per gli ebrei invece la lettera
del ministro degli Esteri inglese nel 1917 è il primo episodio di appoggio
internazionale alle aspirazioni del sionismo, «accolta con straordinaria
gioia nel mondo intero».
Ma si trovano anche passaggi inattesi, come quelli dedicati dagli israeliani
all'Intifada del '87: fra le cause movimento è elencato il forte risentimento
dei palestinesi nei confronti dell'occupazione, «l'impossibilità di un reale
avanzamento economico, professionale e personale per i cittadini arabi»
e «l'umiliazione subita a ogni contatto con gli israeliani». Molto si impara
anche dai comuni silenzi: «Nessuno» nota ancora Vidal-Naquet «parla dell'incontro
del 1948 di Golda Meir con il re Abdallah di Giordania: eppure si tratta
di un avvenimento di importanza capitale perché attraverso questo incontro
Israele si accordò con il re perché non ci fosse uno Stato palestinese».
Un incontro imbarazzante, su cui entrambe le parti hanno scelto di tacere.
Ma, a guardarla da un'altra angolazione, anche il segno che qualcosa di
comune, fra israeliani e palestinesi, ci può essere.
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