Tagliano le teste per terrorizzare l'Occidente e spingerlo alla fuga dal Medio Oriente
Testata: La Stampa Data: 22 giugno 2004 Pagina: 3 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Il sinistro rituale del terrore assoluto»
Paul Marshal Johnson, Nick Berg, Daniel Pearl e altri occidentali caduti nelle mani di terroristi islamisti, dalla Cecenia alle Filippine, uccisi tramite decapitazione. Maurizio Molinari spiega come questa pratica si inserisce nella strategia dei gruppi fondamentalisti. La gola di Daniel Pearl tagliata da un estremo all'altro, la testa di Nick Berg recisa ad entrambi lati con un coltello ben affilato, staccata edalzata dal busto, il capo sanguinante di Paul Marshall Johnson appoggiato sul corpo mutilato, e ora la stessa orrenda sorte che incombe sul cittadino sudcoreano catturato in Iraq. La decapitazione è diventata la firma delle cellule di Al Qaeda - che si trovino in Pakistan, Arabia Saudita o in Iraq - e ciò fa discutere gli esperti di terrorismo come gli studiosi dell’Islam, accomunati dall'indicare due cause differenti di questa macabra violenza. «In primo luogo bisogna eliminare l'equivoco che si tratti di una forma di condanna prevista dalla legge islamica - tiene a sottolineare John Esposito, direttore del Centro cristiano-musulmano della Georgetown University di Washington - perché nel Corano non c'è assolutamente nulla che autorizzi la decapitazione di esseri umani». E' vero però che in alcuni Paesi musulmani, come in Arabia Saudita, la decapitazione viene ancora praticata, pubblicamente, per punire i responsabili di assassinii e violenze carnali. «I sauditi usano le decapitazione come faceva la Francia con la ghigliottina, si tratta di Stati che decidono di applicare così la pena capitale», aggiunge Esposito. «Questo lascia supporre - osserva Judith Kipper, analista di Medio Oriente per il Centro di Studi Strategici e Internazionali di Washington - che la provenienza di chi ha iniziato questo tipo di esecuzioni sia saudita o sia stata influenzata dai costumi sauditi, perché qui il rituale della decapitazione ha la propria origine nelle pratiche medioevali delle tribù del deserto ed è stato poi rivestito nel tempo dalla legittimità della legge islamica». Dietro le opinioni di Esposito e Kipper c'è l'idea che i terroristi di Al Qaeda decapitando l'ostaggio - considerato il nemico assoluto - vogliano testimoniare ai correligionari di aver «applicato la pena suprema contro il peggiore dei delitti», quello di «violare i diritti dei musulmani e dell'Islam». A fianco di questa spiegazione ve n'è un'altra che ha che vedere con la determinazione a «diffondere il terrore più feroce per allontanare gli stranieri dalle terre musulmane». A sottolinearlo è Richard Murphy, ex ambasciatore americano in Arabia Saudita, secondo il quale si tratta di «uno show politico e psicologico per dimostrare al nemico che Al Qaeda è vendicativa, senza pietà e che nulla potrà fermarla». Mostrare teste mozzate su letti e pavimenti, diffonderne le immagini per video e fotografie accessibili a tutti attraverso i siti Internet significa, aggiunge Rachel Bronson direttore degli studi mediorientali al Council on Foreign Relations di New York, «mirare a raffigurare l'inferno per ottenere un risultato agghiacciante al fine di spingere quanti più occidentali a rifiutare di andare in Arabia Saudita o in Iraq». Il metodo comune adoperato per liquidare il giornalista Pearl in Pakistan, il tecnico Berg in Iraq e l'ingegnere Johnson in Arabia Saudita lascia supporre che «Al Qaeda abbia adottato un codice per gestire i sequestri al fine di trasformarli in un'arma politica, terrificante per il pubblico occidentale e americano quanto lo fu il crollo delle Torri Gemelle», afferma Judith Kipper. Probabilmente anche un quarto americano - Robert Jacobs, ucciso dieci giorni fa a Riad - ha avuto la testa tagliata perché nel video dell'assassinio si vede una persona che si china su di lui con un coltello. Altri gruppi apparentati ad Al Qaeda ricorrono a simili esecuzioni: nel 1998 tre britannici e un neozelandese vennero decapitati dai fondamentalisti ceceni, mentre nel maggio del 2001 furono i filippini di Abu Sayyaf a mozzare la testa dell'americano Guillermo Sobero e di alcuni dei 17 filippini catturati assieme a lui. Ciò non implica tuttavia che le teste mozzate siano un'esclusiva delle cellule che si richiamano a Osama bin Laden: tanto in Algeria che in Kashmir altri gruppi islamici hanno spesso praticato questo rituale per diffondere terrore tra le fila dei propri avversari locali. «Ciò che sorprende è come nei Paesi islamici questa orrenda e tremenda pratica - osserva John Esposito - non abbia ancora provocato pubbliche e indiscutibili denunce; le autorità religiose musulmane dovrebbero farsi sentire per affermare che questa maniera di uccidere non ha nulla a che vedere con l'Islam. Dovrebbero essere loro a cancellare l'equivoco che si tratti di una forma di pena capitale legittimata dal Corano». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.