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La Stampa Rassegna Stampa
20.06.2004 Ultime notizie dal medio Oriente
nell'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 20 giugno 2004
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «In Medio Oriente scoppia la voglia di trattare su tutto»
Tutto sta cambiando in Medio Oriente. Arafat traballa, riprende il vecchio gioco delle tre carte (si veda IC di ieri), anche nella stessa ANP le dichiarazioni sono l'opposto di quelle di ieri. Ecco l'analisi di Fiamma Nirenstein sulla Stampa.
GERUSALEMME
Jibril Rajoub, l’uomo forte, l’uomo che ha oggi più potere nel West Bank dopo Arafat, parla con la sua voce roca alla radio israeliana e annuncia che Arafat è pronto a considerare l’idea di scambi territoriali. Cosa significa? Che anche per il rais le linee del ‘67 non rappresentano un tabù, e che egli è pronto a prendere in considerazione possibili accordi alternativi, che in sostanza, si può arguire, seguano linee di confine che vanno più d’accordo con la demografia che con la politica. Infatti parlando di Gerusalemme Jibril ha aggiunto che Arafat è pronto a un accordo anche sull’idea che «Gerusalemme est vada ai palestinese, e la parte ebraica agli ebrei».Ha persino aggiunto che, quanto al problema del ritorno dei profughi, Arafat comprende il problema demografico di Israele. Un altro episodio: Zakarya Zubeidi, un irriducibile capo popolare carismatico dei Martiri di Al Aqsa (Fatah) di Jenin nonchè ricercato per molti attacchi terroristi, ha offerto a Israele di cessare dagli attacchi se il governo israeliano cesserà dalle incursioni e si ritirerà dagli insediamenti circostanti. Una proposta sorprendente, di cui Zubeidi non può non aver parlato col suo capo; oltretutto dopo alcuni mesi in cui gli stipendi non venivano pagati alle Brigate dei martiri, il 13 giugno, a fronte di una furiosa rivolta, il Fatah per bocca di Abu Ala, ha riconosciuto tutte le sue responsabilità verso il gruppo responsabile di tanti attentati, e ora i rapporti sono tornati buoni.
Perchè Arafat compie tutte queste mosse di riabilitazione politica tese a farne un personaggio indispensabile per la prossima fase, quella dello sgombero di Gaza e del West bank e della definizione di un potere in grado di gestire uno spazio territoriale e quindi economico, di attenzione e finanziamenti internazionali assolutamente rilevante? Perchè Arafat è a un bivio fatale. Il rais in questi giorni è giunto a uno snodo cruciale, a uno dei momenti di maggior pressione della sua carriera politica: l’Autorità palestinese si trova ad essere il fulcro, così viene visto dalla dichiarazione dei G8 e soprattutto da George Bush,di una rivoluzione generale per cui tutto il mondo preme; sa bene che il segnale del rinnovamento del potere fra i palestinesi in occasione dello sgombero israeliano da Gaza e da parte della West Bank sarebbe per il mondo intero, compresa l’antica amica Europa, una ragione di speranza e di sollievo. Sarebbe per gli Usa ne più nè meno che il via libera per la famosa democratizzazione del Medio Oriente come parte della guerra al terrorismo, di cui George Bush è il padre spirituale, a partire dal giugno 2002. Adesso, dopo che il giornale dei Paesi del Golfo «Al watan» ha pubblicato la notizia che in Siria si prepara una svolta politica basilare che prevede in sostanza il riconoscimento di Israele, si capisce che l’aria si è fatta pesante per le autocrazie mediorentali.
La situazione di Arafat in particolare ha i fari puntati addosso, e non appare affatto buona: la sua guerra è andata male. L’Autonomia palestinese è il regno dell’anarchia e della violenza, i militanti palestinesi in prigione in Israele sono circa 6000; le eliminazioni dei capi terroristi e la scoperta continua di fabbriche di armi e di attentati per strada ha da una parte smascherato le reti del terrore connesse a al Fatah, e dall’altra tarpato ogni speranza di mettere il nemico in uno stato di panico; Hamas prepara un suo esercito e minaccia di prendere tutto il potere a Gaza; il blocco delle gallerie da cui venivano immesse le armi contrabbandate dall’Egitto ha creato una situazione per cui una pallottola costa 30 shekel, circa 15mila lire. Ai matrimoni di Gaza non si sparano più i consueti colpi di gioia. Le guerre interne sono violente e prive di regole, la corruzione è la regola a detta di tutti i palestinesi nessuna fazione esclusa, la scusa dei collaborazionisti copre guerre di bande con morti e feriti, la stampa palestinese è arrivata a imbavagliarsi dentro il parlamento di Ramallah, i contrabbandieri della zona di Rafah a Gaza hanno praticamente sequestrato le case della gente come copertura per le gallerie, e questo nonostante la popolazione disperata si sia più volte ribellata. Il comandante delle Forze di sicurezza della West bank, Haj Ismail Jaber, si è dimesso alla fine di maggio citando fra le ragioni «l’anarchia» e «il disordine». La miseria è la regola, salvo che per i potenti.
Il discorso pubblico dice che questi ormai quattro anni di guerra si sono risolti in un disastro. Abu Ala ha discusso più volte con Shimon Peres in questi giorni alcuni sviluppi possibili del conflitto, e certo non all’insaputa dei rispettivi grandi capi. Lo sfondo della ricerca di Arafat di un posto al sole adesso, è la insistita mediazione dell’Egitto sullo sgombero da Gaza e parte della West bank: Omar Suleiman, il capo dei servizi di informazione egiziana, ha fatto una spola continua fra il Cairo, Ramallah e Gerusalemme per proporre due svolte rivoluzionarie per il Medio Oriente tutto. La prima, la presenza di istruttori egiziani per una forza militare unificata che ponga fine all’anarchia delle 13 milizie in guerra fra di loro e con Hamas; Mubarak vuole evitare una presa di potere di Hamas che potrebbe essere molto pericolosoa anche per l’Egitto, e vuole guadagnare molti punti nella democratizzazione delMmedio Oriente, senza toccare il suo potere.In secondo luogo,quindi, l’Egitto ha proposto ad Arafat di farsi da parte, e si aspetta una risposta la settimana prossima. Oltretutto per capi pragamatici come Mohammed Dahlan per Gaza e Jibril Rajub per la West Bank sarà molto più facile che per Arafat affrontare «i fratelli» di Hamas.
Ma Arafat sa lottare, sa come contare sull’indiscusso carisma di cui è circondato nel mondo palestinese e sulla sua magnifica invenzione dell’uso della forza di cui ancora dispone in ogni suo angolo, insieme alla sua pretesa di debolezza e di mancanza di controllo. Di fatto, oggi una forbice è aperta fra i risultati dell’Istituto di ricerca politica del professor Khalil Shikaki secondo cui i palestinesi vedono la struttura auspicabile della futura Palestina «con Israele come modello di regime democratico che vorrebbero per il loro futuro Stato» e una realtà malata sul campo, dove l’uso del terrore è diventato un’abitudine: nel giro di due giorni è stato rivelato un tentativo da parte del 38enne Hussam Nabolsi di Gerusalemme Est, un postino con libero accesso in molti uffici, di piazzare una bomba nell’ufficio di Sharon; a Nablus ieri è stato scoperto un deposito di armi fra cui un mortatio, un lanciarazzi, centinaia di pallottole, e un’auto bomba diretta verso la postazione militare di Netzarim è stata colpita mentre correva verso il suo obiettivo.
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