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La Stampa Rassegna Stampa
15.06.2004 La crisi dell'Arabia Saudita è economica, non solo politica
intervista a Gary Sick, studioso dell'islam

Testata: La Stampa
Data: 15 giugno 2004
Pagina: 18
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'Arabia Saudita, Paese a un passo dal caos»
Maurizio Molinari su La Stampa di oggi intervista Gary Sick, studioso dell'Islam alla Columbia University, a proposito della situazione esplosiva in Arabia Saudita. Tra sceicchi, petrolieri e terroristi il problema principale rimane la situazione economica e la mancanza di prospettive per i più giovani. Ecco il pezzo.
Le forze di sicurezza saudite danno la caccia ai rapitori del tecnico americano Paul Johnson, ma Al Qaeda si fa beffa di Riad e diffonde su un sito web islamico le foto dei documenti del sequestrato unite a una serie di richieste: espellere l'ambasciatore Usa, liberare alcuni militanti, cacciare alti funzionari «traditori» e licenziare dai giornali locali «i giornalisti libanesi». Per tentare di comprendere cosa sta avvenendo a Riad ci siamo rivolti a Gary Sick, islamista di punta dell'Istituto sul Medio Oriente della Columbia University.
Qual è l'obiettivo dei rapitori?
«Le violenze in Arabia Saudita sono differenti dalla guerriglia in Iraq, dall'Intifada palestinese o dalla guerra civile libanese. Nel caso saudita manca l'elemento nazionalista, la base viene da elementi rigettati dalla società che fanno leva sullo scontento. Non ne servono migliaia per gettare il Paese nel caos. Il loro intento è dimostrare che il sistema è imperfetto, creare un'instabilità tale da rendere necessario sostituire gli Al Saud».
Da dove nasce lo scontento?
«E' una combinazione di fattori. L'economia è ricca ma si fonda solo sul greggio, non è stata diversificata e non crea posti di lavoro. La natalità invece è fra le più alte del mondo perché il governo non si è dato alcuna politica di controllo delle nascite. Vi sono tanti giovani e poco lavoro. Questi giovani in maggioranza studiano, vanno alle università - che in media sono buone - ma scelgono prevalentemente gli studi religiosi. Imparano non la fisica o la matematica ma a leggere il Corano, e questo complica ulteriormente l'accesso al mercato globale del lavoro. Il risultato è: tanti giovani con poca istruzione, senza lavoro e ancor meno prospettive. Per questo il pil si è dimezzato negli ultimi dieci anni. A ciò bisogna aggiungere che le donne sono il 50% della popolazione ma non hanno alcun ruolo. Sono completamente coperte, conducono esistenze separate, sono quasi tutte disoccupate e scontente».
Vuole dire che il freno alla modernizzazione è il wahabismo?
«L'Arabia Saudita è per definizione fondamentalista. Nacque dall'intesa fra Abul Aziz, il fondatore della dinastia Al Saud, e la setta dei wahabiti, portatrice di una versione dell'Islam che si propone il ritorno ai tempi di Maometto. Fra gli Al Saud e wahabiti vi fu un baratto: interferenza nella vita politica in cambio della legittimazione religiosa. La società saudita è fondamentalista perché il wahabismo è parte integrante dell'identità nazionale. I suoi insegnamenti sono presi sul serio non solo dai reali, da gran parte della popolazione».
Tale miscela porta a Al Qaeda?
«Vi sono persone come Osama bin Laden, espressione della società saudita, che contestano alla famiglia reale di non essere sufficientemente islamica, di aver dilapidato le risorse e consentito alle truppe degli Stati Uniti di aver profanato Mecca e Medina quando vennero accolte per la Guerra del Golfo. Bin Laden e i suoi puntano alla cacciata degli Al Saud e possono contare su un ampio sostegno sociale che gli viene dalla miscela fra scontento delle donne, scarsa educazione dei giovani, poco lavoro e penetrazione del fondamentalismo».
Perché gli Al Saud non hanno previsto quanto sta avvenendo?
«La famiglia reale è immensa, più che una famiglia è un'istituzione. Al suo interno vi sono coloro che aiutarono i mujaheddin afghani a combattere l'Urss raccogliendo i fondi, incoraggiando i volontari. E' da questo humus che è venuto Osama, la cui ricchissima famiglia è legata, anche se non imparentata, ai reali, così come si sono originate associazioni e moschee fondamentaliste in tutto il mondo. I sauditi non hanno mai pensato che questo sistema potesse ritorcersi contro di loro, ma è proprio ciò che sta avvenendo. La famiglia reale ha sottovalutato l'entità dei problemi anche perché le tensioni a occhio nudo non sono facili a vedersi. La gente non sta in strada o chiede l’elemosina perché le risorse non mancano. Non siamo in Iraq o in Iran. Non vi sarà a breve una rivoluzione o un grande sconvolgimento, ma l'entità della crisi è tale che la famiglia reale si trova di fronte all'obbligo di reagire. I pochi riformatori attorno al principe Abdallah si stanno facendo avanti, ma timidamente e troppo lentamente».
Qual è a suo avviso il punto debole del sistema saudita?
«E' il problema degli studi religiosi e ha a che vedere con l'origine della monarchia, quando si decise che studiare il Corano significava ripeterlo, impararlo a memoria e non svolgere critiche o analisi».
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