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La Stampa Rassegna Stampa
12.06.2004 Reagan distrusse l'impero dei Gulag, e finì l'incubo comunista
e i prigionieri esultavano. lo ricorda uno tra i più illustri: Sharansky, oggi ministro d'Israele

Testata: La Stampa
Data: 12 giugno 2004
Pagina: 11
Autore: Nathan Sharansky
Titolo: «Fu lui a liberarci dall'impero dei Gulag»
IL RICORDO DEL DISSIDENTE SOVIETICO SHARANSKY CHE OGGI E’ MINISTRO IN ISRAELE
«Fu lui a liberarci dall’impero dei Gulag»
«La prima pagina della Pravda stigmatizzava il Presidente Usa per aver avuto
l’ardire di definire l’Unione Sovietica "dominio del male" Noi prigionieri
eravamo estasiati»
«I critici non capivano che le battute erano il suo modo di dire verità
fondamentali in modo comprensibile a tutti»
«Un esempio per i leader di oggi, confusi e ambigui»
Nathan Sharansky

Ecco il suo ricordo:


NEL 1983 ero confinato in una minuscola cella ai confini della Siberia. I carcerieri sovietici mi concedevano il privilegio di leggere la Pravda. La prima pagina stigmatizzava il presidente Usa Ronald Reagan per aver avuto l’ardire di definire l’Unione Sovietica «Impero del male». Via alfabeto Morse, attraverso i muri, con sussurri scambiati nei gabinetti, la «provocazione» di Reagan si diffuse in tutta la prigione. Noi dissidenti eravamo estasiati. Finalmente il leader del mondo libero aveva detto la verità, una verità che bruciava nel cuore di ognuno di noi. Allora non immaginavo che, tre anni più tardi, mi sarei trovato alla Casa Bianca e avrei raccontato quell’episodio al presidente. Quando egli interpellò qualcuno del suo staff, chiedendo se aveva sentito cosa avevo appena detto, capì che la decisione di Reagan di presentare la lotta tra le due superpotenze come uno scontro fra bene e male aveva suscitato molte polemiche. Bene, aveva ragione e i suoi critici torto.
Erano gli stessi critici che amavano definire Reagan un sempliciotto con una lettura rozzamente ideologica del mondo, uso a esprimersi attraverso battute e aneddoti. Durante il nostro primo incontro me ne raccontò uno: il premier sovietico Breznev e il suo vice Kosygin stanno discutendo se permettere o meno l’espatrio. «Guarda, l’America ci sta mettendo sotto pressione - dice Breznev - e forse dovremmo davvero aprire i cancelli. Il problema è che rischiamo di ritrovarci io e te da soli». E Kosygin: «Parla per te». Quello che i critici parevano non capire era che le battute e gli aneddoti che rendevano così vicino il presidente alla gente erano semplicemente il suo modo di esprimere verità fondamentali in modo comprensibile a tutti.
Anche la tendenza di Reagan a confondere nomi e date, che qualche volta anch’io ho sperimentato di prima mano, lo rendeva bersaglio di facili sarcasmi. Nel settembre 1987, pochi mesi prima di un summit con Gorbaciov a Washington, mi incontrai con lui per chiedergli cosa ne pensasse dell’idea di organizzare, durante il vertice, una manifestazione di centinaia di migliaia di persone in favore degli ebrei sovietici. Alcuni leader ebraici avevano espresso riserve sull’opportunità di una sfida frontale al premier sovietico, preoccupati che gli ebrei sarebbero stati accusati di sabotare la rinnovata speranza di pace fra i due blocchi.
Incontrandomi per la prima volta con mia moglie Avital, che per molti anni si era battuta per la mia liberazione, Reagan ci salutò come un nonno orgoglioso, sapendo di aver avuto un ruolo importante nella vicenda. E ci disse il suo parere sugli ebrei sovietici. «Carissimi signore e signora Shevardnadze. Ho appena parlato con il ministro degli Esteri dell’Urss, Sharansky, e gli ho detto che farebbe molto meglio a lasciare quegli ebrei liberi di andarsene».
Non volendo metterlo in imbarazzo per il suo errore, gli chiesi subito cosa ne pensasse della manifestazione, sottolineando le preoccupazioni espresse dai miei colleghi. La sua risposta fu pronta: «Pensa che io sia interessato a essere amico dell’Urss se continua a tenere il suo popolo in prigione? Faccia ciò che ritiene giusto».
Reagan può aver confuso i nomi e le date ma la sua visione mortale era sempre limpida. I leader odierni, al contrario, possono conoscere i fatti e le cifre ma spesso appaiono orribilmente confusi su quelle che dovrebbero essere le basilari distinzioni fra libertà e tirannia, democrazia e terrorismo.
L’eredità di Reagan è destinata a durare. Armato di dirittura morale, di una profonda fede nella libertà e del coraggio di seguire le proprie convinzioni, è stato decisivo nell’aiutare l’Occidente a vincere la guerra fredda e milioni di persone oltre la cortina di ferro a trovare la libertà. Essendo uno di loro, posso solo esprimere la mia più profonda gratitudine a un grande leader. Credetemi, continuo a preferire onestà intellettuale e «Mr.Shevardnadze».

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