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La Stampa Rassegna Stampa
03.06.2004 Niente scacchi per Israele
Buono il titolo, pessimo l'articolo

Testata: La Stampa
Data: 03 giugno 2004
Pagina: 1
Autore: Alberto Papuzzi
Titolo: «Scacchi vietati a Israele»
In prima pagina sulla Stampa di oggi viene pubblicato un articolo dal titolo " Scacchi vietati a Israele" dove si parla della competizione mondiale che si svolgerà in Libia alla quale gli scacchisti israeliani non potranno partecipare a causa del veto di Gheddafi. Nonostante il nucleo della notizia sia questa ignobile esclusione, l'autore, Alberto Papuzzi, preferisce sorvolare, concentrandosi piuttosto sul fatto che il torneo non potrà più essere regolare. Di fronte ad un atto di discriminazione Papuzzi non esprime una condanna,anzi la notizia viene presentata come se l'esclusione degli israeliani fosse giustificata; discriminano gli israeliani? pazienza... meglio non approfondire. Complimenti. Ecco il pezzo:
NONOSTANTE i suoi pezzi richiamino figure militari e nonostante il suo lessico alluda a un contesto bellico, il gioco degli scacchi - contrariamente a quanto pensano i non-scacchisti - non è una rappresentazione della guerra, bensì della politica. Tanto è vero che tutte le manovre, dai piani strategici alle tecniche combinatorie, si avvolgono intorno a un elemento che è di sua natura politico: la capacità di creare minacce all’avversario, obbligandolo a muovere sotto pressione. Perché allora meravigliarsi se gli scacchi continuano a incrociarsi con i fatti della politica e possono provocare scandali politici?
L’ultimo caso riguarda il Campionato del mondo della Fide (la federazione internazionale), che dovrebbe cominciare a Tripoli il prossimo 18 giugno. Ma il torneo Fide è già un po’ zoppicante di suo, dopo la scissione di dieci anni fa guidata da Garry Kasparov, numero uno delle classifiche mondiali allora e oggi: grandi campioni hanno costituito l’Acp (associazione professionisti) che gioca un proprio torneo mondiale, il prossimo appuntamento è per il 25 settembre nell’elvetica Brissago per la sfida fra i giovani Vladimir Kramnik e Peter Leko. Poiché avere due campioni del mondo non fa comodo a nessuno, si è deciso che il vincitore di Tripoli incontri in una superfinale Kasparov (fra sei-sette mesi) e che il vincitore della superfinale affronti il vincitore del match di Brissago. Così si avrà, finalmente, un unico re degli scacchi.
Però succede che Gheddafi junior, presidente del Comitato olimpico libico, dichiari che al torneo di Tripoli non sono ammessi israeliani. E tutto rischia di crollare come un castello di carte. Il torneo è organizzato con eliminazioni dirette, come a tennis, fra i primi 128 giocatori delle classifiche Elo. Ma sono arrivate a raffica le rinunce: a partire dall’indiano Vishy Anand, il numero due, proseguendo con gli ebrei russi o americani, e così via. Col rischio che andare o no a Tripoli diventi una specie di dichiarazione pro o contro Israele.
Così gli scacchi irrompono nella politica, esibendo la loro vera anima. Come quando nella guerra fredda Fischer e Spassky erano l’immagine di libertà americana e burocrazia sovietica (e Kissinger costringeva Fischer a battersi). O come quando, nel campionato del mondo dell’81 a Merano, Victor Korchnoj non si alzò al suono dell’inno russo e la gente gridava «Libertà! Libertà!». O come per l’eccezionale confronto tra Karpov e Kasparov, rappresentanti tanto nel look che nel gioco il primo del gelido breznevismo, l’altro delle folate del dissenso.
Perché Gheddafi junior abbia fatto harakiri, dopo aver assicurato che non ci sarebbero state esclusioni, non è dato sapere. Forse il padre gli ha tirato le orecchie. Magari a forza di rinunce potrebbe aprirsi lo spazio anche per un italiano, quanto meno per l’italo-messicano Garcia Palermo. Ma non si capisce se si potrà ancora parlare di un torneo mondiale.

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