ANP, perché ci sono ancora i campi profughi se i lettori non ne vengono informati come fanno a capire ?
Testata: Avvenire Data: 25 maggio 2004 Pagina: 13 Autore: Francesca Fraccaroli Titolo: «L'Onu: «E' emergenza umanitaria, hanno distrutto 80 case»»
Su Avvenire di oggi, nella sezione dedicata al conflitto medio orientale, viene pubblicata un'intervista a Peter Hansen, commissario generale dell'Unrwa, il quale racconta le difficoltà della popolazione palestinese all'indomani delle operazioni a Rafah. Hansen sostiene che i palestinesi che hanno perso la casa sono doppiamente profughi poichè discendenti di profughi del 1948. Il dato è incontrovertibile, tuttavia bisognerebbe chiedersi come mai, dopo 55 anni, i palestinesi vivano ancora in campi profughi; dal momento che dopo ogni conflitto, i profughi vengono assorbiti dal paese che li ospita (nella fattispecie l'Egitto). La responsabilità di questa situazione è proprio dell'Unrwa, che ha voluto mantenere i profughi palestinesi in quello stato per usarli come arma politica contro Israele. Se ci si dimentica di ciò è impossibile avere una visione storicamente corretta del problema dei profughi palestinesi. Ecco il pezzo. Le forze armate israeliane hanno cominciato a ritirarsi dalla città a Rafah, a sud di Gaza, che avevano occupato una settimana fa. Le enormi distruzioni inferte alla città e ai suoi campi profughi, le decine di vittime civili e l’emergenza sfollati chiamano in causa le organizzazioni umanitarie internazionali che stanno predisponendo piani per far fronte a un periodo che si annuncia assai delicato. Della situazione a Rafah e dell’impegno umanitario internazionale nella Striscia di Gaza abbiamo parlato con Peter Hansen, commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i profughi palestinesi, all’indomani della sua visita nel sud della Striscia di Gaza.
Ritiene che ci troviamo di fronte a un’emergenza umanitaria a Rafah? «Sì, la situazione è molto grave, e si sovrappone agli enormi problemi che la popolazione civile palestinese già doveva affrontare. Almeno 80 abitazioni sono state completamente rase al suolo, in questi ultimi giorni; a queste bisogna aggiungere tutte quelle che sono state danneggiate in modo irreparabile, mentre il numero degli sfollati è di oltre mille. Non dobbiamo dimenticare che questa operazione israeliana è stata solo l’ultima in ordine di tempo e che negli ultimi tre anni centinaia di edifici sono stati demoliti a Rafah e molte migliaia di palestinesi non hanno più un tetto. Voglio ricordare inoltre che queste persone si trovano ad essere profughi per la seconda volta (i palestinesi che vivono nei campi per rifugiati del 1948, dopo la nascita dello Stato di Israele)».
Di che cosa ha bisogno l’Unrwa per far fronte a questa nuova emergenza? Ci vorrà, affermano in molti, un importante impegno finanziario internazionale che la sua agenzia, già alle prese con un deficit di bilancio, non è certa di poter ottenere. «Le necessità economiche sono drammaticamente aumentate e abbiamo bisogno di un grosso sostegno internazionale. Dopo gli aiuti con generi di prima necessità, sarà nostro impegno ridare un alloggio ai senza tetto. Tutto ciò costa molto e, peraltro, sarà un’impresa ardua trovare i terreni disponibili per efidicare le nuove abitazioni. Uno dei problemi più seri di Gaza è la mancanza di terra libera per alloggiare una popolazione in continua crescita e costantemente coinvolta nelle azioni militari israeliane. Soddisfare tutte queste esigenze è legato alla generosità dei Paesi donatori. Purtroppo il mio appello per un ulteriore stanziamento di fondi all’Unrwa è rimasto inascoltato: non abbiamo ricevuto fondi straordinari e a malapena siamo riusciti a coprire il budget ordinario».
Si è appreso che durante la distribuzione degli aiuti a Rafah un vostro autocarro è stato assaltato e saccheggiato da un gruppo di profughi palestinesi e un autoveicolo è stato danneggiato. Come spiega l’accaduto? «E’ significativo del livello di tensione ed esasperazione che questa povera gente ha raggiunto in seguito a sei giorni di pesante assedio militare. Pensate al caso del quartiere di Tel al-Sultan, dove le infrastrutture civili sono state gravemente danneggiate e la pavimentazione stradale completamente distrutta dai carri armati. Per noi, l’aggressione che abbiamo subito a Rafah è un fatto episodico perché sappiamo che i profughi palestinesi apprezzano i nostri sforzi che durano dal 1949. i rapporti con la popolazione locale sono eccellenti». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.