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La Repubblica Rassegna Stampa
21.05.2004 Sandro Viola: velenoso, impreciso e manipolatore
ma sempre degno della prima pagina

Testata: La Repubblica
Data: 21 maggio 2004
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «Il ricatto di Sharon in un mondo distratto»
Da La Repubblica di ieri, giovedì 20 maggio '04:

Velenoso e deliberatamente impreciso come al solito, Viola rende esplicito un suo atteggiamento che in realtà traspare da ogni suo scritto.
Sarebbe un atteggiamento culturalmente incomprensibile in chi voglia tentare
di spiegare ai suoi lettori - che sono degli aventi diritto in quanto fruitori di un servizio pubblico come è quello dei media - le ragioni degli avvenimenti, ma è perfettamente comprensibile in chi, come Viola, si propone di manipolare l'informazione, e non di servire la pubblica opinione.
La prima riga di questo suo articolo é, ripetiamo, esemplare al riguardo:
"Da tempo, non cerchiamo più spiegazioni sulle stragi che si susseguono tra
Israele e la Palestina...Tentativi di inquadrare in una qualche logica le
convulsioni del conflitto israelo-palestinese, di spiegare come e perché la
spirale della violenza non conosca pause....non siamo più capaci di farne".
Già, come e perché: due domande alle quali Viola non vuole rispondere. Che Hamas e la Jihad Islamica si propongano esplicitamente ed a chiare lettere
fissate nei loro atti costitutivi di annientare Israele non è, per Viola, né un come né un perché.Che - lo scrive e dice Farouk Khaddoumi, ma lo si può constatare anche nel sito web ufficiale di Fatah - il partito che incarna, in Arafat, l' unità nazionale palestinese ed è erede dell'OLP voglia distruggere Israele non è, per Viola, né un come né un perché.
Che Arafat sia un doppiogiochista che non sa stare ai patti (quelli di Oslo) e non ha mai creduto nella soluzione pacifica e concordata del contenzioso, come oramai tutti sono concordi nell' ammettere, non è né un come né un perché.
Che stati come l' Egitto, che da 26 anni vive in pace con Israele, non ritenga di sigillare lo sbocco sul proprio suolo dei tunnel attraverso i quali il terrorismo palestinese si alimenta con armi munizioni ed esplosivi, e di fatto anzi lo fomenti con la sua indifferenza, non basta a spiegare la presenza dell'esercito israeliano lungo quel confine.
Ma Viola non si ferma qui. "Il massacro che l'esercito israeliano ha compiuto a Gaza...deve risvegliarci il cervello": questo massacro? E quelli dei terroristi , delle centinaia di civili, donne bambini, loro vittime, non hanno mai risvegliato il cervello di Viola?
"Il governo di Gerusalemme si propone di fare tanti lutti tra la popolazione
palestinese da costringerla a...piegarsi totalmente e per sempre dinanzi alla forza militare d' Israele". Questo e solo questo è quel che Viola capisce, lo scrive lui stesso. Prescindendo dalle sgrammaticature, l'analisi politologica non sembra molto più acuta ed accurata delle sue conoscenze della lingua italiana. Poche righe più avanti abbiamo una controprova indiretta delle prevenzioni mentali di Viola, quando scrive che già martedi "il cumulo dei cadaveri s' era fatto agghiacciante". Erano 15, in quel momento, almeno metà dei quali di terroristi morti in combattimento. Ma questo cumulo di cadaveri era certamente meno agghiacciante e meno significativo di quello delle vittime di un singolo attentato, o di quello della povera mamma, incinta, e delle sue quattro bambine assassinate a sangue freddo con un colpo alla nuca.
Ma Viola sembra ignorare una ulteriore scomoda realtà: il Gruppo Palestinese
di Monitoraggio dei Diritti Umani nel suo ultimo rapporto ha asserito che il 16% dei palestinesi morti dal 1993 al 2003 sono stati uccisi da altri palestinesi, e che il 90% delle violenze di stampo gangsteristico (noi le
definiremmo mafiose o camorristiche) contro palestinesi sono state perpetrate da persone che rivestono un qualche ruolo ufficiale nell'ambito dell'Autorità Palestinese.
Poi, come fa spesso, Viola cita un esponente della cultura israeliana per
farsi scudo delle sue opinioni: Sternhell afferma, secondo Viola, che "ogni
condanna per l'uccisione di bambini palestinesi, anche se pronunciata dagli
amici d'Israele, viene subito bollata come un'espressione d'antisemitismo". Non sappiamo se Sternhell abbia realmente detto o scritto queste parole; in tal caso o lui ha una visione estremamente limitata delle cose, o frequenta solo qualche imbecille, o pretende di assumere l'opinione di questo imbecille a paradigma di quanto pensano tutti. Nella realtà, la quasi totalità degli israeliani sa distinguere la critica politica, anche aspra, dai casi in cui l'antisemitismo si maschera da critica, anche falsamente amichevole.
Viola poi si commuove per la popolazione di Gaza "finita in buona parte a
vivere nelle tende fornite dall' assistenza ONU", ed opportunamente dimentica che i campi profughi sono stati voluti, costruiti, mantenuti e mai migliorati dagli arabi.
Sulla conclusione di questo infelicissimo esempio di visione faziosa dei fatti possiamo invece concordare: "Solo dagli israeliani viene qualche speranza. Dai 100 o 150 mila che l'altra sera hanno manifestato nella Piazza Rabin di Tel Aviv contro l'occupazione di Gaza...". Già, perché - ma Viola lo tace - nel mondo arabo lui non troverà mai né mille né duemila arabi disposti a scendere in piazza per protestare contro il terrorismo dei loro fratelli, o per perora la causa della convivenza pacifica a fianco dello stato d'Israele.
Forse, una spiegazione di questo accanimento a senso unico di Viola si può
trovare a pag. 44 del medesimo numero di Repubblica, nell'articolo in cui
Viola analizza un libro appena uscito che gli è molto piaciuto ("Perché Bin
Laden è figlio nostro"). La rabbia araba, si legge in quel libro e Viola ne
gioisce, è un prodotto dell' occidente, in quanto siamo da secoli noi occidentali e non altri a criticare il nostro stile di vita, la nostra
cultura, la nostra politica, i nostri costumi.
Ma allora come la mettiamo con il rifiuto della cultura araba di accettare la tesi di una propria corresponsabilità nell' arretratezza in cui il mondo dell'Islam si dibatte? E come la mettiamo con la filosofia politica dei Fratelli Musulmani, di cui non il solo Bin Laden, ma anche Hamas ed altri
gruppi terroristici, sono figli ? E come la mettiamo con le enormi ingiustizie sociali che scavano abissi fra arabi ed arabi? E' mai possibile, come vorrebbe farci credere Viola, che ogni colpa sia nostra?

Ecco il testo integrale:

Da tempo, non cerchiamo più spiegazioni sulle stragi che si susseguono tra Israele e la Palestina. Le registriamo, certo. Contiamo i morti da una parte e dall´altra, al massimo biascichiamo per l´ennesima volta le parole di sgomento che la vista di tanti cadaveri suscita in noi. Ma tentativi d´inquadrare in una qualche logica le convulsioni del conflitto israelo-palestinese, di spiegare come e perché la spirale della violenza non conosca pause e anzi diventi sempre più mortifera, non siamo più capaci di farne.
È come se avessimo rinunciato a capire, e a giudicare. Ma il massacro che l´esercito israeliano ha compiuto a Gaza negli ultimi due giorni, e ieri in particolare (in tutto oltre 30 morti e almeno cento feriti, di cui una grande quantità sono donne e bambini), deve risvegliarci il cervello.
Impone lo sforzo d´una spiegazione. A che cosa mira Ariel Sharon, quali ordini ha impartito all´esercito? Il governo di Gerusalemme si propone di fare tanti lutti tra la popolazione palestinese da costringerla a smettere qualsiasi protesta, a fuggire ogni volta che è in vista un carro armato israeliano, insomma a prendersi la testa tra le mani e piegarsi totalmente e per sempre dinanzi alla forza militare d´Israele? Sì: è questo che emerge, quando cerchiamo di capire gli avvenimenti di ieri. Del resto, il ministro della Difesa Shaul Mofaz s´era espresso martedì, quando già il cumulo dei cadaveri s´era fatto agghiacciante, in termini molto chiari: l´operazione a Rafah andrà avanti per tutto il tempo necessario. E l´operazione consiste appunto nello stroncare qualsiasi protesta dei civili palestinesi. Nel fiaccarne ogni volontà di resistenza. Perché se si trattasse d´altro, per esempio di smantellare i tunnel sotterranei con l´Egitto da dove passano armi e munizioni, questo potrebbe essere fatto senza aprire il fuoco sulla folla. Tecnicamente - qualsiasi esperto militare è in condizione di spiegarlo- potrebbe essere fatto senza stragi di civili.
La folla di Rafah era scesa in strada, ieri, per interporsi tra i carri armati d´Israele e il quartiere di Tel Al-Sultan, dove l´esercito si preparava ad abbattere ancora altre case, dopo le decine e decine già abbattute nei giorni scorsi. Era una folla rabbiosa e vociferante, perché sconvolta dal timore di veder ridotta la propria casa in macerie. Tra i civili, le donne e i bambini c´erano - come sostengono i comandi militari - uomini armati? È possibile. Ma i cannoni dei tank hanno sparato ancora una volta nel mucchio, e i corpi restati sul terreno erano di gente inerme. Sicché la sola spiegazione possibile per una risposta militare tanto tremenda e sanguinosa, è che quella folla andava terrorizzata. Questo perché, come ha scritto di recente uno degli intellettuali più prestigiosi d´Israele, lo storico Ze´ev Sternhell, Sharon sembra convinto che sia giunto «il momento d´annichilire una volta per tutte qualsiasi possibilità d´una esistenza autonoma del popolo palestinese».
Seguiamo ancora un po´ l´argomentazione di Sternhell, cerchiamo di capire che cosa intenda quando dice che Sharon vuol cogliere «questo momento».
Intanto, il caos iracheno: il mondo distratto da quasi tutto quel che non riguarda l´Iraq, il terrorismo islamico, il fantasma d´una crisi petrolifera devastante. Nessun negoziato con i palestinesi, soltanto intese con gli americani, con un presidente americano che sembra voler mostrare prima e più d´ogni altra cosa la sua solidarietà ad Ariel Sharon. L´Europa imbelle, e paralizzata dai rigurgiti antisemiti che la scuotono ogni tanto qua e là. Il tutto mentre Israele, spiega Sternhell, fa pesare un´emotional extortion, diciamo un ricatto emotivo. E infatti, «ogni condanna per l´uccisione di bambini palestinesi, anche se pronunciata dagli amici d´Israele, viene subito bollata come un´espressione d´antisemitismo».
Il rullo compressore dei carri armati e degli elicotteri lancia-missili, non dovrebbe quindi fermarsi neppure dopo «la tragedia umana e politica» (come l´ha chiamata un membro del governo israeliano, il ministro della Giustizia Lapid) avvenuta ieri a Rafah. Nell´idea del ritiro israeliano da Gaza, così come l´ha concepita Sharon, sembra infatti esserci il proposito di lasciare sul posto - una volta evacuati i coloni e l´esercito - una popolazione domata. Finita in buona parte a vivere nelle tende fornite dall´assistenza Onu, ripiegata sui propri lutti, senza più capacità di reazione.
Il calcolo è esatto? Per dubitarne, basta pensare ai tanti calcoli sbagliati che Sharon ha fatto nella sua lunga carriera. Nell´oltre mezzo secolo in cui da militare o da politico s´è mosso mirando continuamente, quasi ossessivamente, all´escalation. Alle fughe in avanti. Gaza è infatti un nido di scorpioni, peggio del Libano, peggio di qualsiasi focolaio terroristico che Israele abbia mai dovuto fronteggiare. Lì stanno gli aspiranti "martiri" di Hamas e della Jihad islamica, lì è la miseria più atroce, lì stanno la maggior parte delle rovine rimaste dopo la distruzione delle case. E chi può quindi credere che i palestinesi di Gaza vogliano rinunciare a resistere, a colpire dove e quando possibile?
Un´ultima cosa va detta sul governo degli Stati Uniti e la sua politica. L´amministrazione Bush sa benissimo che la condotta di Sharon complica enormemente la sua posizione nel quadro regionale, dà fuoco alle polveri dell´antiamericanismo, manda in pezzi i tentativi di stabilizzazione in Iraq e i progetti d´un Great Middle East democratico e pro-occidentale. Ma la sua vista è corta. Non va oltre novembre, oltre le elezioni presidenziali e la sua volontà di vincerle. Infatti le reazioni ai massacri di Gaza sono vaghe, esangui, poco più che formali. Il segno d´un cinismo inaccettabile.
Solo dagli israeliani viene qualche speranza. Dai 100 o 150mila che l´altra sera hanno manifestato nella piazza Rabin di Tel Aviv contro l´occupazione di Gaza, contro il "partito" dei coloni, contro la politica del proprio governo. Con un´America come quella d´oggi, con un´Europa che può solo lamentarsi ma non agire, soltanto loro possono tentare l´arresto di quest´immane, scandalosa carneficina.
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