Faziosità, congetture, falsità come trarre partito da una tragedia
Testata: Il Manifesto Data: 20 maggio 2004 Pagina: 4 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Su Gaza il terrore di Sharon»
Dal Manifesto di oggi: I carri armati sono davanti a noi, a meno di cento metri, bloccano la superstrada che porta a Rafah. Siamo fermi. Per la stampa, ufficialmente, non ci sono restrizioni ma, di fatto, entrare in città è impresa ardua. È frustrante non poter descrivere come si vorrebbe l'inferno che da tre giorni si è scatenato a Rafah sotto assedio, minacciata di centinaia di demolizioni: L’articolo potrebbe finire qui: il prode cronista non riesce a recarsi sul luogo dell’accaduto, nonostante per la stampa non ci siano restrizioni; ma come si può rinunciare alla ghiotta occasione? A proposito di restrizioni sulla stampa: il cronista ha mai provato a chiedere alle autorità siriane che ne è degli ebrei locali (più di 30.000 nel 1948, meno di 100 oggi)? un'ottantina solo negli ultimi quattro giorni secondo l'Onu, appena sette ribatte esercito israeliano. In città è vietato persino manifestare pacificamente. Ieri pomeriggio razzi sganciati dagli elicotteri Apache e dai carrarmati israeliani hanno colpito un corteo di centinaia di palestinesi facendo strage di civili: almeno dieci morti e cinquanta feriti, uomini soprattutto, ma anche ragazzini (qualche ora prima erano stati uccisi dai soldati altri quattro palestinesi a Rafah e due militanti delle Brigate martiri al Aqsa in Cisgiordania). I militanti delle Brigate dei martiri di Al Aqsa sono quelli che hanno l’abitudine di farsi esplodere in mezzo ai civili; ma Michele Giorgio questo non lo scrive. Esplosioni, ambulanze che portano soccorso a persone moribonde, gente con il terrore negli occhi. Decine di persone che corrono portando tra le braccia corpi insanguinati di ragazzini feriti, alla disperata ricerca di soccorso. Un testimone ha descritto così il massacro alla Reuters: «Un mare di sangue e pezzi di corpi che volavano dappertutto». Ci chiediamo se dopo gli attentati in Israele Michele Giorgio sa far parlare gli anonimi testimoni con simile lirismo; sappiamo bene che anche in quei casi ci sono "pezzi di corpi che volavano dappertutto". Gli israeliani hanno fatto fuoco quando una folla di giovani si è avvicinata al sobborgo di Tel Sultan - l'area attraverso la quale l'esercito è penetrato a Rafah durante gli ultimi raid - per chiedere ai militari di far entrare in città gli aiuti umanitari. Ruth Yaron, portavoce dell'esercito, ha dichiarato che un elicottero ha sparato un missile in un'area aperta per spaventare i dimostranti e poi un secondo contro un edificio abbandonato per aprire la strada all'avanzata dei soldati. Difficile credere a questa versione, che presupporrebbe un grave «errore di mira». Ed ecco la voce di un esperto: Il presidente palestinese, Yasser Arafat, ha gridato al «genocidio e crimine di guerra contro cittadini che manifestavano pacificamente». Cioè la stessa persona che ha fondato Al Fatah, ovvero l’organizzazione che si pone tuttora l’obiettivo di sterminare gli ebrei che vivono in Israele: non c’è che dire, un vero esperto di genocidi. L'inviato dell'Onu per i diritti umani ha parlato crimini di guerra e violazione del dititto umanitario. Ma il presidente americano, George W. Bush, con l'ennesima «dichiarazione d'amore» per il suo amico Sharon, si è limitato a dichiarare «la necessità da parte di entrambe le parti a rispettare le vite dei civili». Non si capisce se Michele Giorgio è geloso di queste dichiarazioni d’amore… Il ministro della difesa israeliano, Shaul Mofaz, ha invece avvertito minaccioso che l'esercito continuerà le operazioni nella Striscia di Gaza, quelle stesse operazioni che hanno fatto 33 morti palestinesi nelle ultime 48 ore.
Le immagini di ieri sono come quelle che si sono viste tante volte anche a Gerusalemme e Tel Aviv durante gli attentati. Tuttavia quelle di Rafah passano in secondo piano, non sconvolgono l'opinione pubblica mondiale. L’opinione dei lettori de Il Manifesto non è stata per nulla turbata dalle immagini degli attentati di Gerusalemme e Tel Aviv Eppure a morire in maggioranza non sono militanti armati dell'Intifada ma civili inermi, spesso bambini. Ieri peraltro l'esercito israeliano ha ordinato attraverso gli altoparlanti a tutti i palestinesi maschi con una età di almeno 16 anni di uscire dalle case e di raccogliersi nella scuola locale e a tutti i palestinesi armati di deporre le armi e di arrendersi, sventolando una bandiera bianca. In quale altro modo dovrebbe comportarsi un esercito? Forse istigando al pogrom, come da secolare tradizione palestinese? E da qui in poi, Giorgio supplisce alla mancanza di notizie, con la sagra delle ipotesi. Procedure simili vennero adottate, con esiti spesso drammatici, due anni fa in Cisgiordania, durante l'operazione «Muraglia di difesa» che portò alla rioccupazione delle aree autonome palestinesi. L'ordine prelude con ogni probabilità a una nuova devastante avanzata in profondità di soldati e mezzi corazzati fin nel centro della città. Come spiegheranno le forze di occupazione israeliane il massacro di Rafah? Come una spiacevole conseguenza della «lotta al terrorismo»? Come un «danno collaterale» inevitabile in un conflitto armato? Forse emergerà la versione della presenza nella zona della manifestazione di «terroristi armati» che ha spinto i piloti ad aprire il fuoco. Un portavoce militare ha detto che l'assedio dei campi profughi di Rafah e di Tel Sultan è cominciato per impedire ai palestinesi di entrare in possesso, attraverso tunnel sotterranei con l'Egitto, di armi più sofisticate che verranno poi usate contro l'esercito israeliano. Ne sarebbero una prova gli attacchi della scorsa settimana contro i blindati e le pattuglie a bordo delle jeep in cui sono morti 13 soldati. Qui Giorgio ricorre al condizionale, ma non spiega cosa ci sarebbe di poco convincente nelle dichiarazioni del portavoce militare israeliano. Alla fine la responsabilità indiretta del massacro di ieri pomeriggio verrà data proprio ai palestinesi perché colpevoli di resistere, anche in armi, come consentono le convenzioni internazionali, all'occupazione militare straniera. sarebbe interessante scoprire a quali convenzioni internazionali si riferisce Michele Giorgio; e cosa dicono queste convenzioni a proposito di attentati suicidi e razzismo antisemita. Gaza è territorio palestinese occupato, non territorio israeliano. Le colonie che il governo Sharon vuole proteggere dagli attacchi armati sono state costruite in violazione delle leggi internazionali e dovrebbero essere evacuate subito, senza attendere l'esito di decisioni unilaterali da parte di Israele che occupa illegalmente quei territori. Il mondo, Stati Uniti inclusi, conoscono bene i diritti dei palestinesi ma fanno finta di nulla. Tra qualche giorno, quando di Rafah si parlerà come della nuova Jenin o Falluja, saranno in molti ad esprimere rammarico. Human Rights Watch, l’ONU e l’Unione Europea hanno stabilito che nessun "Olocausto" è accaduto a jenin, che nessun bambino e nessuan donna è stato ucciso, che le vittime di parte araba sono meno di 60 di cui più della metà morti con le armi in mano. Ciononostante la propaganda palestinese parla di migliaia di morti e Michele Giorgio, avendo nulla da dire, vi si accoda. Il premier britannico Tony Blair ripeterà che le demolizioni di case a Rafah sono «ingiustificate» e poi volterà pagina anche lui. Quanto e se peserà il massacro di Rafah sulle decisioni del governo Sharon non è facile calcolarlo. Il premier israeliano in ogni caso pensa ad altro. Secondo quanto ha riferito ieri la stampa israeliana, Sharon è impegnato a completare la preparazione di un nuovo piano di «separazione» dalla Striscia di Gaza, al posto di quello bocciato nel referendum del suo partito, il Likud, il 2 maggio scorso. Di nuovo la sagra delle ipotesi. Però notiamo che qui occorre spiegare che Sharon non è l’orco cattivo ma un politico realistico, che sta anche progettando un ritiro militare. Michele Giorgio sembra un po’ imbarazzato con questi dati di fatto. Questo nuovo progetto prevede la demolizione delle case dei coloni degli insediamenti ebraici di Gaza e la consegna a un'agenzia internazionale degli impianti industriali e delle infrastrutture perché poi siano trasferiti ai palestinesi. Israele inoltre sarebbe disposto ad accettare lo stazionamento di una forza internazionale di osservatori lungo il confine di Gaza con l'Egitto, col compito di impedire il contrabbando di armi. Il piano sarebbe realizzato a tappe: nella prima dovrebbero essere abbandonati insediamenti isolati come Morag e Kfar Darom e in quelle successive il resto degli insediamenti. Il passaggio da una fase all'altra richiederebbe l'assenso del governo, che però prima dovrà approvare il piano nelle sue linee generali. Sharon potrebbe sottoporlo all'esame del governo forse già nei prossimi giorni. Nel frattempo a Rafah si continua a morire. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. 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