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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.05.2004 Lo dice Mubarak, ma i nostri zapateros non ci sentono
nonostante a parlare sia un leader arabo

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 maggio 2004
Pagina: 2
Autore: Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Mubarak: se la coalizione si ritira sarà il caos»
Il presidente egiziano Mubarak negli ultimi giorni ha più volte ribadito che il ritiro delle truppe dall'Iraq avvierebbe una catastrofe. Sul Corriere di oggi Cecilia Zecchinelli spiega accuratamente la posizione di Mubarak. La pubblichiamo.
DUBAI — E’ il primo leader arabo a dirlo così chiaramente, senza mezze misure: « Se le truppe americane di occupazione si ritirassero il 30 giugno da un Iraq senza esercito, senza polizia e senza ministeri, si creerebbe una situazione di anarchia terribile, il Paese si trasformerebbe in uno spaventoso centro di azioni terroristiche » . Hosni Mubarak, il presidente del più popolato Paese arabo, l'Egitto, annunciando ieri a Luxor alla stampa che parteciperà personalmente al Vertice della Lega araba sabato a Tunisi, ha parlato di « grave errore » e di « un Paese in balia della guerriglia e del terrorismo » , nel caso gli americani e i loro alleati se ne andassero tra poche settimane.
Non è un caso che l'affermazione sia venuta proprio dal Cairo, che gode dei più massicci aiuti finanziari degli Stati Uniti dopo Israele, del beneplacito americano per le linee di credito concesse da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, che tenta di contrastare con il pugno duro un dissenso interno crescente, come indicano anche gli arresti dei 52 alti rappresentanti dei Fratelli musulmani di alcuni giorni fa e le successive manifestazioni di protesta. E che non solo è nei fatti più vicino a Washington di quanto lo stesso Mubarak ammetta, ma che teme fortemente un peggioramento della situazione in Iraq, con fazioni rivali padrone del Paese e un terrorismo senza freni, che « contagerebbe » l'intera regione.
Ma Mubarak non è il solo a pensarla così. Due giorni fa a Washington, anche Abdallah II, re di Giordania, aveva parlato di guerra civile in Iraq: « E' più probabile oggi di un anno fa e, se Dio non voglia, arriveremo a questo punto allora tutta la regione sarà trascinata in Iraq » , ha affermato il sovrano in un'intervista all ' Abc, ricordando la guerra civile che ha sconvolto il Libano per quasi trent'anni.
« Ma stavolta sarebbe completamente diverso, questa volta sarebbe attratta nel conflitto tutta la regione » .
Dell'argomento su cui l'intero mondo dibatte e si scontra politicamente, a partire dall'Italia, ovvero della presenza delle truppe della coalizione dopo il 30 giugno, avrebbero dovuto discutere anche i ministri degli Esteri della Lega Araba, la settimana scorsa al Cairo. Ma secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa araba ( la riunione è stata a porte chiuse), le pressioni dell’egiziano Amr Moussa, leader dell'organismo, per mettere in agenda questo punto sono state bloccate dal rappresentante iracheno, Zibari. « Sono problemi interni all'Iraq » , ha detto quest'ultimo. E anche il tentativo di Damasco di arrivare alla richiesta del ritiro della coalizione è ovviamente finito in niente.
Anche perché la Siria, unico Paese dell'area a volere davvero un ripiegamento degli Usa dal vicino Iraq, deve muoversi con estrema attenzione dopo il peggioramento delle relazioni con Washington e le sanzioni decise dall'amministrazione Bush.
Cautela devono dimostrarla, e la dimostrano, tutti i Paesi arabi. Divisi tra una « piazza » che grida « Yankee go home » , amplificata e alimentata dai media locali a partire dalle tv satellitari, e una « ragion di Stato » che sempre di più punta al sostegno della presenza degli americani e dei loro alleati in Iraq, fino a quando il Paese non sarà in grado di autogovernarsi.
Non è solo per la paura di una guerra civile ai confini e di un ulteriore impulso al terrorismo. Sono anche motivi diplomatici, la difficoltà di chiedere a un governo provvisorio iracheno, per quanto poco rappresentativo venga considerato, di dire basta alla presenza americana, quando dal Qatar all'Oman le basi Usa sono numerose, o lo sono state fino a ieri, com'è il caso dell' Arabia Saudita, che non a caso tace. E un altro timore non detto, ma segnalato da molti analisti arabi, è che la partenza degli americani lasci spazio in Iraq a una forte influenza dell'Iran, un Paese temuto da molti nella regione. Tutti motivi, questi, che fanno prevedere come l'affermazione pubblica di Mubarak, solo un anno fa deciso nel chiedere « il rapido ritiro degli americani dall'Iraq » , non sia destinata a restare isolata.
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