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Europa Rassegna Stampa
19.05.2004 Troppo abituati a manifestare
non ne riconoscono più il significato

Testata: Europa
Data: 19 maggio 2004
Pagina: 1
Autore: Stefano Menichini
Titolo: «Antiamericano a chi?»
Per Stefano Menichini cinque giorni fa a Tel Aviv si sarebbe svolto un "Israel Day", e ogni giorno al di là dell'atlantico si svolgerebbe "un colossale e diffuso Usa Day". Naturalmente non è così: in Israele e negli Stati Uniti si svolgono manifestazioni politiche di cittadini che partecipano al confronto pubblico sulle scelte di due grandi democrazie. In Italia e in Europa si sono svolte manifestazioni il cui scopo non era schierarsi nella politica interna di altri paesi, ma piuttosto di affermare con forza il diritto all'autodifesa delle società aggredite dal terrorismo e la non equivalenza tra democrazia e totalitarismo.
Va anche ricordato che la manifestazione di Tel Aviv sosteneva proprio il piano di ritiro da Gaza di Sharon, il quale viene attaccato del tutto indipendentemente dalle sue scelte strategiche, così come Israele subisce le condanne morali di tanti presunti "progressisti" del tutto indipendentemente dal colore politico dei suoi governi. Ecco il pezzo di Menichini:

A qualcuno sarà sfuggito, ma cinque giorni fa s’è svolto a Tel Aviv un grande Israele Day. Centinaia di migliaia di persone, appassionate del proprio paese, della sua esistenza, delle sue leggi, della sua religione, in una piazza carica dei colori e dell’orgoglio nazionali.
Ogni giorno, si svolge al di là dell’Atlantico un colossale e "diffuso" Usa Day.
È il rito non stanco e non inutile di una democrazia che si guarda in faccia, si appassiona, partecipa, parteggia. Tutti americani che amano il proprio paese e gli sono fedeli, e che si dividono sul suo presente e sul suo futuro.
Israele Day e Usa Day fatti da persone in carne e ossa, patrioti veri. Non messe in scena di cartone, con cori improbabili e bandiere accattate all’angolo, come le manifestazioni che ci ha propinato in questi anni in Italia un centrodestra ansioso di significare qualcosa.
Hanno subìto troppo, i progressisti, italiani vittime di un senso di colpa ingiusti ficato. Da Tel Aviv e dagli Usa arriva un richiamo energico a non sopportare più la caricatura tratteggiata da una parte troppo influente di opininon makers. Il colossale artificio retorico per il quale, dopo l’11 settembre e la seconda Intifada, una parte è diventata il tutto e le destre americana e israeliana sono diventate l’emblema da difendere, pena l’accusa di tradimento o di inimicizia.
Antiamericani. Nemici di Israele.
Andassero a dirlo in piazza Rabin, davanti agli striscioni di Peace Now, all’ex capo dello Shin Bet che tratta coi palestinesi moderati, al padre del militare ucciso, furioso con gli estremisti del Likud.
Lo spiegassero a quei milioni di americani che addirittura chiedono il ritiro dei marines dall’Iraq entro sei mesi, che si vergognano di Rumsfeld, che fanno precipitare Bush nelle stime d’opinione.
C’è a destra chi si innervosisce per distinzioni del tipo «sto con l’America, non con Bush», «con Israele, non con Sharon». Pazienza, correremo il rischio di straniare questi fanatici neofiti, questi incoscienti fomentatori di una «Jihad giudaico-cristiana», dal presidente del senato al direttore del Foglio.
Anche perché, sapete che cosa c’è di nuovo? Che quelle frasi, così indegne alle loro orecchie, stanno diventando opinione di maggioranza nei due paesi così maldestramente difesi. In quelle due democrazie, strette e quasi soffocate da una esigenza di sicurezza che gli europei non riescono a capire fino in fondo, si vanno affermando parole di pacificazione che ieri sembravano impossibili.
Vinceranno le posizioni pacificatrici? Si faranno maggioranza politica ed elettorale, come pare stia accadendo almeno negli Usa? O saranno di nuovo travolte dalla violenza e dall’urgenza di reagire? Non lo sappiamo. Però in quelle società libere si ascoltano voci che qui subirebbero l’anatema. «Antiamericano».
«Nemico di Israele». Solo che c’è chi giudica antiamericani gli ordini dati ai carcerieri di Abu Ghraib. E c’è chi pensa che nemici di Israele siano anche i coloni che fermano il piano Sharon.
Ecco l’errore degli ideologismi d’ogni tipo, che bruciano le bandiere o le alzano come clava. Sottovalutano la forza della democrazia, la possibilità sempre presente di un cambiamento, la meraviglia che a una stessa bandiera nazionale possano corrispondere politiche diverse.
Sarà per questo che ai fondamentalisti crociati de noantri, proprio adesso, le "molli" democrazie occidentali cominciano a stare così strette. Perché forse stanno per dargli qualche dispiacere.
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