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Il Foglio-Il Riformista Rassegna Stampa
13.05.2004 Dobbiamo guardarle e non dimenticarle mai più
per comprendere la barbarie dei nemici implacabili dell'Occidente

Testata:Il Foglio-Il Riformista
Autore: la redazione
Titolo: «La decapitazione di Nick Berg»
Riportiamo due editoriali sulla esecuzione spietata di Nick Berg. Dal Foglio e dal Riformista.

Ecco il Foglio:

Daniel Pearl, l’altro americano ed ebreo finito con la testa mozzata dai jihadisti, la sapeva lunga, era un reporter del Wall Street Journal. Fabrizio Quattrocchi, l’italiano finito con un revolver nel carcere terrorista, aveva occhi di brace. Nick Berg, la cui testa sanguinante di fresco onora la prima pagina di questo giornale come un manifesto di compassione e di eterna inimicizia verso chi l’ha trinciata, aveva talento per le radioline fatte in casa, per i cavi e le antenne. Chiamava Bergology la sua tecnica amatoriale di minuscolo genio della meccanica, impartiva lezioni agli studenti più piccoli dei corsi estivi, accettava la guerra per la sicurezza e la democrazia in medio oriente, cercava fortuna dalle parti di Baghdad. Suo padre, Michael, si oppone alla guerra, e del figlio decollato ha detto che "la vedeva come un tentativo di portare la democrazia in un paese dove non c’era". Il New York Times riferisce che un suo vicino di casa a West Chester, in Pennsylvania, ha partecipato a una veglia con le candele, martedì sera, e ha detto: "Era un ragazzo fantastico. Chiunque desideri un figlio, lo vorrebbe come Nick". Retorica, naturalmente. Buona vecchia retorica di una comunità americana che amava il suo piccolo figlio ebreo, il suo avventuroso incaponirsi con le situazioni difficili, la sua ambizione di fare in Iraq il proprio start up, un minuscolo business di antenne nell’industria della ricostruzione dopo Saddam Hussein. Retorica. Ma c’è un immenso problema di retorica, in questa parte del mondo che si chiama Occidente. La nostra retorica umanitaria non prevede la guerra, la tragedia, l’inevitabile. Non sappiamo più che cosa sia un nemico, come raccontare la sua vigorosa e spavalda crudeltà. Non sappiamo amarlo evangelicamente né combatterlo biblicamente. L’unico nemico che conosciamo è quello dentro di noi, la tentazione del male radicale che ci attanaglia e ci ammutolisce e ci rende ciechi, il senso di colpa che lascia nell’invisibilità i testimoni e martiri della guerra sporca che l’Islam radicale ci ha dichiarato. Abbiamo stabilito in un batter d’occhio l’equivalenza morale dell’Occidente e della barbarie fondamentalista. Non aspettavamo altro. Abbiamo dimenticato la differenza logica tra la tortura come legge, la loro, e la tortura come violazione degradante della legge e della disciplina militare, la nostra. La retorica d’altra parte è una forma di conoscenza, che il Jihad intriso di tradizione e di profezia conosce e sa ammannire infallibilmente, porgendola nei toni e nelle ombre caravaggesche della decapitazione sacrificale. Loro hanno il senso del sacro, nella morte e nella vita. Noi facciamo della banale autoanalisi. Se continua così, vinceranno loro.
Il Riformista invita a guardare le immagini della decapitazione del giovane americano, con un titolo molto sgnificativo: "Anche i pacifisti guardino quel video"
Consigliamo a tutti di guardare il video della decapitazione dell’ostaggio americano, che circola su Internet. Bisogna guardare in faccia l’orrore, anche se non è degno dell’umanità degli occhi che lo guardano. Quella testa mozzata a fatica, con tutto il lavorio fisico che comporta, e il tempo che ci vuole, e l’abisso in cui sprofonda un po’ alla volta, nella più odiosa delle torture, la vittima, è in fin dei conti la ragione per cui l’Occidente è in guerra con il terrorismo islamico. E, seppure per vie contestate e non condivise, è la ragione per cui gli americani, gli inglesi e anche gli italiani sono nell’inferno iracheno. La ragione è l’11 settembre, la sfida senza precedenti e
senza attenuanti che Al Qaeda ha portato non alla nostra civiltà, ma alla civiltà. La decapitazione dell’altro giorno è una sorta di reminder: ricordate l’11 settembre, ricordate la gente che si buttava nel vuoto, ricordate le migliaia di vittime sotto le macerie polverizzate? Diciamoci la verità, ormai se lo ricordano solo gli americani. Dagli occhi spiritati di quell’altro americano in tuta arancione, staccati dal corpo che fino a pochi minuti prima servivano, ci viene un invito a ricordare la causa prima, chi ha cominciato, e perché non è ancora finito. E sarebbe stato bello se qualcuno dei pacifisti nostrani, che si oppone alla guerra e alla violenza, l’avesse detto, muovendosi
a pietà anche per una vittima a stelle e strisce. Quell’orrore non consente certamente vendette, non consente barbarie parallele e speculari. Non consente nient’altro che una guerra senza quartiere al terrorismo. Soprattutto, non consente fughe.
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cipiace@ilriformista.it

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