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Libero Rassegna Stampa
12.05.2004 I tredici palestinesi della Natività ancora in Europa
tanto benvoluti da Romano Prodi

Testata: Libero
Data: 12 maggio 2004
Pagina: 7
Autore: Mario Prignano
Titolo: «Prodi adotta tredici terroristi palestinesi»
A proposito della vicenda dei tredici terroristi palestinesi catturati all'indomani dell'assedio alla basilica della Natività e alla loro custodia da parte delle autorità italiane ed europee, Mario Prignano su Libero di oggi, mercoledì 12 maggio '04, fa il punto della situazione.

Secondo Israele si trattava di «terroristi molto pericolosi», gente abituata a pianificare attentati suicidi, miliziani delle "Brigate Al-Aqsa". Quando l’Unione europea decise di ospitarli entro i suoi confini «per motivi umanitari», il governo di Gerusalemme assicurò che non ci sarebbe stata «alcuna azione» per riprenderli, portarli indietro e giudicarli in tribunale. Un accordo formale con l’Autorità palestinese era lì a garantirlo. Ma ora, a due anni dall’assedio della basilica della Natività di Betlemme e dal conseguente esilio dorato per quei tredici palestinesi che ne furono protagonisti, a Bruxelles hanno deciso di interrogarsi. Sarà il caso di tenerseli ancora sul grappone? Oppure, visto il carattere «temporaneo» della loro permanenza nella Ue, è arrivato il momento di rispedirli indietro? L’Europa di Romano Prodi, l’Europa delle polemiche sul razzismo e sull’antisemitismo, preferisce di no. Meglio tenerli ancora un po’ qui, sotto la protezione di Bruxelles. Gli israeliani capiranno. La vicenda ha i contorni di un vero intrigo internazionale, che vede coinvolti tanto l’Unione europea e Israele quanto gli Stati Uniti e il Vaticano, come «osservatori» e «garanti», nonché, ovviamente, l’Autorità palestinese. Da noi, in Italia, l’apparente linearità della storia si incrina a fine dicembre scorso, quando, senza alcuna spiegazione ufficiale, il decreto che garantisce l’ospitalità nel nostro Paese a Muhammad Said Attalllah Salem, Khaled Abu Nijmeh e Ibrahim Mahmud Salem Abayat scade e non viene rinnovato. Sembra una dimenticanza, le fonti ufficiali di Vicinale e Farnesina tacciono, mentre ufficiosamente si fa sapere che «per noi non cambia niente: i tre rimangono dove sono» (in Sardegna o in Veneto, secondo indiscrezioni). La realtà è che i sei Paesi che ospitano i palestinesi della Natività: Italia, Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo e Belgio, hanno tutta l’intenzione di troncare la permanenza di quei signori sui loro territori. Il contesto internazionale, la guerra in Iraq che si pensava finita e invece è ancora lì che infiamma il Medio oriente, la ripresa di attentati in Israele: tutto suggerisce di sbarazzarsi di quel carico ingombrante. La presidenza di turno irlandese viene incaricata di trovare una mediazione accettabile con Israele affinché i miliziani se ne possano tornare da dove sono venuti. Ma bisogna far presto, l’idea è quella di chiudere entro il mese di maggio. A Bruxelles si costituisce un "tavolo" dove a rappresentare la Farnesina viene spedito l’ambasciatore Riccardo Sessa, direttore generale per gli affari del Medio Oriente. Il suo mandato è chiaro: arivare ad un accordo generale che consenta ai palestinesi di tornare «nella loro regione», come si esprime una fonte ufficiale. Ma le cose appaiono subito complicate.
Nel palazzone bianco sede del nostro ministero degli Esteri eviterebbero volentieri di affrontare l’argomento, almeno fino a quando non si saranno chiarite le cose a Bruxelles. Alla fine, più o meno ufficialmente, dall’entourage di Frattini fanno sapere che la linea dell’Italia sarebbe quella di rimandare i palestinesi a casa loro, ma sempre che risponda ad una «posizione comune europea». Posizione comune che però, al momento, non coincide con quella dell’Italia se è vero, come dicono alla Farnesina, che per il rientro dei tredici «non ci sono le condizioni». Che cosa è successo? Chi è che sta frenando? La spiegazione è semplice: Bruxelles non è riuscita ad ottenere da Israele sufficienti garanzie che, una volta tornati in patria, i cittadini palestinesi non vengano processati e condannati per terrorismo. Da qui la decisione di assegnare ai tredici della Natività un altro periodo di «permanenza temporanea» in Unione europea, «nell’attesa che prima o poi la situazione in Medio oriente registri un qualche miglioramento», sospira uno di quelli impegnati nel negoziato. Insomma: quella copertura politica che l’Italia non voleva più dare, i miliziani ricercati da Israele l’avranno dall’Europa di Prodi.
Dunque si va verso un altro decreto, altre spese, altre responsabilità. Ma in una vicenda tanto intricata, dove quasi nulla è come appare, neanche si può essere certi che il governo stia per varare un nuovo decreto come quello del 2002, che al costo di 300mila euro al semestre garantiva una copertura ai tre uguale a quella dei collaboratori di giustizia. Intanto perché negli ultimi cinque mesi le spese per dare assistenza e anonimato ai miliziani ospiti dell’Italia sono andate a carico del bilancio del Sisde, che per essere utilizzato non ha bisogno di copertura legislativa. Niente vieta al nostro governo di continuare così anche nel futuro. In secondo luogo, è anche possibile che la soluzione ricercata adesso dall’Unione europea non sia altro che il tentativo di dare seguito ad una situazione precaria adottata già da qualche mese, grazie alla quale i tredici sarebbero liberi di vagare al di là di quei Paesi che li hanno ospitati, ma non di rientrare nei Territori palestinesi. Una situazione che non comporta esborso di denaro pubblico, ma che all’atto pratico lascia intatta la sostanza politica della faccenda: quella di un’Unione europea evidentemente interessata a non turbare in alcun modo i rapporti con l’Autorità palestinese. Due anni fa, quando dopo quaranta giorni di angosce l’occupazione della Natività da parte di milizie armate palestinesi giunse finalmente a conclusione, Prodi parlò della soluzione trovata come di un «successo per l’Europa». Ricordò, il presidente della Commissione, che «nella guerra dei Balcani si diceva "cosa fa la Francia" o "cosa fa la Germania": adesso nella crisi della Palestina tutti si chiedono cosa fa l’Europa». La risposta è che a ventiquattro mesi di distanza si tiene ancora stretti i suoi miliziani.
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