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La Repubblica Rassegna Stampa
30.04.2004 Arafat e il bene dei palestinesi
per il quotidiano dell'Ing. de Benedetti sono la stessa cosa

Testata: La Repubblica
Data: 30 aprile 2004
Pagina: 20
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «"Su Gaza o con me o con Hamas": Sharon chiama il Likud a schierarsi»
Su Repubblica di oggi, venerdì 30 aprile '04, Alberto Stabile dedica il suo articolo al referendum interno del Likud sul ritiro israeliano da Gaza. Riportando le previsioni dei sondaggi pubblicati dai principali quotidiani israeliani, il giornalista spiega che Sharon si trova in minoranza e per questo il premier pone la scelta su un piano esistenziale per i membri del Likud: o con lui o con Arafat e Hamas. Stabile, commentando questa affermazione, scrive: "...e su questo punto non può passare inosservata la contraddizione secondo cui per Bush il piano di ritiro è un'opportunità storica per i palestinesi, mentre per Sharon è un colpo tremendo da cui non si riprenderanno mai."
Si tratta di un commento figlio della nostalgica identificazione tra Arafat e il bene per i palestinesi, che tanto è cara alle anime belle rivoluzionarie, ma che nei fatti è più che smentita. Il ritiro da Gaza è sì un'opportunità per i palestinesi, a patto però che l'amministrazione della Striscia non passi al corrotto regime di Arafat o, peggio ancora, ai fondamentalisti di Hamas. Se uomini nuovi, alla Mohammed Dahlan per intenderci, riusciranno a ritagliarsi uno spazio rilevante all'interno dell'Anp si potrà realizzare quello che molti auspicano a cominciare dai palestinesi stessi: una riforma stessa di quest'ultima in chiave democratica.
Ecco l'articolo.

(a cura della redazione di Informazione Corretta)

GERUSALEMME - «Non si può essere allo stesso tempo con me e contro il piano che sto promuovendo. Chi crede in me deve votare a favore del mio piano di disimpegno da Gaza. Altrimenti, sarà una vittoria per Arafat e per Hamas che, in definitiva, porterà al crollo del Likud». Sorpreso dai sondaggi che non gli concedono molte speranze, Ariel Sharon ha deciso di non lasciar nulla d´intentato pur di convincere i recalcitranti iscritti del suo partito, che domenica 2 maggio dovranno esprimersi sul piano di ritiro da Gaza in un referendum senza valore legale, ma dall´innegabile significato politico, a credere ancora una volta in lui.
Il quadro dei pronostici sull´esito della consultazione è tutt´altro che roseo. Secondo l´ultimo sondaggio condotto dalla Radio di stato, il 51 per cento del popolo del Likud è contrario al ritiro da Gaza, il 39 è favorevole, il resto è indeciso. Il giornale Yedioth Aaronoth: 47 per cento contrari, 39 a favore, gli altri indecisi. Maariv, il meno drastico: 47 per cento contrari, 45 a favore, gli altri incerti. È sotto l´influsso negativo di questi numeri che Sharon ha deciso di lanciare l´estremo appello dei condottieri che sentono venir meno il sostegno delle truppe. Chi non è con me è contro di me, ha in sostanza esclamato il primo ministro, in un appassionato monologo raccolto e rilanciato da giornali, radio e tv. Sharon ha evocato la mozione degli affetti, il carisma che circonda la sua persona (per molti è pur sempre «Arik Re d´Israele»), l´orgoglio nazionalista di non dargliela vinta ai palestinesi. E su questo punto non può passare inosservata la contraddizione secondo cui per Bush il piano di ritiro è una opportunità storica a favore dei palestinesi, mentre per Sharon è un colpo tremendo da cui non si riprenderanno mai.
Nella sua perorazione, Sharon ha accusato i suoi rivali di «mentire consapevolmente», di rozzezza e di usare un «linguaggio osceno». E, pur senza usare questo termine, ha adombrato l´esistenza di una trama: «Il piano dell´estrema destra è di rovesciare il governo, convocare le elezioni e così impedire che venga presa qualsiasi decisione per almeno un anno». Ma, ha giurato Sharon, «questa volta l´estrema destra non riuscirà (a rovesciare il governo del Likud) com´è accaduto in passato». Non bastasse tutto questo, Sharon ha messo in guardia sulle conseguenze che una bocciatura del piano potrebbe avere nei rapporti con gli Stati Uniti: «Sarebbe un duro colpo al prestigio del presidente Bush, uno dei più grandi amici d´Israele che fronteggia il terrorismo mondiale e pensa che questo piano sia eccellente». Infine, un barlume di cauto ottimismo: «Non sarà semplice, ma vincerò». Ma che succederà se, invece, il piano di ritiro viene bocciato? Ariel Sharon s´è ben guardato dal dire che si dimetterà dalla carica di primo ministro, avendo il referendum un valore esclusivamente consultivo e interno al Likud. Né il premier ha anticipato se e quando presenterà il piano all´approvazione del governo e, quindi della Knesset, dove potrebbe urtarsi contro l´intransigenza di alcuni partiti della coalizione (il Partito Nazionale e religioso e l´Unione Nazionale) oltre che di alcuni suoi stessi colleghi di partito (Nethanyahu, Livnat, Shalom) che aspettano seduti sulla sponda del fiume i risultati del referendum. Avendo scelto di procedere per strade parallele, com´è nel suo carattere e nella sua storia di condottiero decisionista, portando il piano all´approvazione di Bush, prima che del governo e del parlamento, Sharon è adesso costretto a navigare in mare aperto. L´unica certezza è che la maggioranza della popolazione israeliana, contrariamente agli iscritti del Likud, è a favore del ritiro da Gaza. Ma nell´ordinamento costituzionale israeliano non c´è l´istituto della consultazione referendaria. Davvero, un bel rompicapo.
E a due giorni dal referendum interno al Likud sul piano di «separazione» di Sharon, sull´altro fronte Yasser Arafat tenta di rilanciare il dialogo interno per il controllo nella striscia di Gaza e convoca una riunione con i rappresentanti di tutti i movimenti dei territori, compresi Hamas e Jihad islamica.
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