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La Repubblica Rassegna Stampa
29.04.2004 Fra Peres e Sharon: poche le differenze
una risposta a chi vuol far creder il contrario

Testata: La Repubblica
Data: 29 aprile 2004
Pagina: 13
Autore: Stefania Di Lellis
Titolo: «"Al governo con Sharon ma trattiamo con l´Anp"»
Su La Repubblica di oggi, giovedì 29 aprile '04, viene pubblicata un'intervista a Shimon Peres, il quale si dice disposto ad entrare in un governo di unità nazionale insieme a Ariel Sharon. Peres afferma di essere d'accordo con il piano di ritiro da Gaza e su altri punti della politica di Sharon. Un'intervista che farà bene ai lettori del quotidiano dell'Ing. de Benedetti, abituati come sono a leggere le cronache anti-Sharon di Alberto Stabile.

(a cura della redazione di Informazione Corretta)

ROMA - «La Road Map è viva» e Shimon Peres lotta per mantenerla tale. Oggi come capo dell´opposizione, ben presto probabilmente dalla poltrona di ministro in un nuovo governo Sharon, in Israele dato da molti per scontato e imminente. E mantenersi sulla strada tracciata dal Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue) è una delle condizioni che il premio Nobel per la pace porrà al premier. Lo spiega lui stesso a Repubblica durante una visita-lampo a Roma. Confermando così la disponibilità laburista a entrare nella squadra di Sharon se i partiti di ultradestra realizzeranno la minaccia di abbandonare il governo in disaccordo con il progettato ritiro da Gaza.
Tornerà presto ministro, dunque?
«Bisogna aspettare e vedere cosa accadrà. Il 2 maggio ci sarà il referendum del Likud sul piano-Gaza. Dopo, i partiti di governo valuteranno che fare, cioè se ritirarsi o meno dalla coalizione. Una cosa è chiara però: per appoggiare il ritiro dalla Striscia come membri del governo pretenderemo il rispetto di precise garanzie».
Quali?
«Il ritiro deve essere concordato con i palestinesi, in particolare con il premier Abu Ala. Non si può immaginare di lasciare un vuoto di potere a Gaza, sarebbe il caos. Sharon se ne renderà conto. Secondo, vanno valutate attentamente le conseguenze sulla popolazione: nella Striscia le condizioni economiche sono pessime e il ritiro unilaterale rischia di aggravare la situazione. Terzo, non ci si può ritirare da Gaza lasciando nel vago cosa accadrà in Cisgiordania: noi vogliamo un pieno ritiro anche dalla West Bank e la creazione di uno Stato Palestinese. In sostanza il disimpegno da Gaza deve essere iscritto nel percorso tracciato dalla Road Map».
Sharon si è detto del tutto sfiduciato sulla possibilità di un negoziato con i palestinesi, che è il fondamento della Road Map.
«L´Anp non fa abbastanza per tenere fede ai propri impegni, per far ripartire il dialogo. Arafat non agisce e così continua a danneggiare il suo popolo».
Come può allora immaginare di negoziare con l´Anp il ritiro da Gaza?
«Bisogna dialogare con Abu Ala».
Arafat non è più dunque un interlocutore neanche per lei?
«Arafat è un problema palestinese, non israeliano. Tanti a Gaza, in Cisgiordania sono stanchi del terrorismo, vorrebbero pace. Ma lui non usa i suoi 40 mila uomini della Sicurezza per fermare la violenza. Così la politica palestinese resta in balia di Hamas, di terroristi che hanno un´agenda di morte e non di sviluppo e prosperità».
Nei giorni scorsi Sharon ha detto di ritenersi sciolto dall´impegno preso con Bush di non colpire Arafat. Lei stesso si è detto d´accordo sulla possibilità di "spostarlo" da Ramallah a Gaza. Lo ribadisce?
«Se Arafat usasse finalmente le forze di sicurezza per fermare il terrorismo e se decidesse volontariamente di trasferirsi a Gaza, la situazione migliorerebbe».
Crede plausibile un suo trasferimento volontario?
«Secondo alcuni palestinesi potrebbe esserlo».
Dopo l´uccisione del leader di Hamas Rantisi lei ha sottolineato che Israele ha il diritto di difendersi. Appoggia dunque la politica delle "eliminazioni mirate"?
«Usare l´assassinio come metodo per eliminare un avversario politico non è accettabile. Ma il ricorso alla forza è necessario di fronte a una minaccia immediata. E questo era Rantisi: una minaccia immediata, il mandante di attacchi terroristici. Per questo ho fatto una distinzione rispetto all´assassinio dello sceicco Yassin, che invece era un leader religioso».
Cosa accadrà con la nuova leadership di Hamas?
«Non è un problema di leadership, è un problema di ideologia. Con l´Olp si può trattare perché i termini dello scontro vertono sul territorio, sulla politica. Hamas invece parte da dogmi religiosi e vuole soltanto annientare Israele. E´ l´essenza di Hamas a rendere impossibile la trattativa. E´ quello che accade con Al Qaeda. Voi trattereste con Al Qaeda?».
La minaccia di Al Qaeda cresce nel mondo e con il complicarsi del conflitto iracheno sembra aumentare. Sull´onda delle proteste contro la guerra sale anche il sentimento anti-israeliano. Una nuova ombra sulle possibilità di pace in Medio Oriente?
«Israele non ha avviato questa guerra. Questo dovrebbero tenerlo ben presente tutti. Così come dovrebbe essere ricordato che anche gli Usa hanno reagito all´attacco del terrorismo, non hanno iniziato loro l´offensiva. Certo, oggi la situazione è difficile, ma io credo che in questo momento in Iraq si stia giocando una partita importante per il Medio Oriente: la scelta tra l´era delle dittature e la modernità».
Sposa l´idea di esportare la democrazia con la forza?
«No, ma vorrei anche chiedere a quanti si sono opposti all´intervento in Iraq quali alternative propongono. Non credo sia più tollerabile che tanti popoli restino in balia di dittatori».
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