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La Stampa Rassegna Stampa
29.04.2004 Antisemitismo: alla ricerca di rimedi
nella città dove venne pianificato lo sterminio del popolo ebraico

Testata: La Stampa
Data: 29 aprile 2004
Pagina: 14
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Consulto a Berlino su un mondo malato di antisemitismo»
A Berlino si sta svolgendo in questi giorni la conferenza Ocse sull'antisemitismo, un argomento di cui Informazione Corretta ha deciso di occuparsi dal momento che, sovente, atteggiamenti anti-israeliani nascondono in realtà un pregiudizio antisemita di fondo. A questo proposito riportiamo l'articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato sulla Stampa di oggi.
E’ stata una anti-Durban, tre anni dopo la riunione dell’Onu tenuta in Sud Africa che da conferenza contro il razzismo diventò una conferenza antisemita. Alla conferenza dell’Osce nella capitale tedesca ieri Colin Powell ha esclamato: «Siamo qui, proprio a Berlino, per organizzare la nostra battaglia contro l’antisemitismo: siamo noi i nuovi combattenti, perché quel mostro non è nella storia ma è davanti a noi, oggi, con tutto il suo orrore. Le prossime generazioni non devono conoscerlo».
Berlino, nella sede marziale ed enorme del ministero degli Esteri, a pochi passi dal Bundestag, dalle piazze e dalle strade in cui fu annunciato lo sterminio degli ebrei negli Anni Trenta e dove marciarono le armate di Hitler: «Non posso fare a meno di guardarmi intorno - ha detto il Premio Nobel sopravvissuto all’Olocausto Elie Wiesel - e pensare quanto sia importante che questa riunione si svolga proprio in questa città». L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ha invitato mille delegati di tutti i 55 Stati membri: si tratta dei Paesi europei, del Caucaso, dell’Asia Centrale, del Mediterraneo (cinque arabi più Israele), oltre a Giappone, Thailandia, Corea del Sud e Afghanistan. I personaggi che hanno preso la parola sono quelli che decidono la politica mondiale, e gli intellettuali che hanno maggiore esperienza della vicenda degli ebrei: Colin Powell, Joschka Fischer, Simone Weil, Miguel Moratinos, quasi tutti i ministri degli Esteri o i vice (per noi il sottosegretario Margherita Boniver).
La veste della conferenza, che è iniziata ieri mattina e che continua per tutta la giornata di oggi, è quella delle grandissime occasioni. Fa da sfondo a una svolta concettuale: si tratta del riconoscimento di un fenomeno lungamente negato, e talvolta perfino occultato come al tempo dell’analisi dell’Unione europea, della grande ondata di antisemitismo, del suo carattere «vergognoso per la civiltà, e ancora, sì, grandemente pericoloso e allarmante», come ha detto Fischer; e si tratta anche dell’imbarazzante acquisizione del fatto che il nuovo antisemitismo si connette, come ha detto la maggior parte degli oratori, a un’aggressiva propaganda contro lo Stato di Israele.
Fino dalla sua nascita, l’Osce ha usato per l’antisemitismo termini aspecifici: razzismo, xenofobia, e simili. Del resto, ogni altra grande organizzazione internazionale, e soprattutto l’Onu, ha evitato con costanza sorprendente di utilizzare la parola antisemitismo nelle sue risoluzioni. Nel 2002 furono gli Stati Uniti a proporre all’Osce l’attuale conferenza, e la cosa incontrò una certa resistenza: parliamone, si disse, ma su una linea «contro l’intolleranza in generale». In seguito, però, di fronte alla crescita enorme degli attacchi antisemiti, fisici e ideologici, l’Osce si è risolta a questa conferenza. In generale la considerazione dell’uso dell’antisemitismo come «strumento di lotta politica improprio contro lo Stato di Israele» è la novità della discussione di ieri.
C’è chi ci crede di più, come il presidente tedesco Johannes Rau, e chi di meno, come il ministro degli Esteri dell’Irlanda (ora alla presidenza dell’Unione europea) Brian Cowen. Quest’ultimo ha ripetuto nel suo intervento: guai a confondere la critica allo Stato di Israele con l’antisemitismo. Rau, invece, anche se con molti distinguo, ha ricordato «il momento più oscuro della storia dell’Onu», quando la risoluzione 3379 del 1975 dichiarò il sionismo uguale al razzismo. «Spesso dietro la critica si cela un messaggio antisemita, anche se Israele ha il diritto che hanno i veri amici, quello di essere criticati». Tuttavia, ha detto Rau, cerchiamo di immedesimarci con i figli degli scampati alla Shoah che, a causa del terrorismo suicida, seguitano a vivere una minaccia esistenziale».
Ieri è anche circolato un nuovo rapporto del European Monitoring Center on Racism and Xenophobia: conferma la grande ondata antisemita in Europa e ammette, cosa che aveva celato in prima istanza, che essa abbia tra le sue cause il pregiudizio di ambienti di giovani musulmani nelle varie città europee.
Insomma, come uno schiaffo, l’antisemitismo si è mostrato con tutta la sua forza proprio a Berlino; è sembrato dettato dall’ansia di rimediare, finalmente, a un guaio inaudito il ritmo di lavoro di sei sessioni, tre workshop e svariati interventi straordinari come quello di Powell, di Wiesel, di Simone Veil; già nella prima giornata si sono affollati sui tavoli proposte per nuove leggi, nuovi curriculum di educazione, nuove regole: come punire, come insegnare? Studiare la storia dell’Olocausto? La cultura ebraica? La storia di Israele? Proibire? Consigliare?
Il grande nuovo scandalo dell’antisemitismo è infisso proprio nel cuore della globalizzazione, dove insieme con questo fenomeno si sviluppano l’intolleranza e anche il terrorismo. Ma quanto è complesso metterci le mani: per ora la più unificante è la proposta di Wiesel, che vuole fare uscire dalla conferenza un messaggio universale, «poetico», cui tutti nelle scuole e nella società debbano dedicare almeno un giorno all’anno di riflessione.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.



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