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La Stampa Rassegna Stampa
27.04.2004 Un'intervista prevenuta all'ambasciatore di Israele in Italia
ma Ehud Gol sa come rispondere

Testata: La Stampa
Data: 27 aprile 2004
Pagina: 10
Autore: Andrea Di Robilant
Titolo: ««Le minacce ad Arafat? Che stia sulla graticola»»
Sulla Stampa di oggi, 27 aprile '04, a pagina 10, viene pubblicata un'intervista all'ambasciatore di Israele in Italia, Ehud Gol, in occasione dello Yom Haazmaut. L'intervistatore, Andrea di Robilant, si pone nei confronti dell'ambasciatore in maniera provocatoria con domande che sono figlie delle critiche che vanno per la maggiora a proposito del governo israeliano. L'ambasciatore rintuzza efficacemente ogni insinuazione, tuttavia l'impressione di chi legge l'articolo non può che essere negativa nei confronti delle ragioni di Israele, poichè il giornalista parte prevenuto.
Il risultato è nell'intervista che pubblichiamo.

ROMA - C'era da aspettarselo: noi annunciamo il nostro ritiro da Gaza e dal Nord della Cisgiordania e cosa ci tocca leggere nei giornali? Che il nostro piano non è "kosher". Che puzza. Che c’è per forza qualcosa sotto. E perché dicono così? Perché a proporlo siamo noi israeliani, e tutto ciò che dice o propone Israele è sempre sospetto». Alla vigilia del 55° anniversario della nascita di Israele (oggi per il lettore), l’ambasciatore Ehud Gol ci riceve dopo una piccola cerimonia nel cortile dell’ambasciata per onorare i caduti in guerra nel Giorno della Rimembranza.
Non è questione di "kosher" o non "kosher", ambasciatore. L’annuncio unilaterale del governo Sharon ha suscitato sconcerto anche tra chi sostiene Israele ma non capisce più dove porti la politica di questo governo, dove voglia arrivare.
«Eravamo a uno stallo, per questo abbiamo deciso di agire unilateralmente. Ce ne andremo da Gaza e ce ne andremo dalla zona di Nablus e Jenin. Nel frattempo completeremo la costruzione del muro. Tutto questo impiegherà un paio d’anni. Noi speriamo che queste misure permetteranno di ridurre la violenza e di riaprire un negoziato. Invece di applaudirci, la comunità internazionale s’interroga sulle nostre intenzioni. Ma le nostre intenzioni sono sincere».
Sono in molti a pensare che Israele abbia ormai rinunciato alla prospettiva di una coesistenza con uno Stato palestinese.
«Sbagliano. Nonostante le uccisioni, nonostante gli attacchi terroristici, la grande maggioranza degli israeliani crede che alla fine di questo processo nascerà uno Stato palestinese. Anzi, sono di più a crederlo oggi che non qualche anno fa. La gente non dà a Sharon il credito che si merita: è stato lui, non Ehud Barak, il leader laburista, a parlare per primo e con chiarezza di uno Stato palestinese».
L’assassinio dei leader di Hamas - lo sceicco Yassin e Abdul Rantisi - non sono certo gesti conciliatori.
«I capi di Hamas sono assassini fuorilegge e dobbiamo eliminarli, liquidarli tutti prima che riescano a piazzare un’altra bomba».
Hamas ha scelto il nuovo leader ma non divulga il nome. Voi sapete chi è?
«Certo. E’ Mahmud al-Azar. Deve preoccuparsi anche lui? Certo che deve preoccuparsi anche lui».
E le minacce di Sharon ad Arafat?
«Che rimanga anche lui sulla graticola. Dice che vuole morire da martire. Beh, Rantisi diceva la stessa cosa e il suo desiderio è stato esaudito».
Ha letto l’appello del cardinale Sodano? Il segretario di Stato chiede che Israele torni a rispettare la legalità.
«Sono rimasto choccato. Non ho mai sentito questo signore esortare i terroristi a non uccidere israeliani. Il fatto è che Sodano vuole difendere gli interessi cristiani nel mondo arabo anche al costo della sicurezza di Israele. Quando personaggi come lui e altri in Europa la smetteranno di cercare l’appeasement con gli arabi forse le cose andranno meglio».
Altri in Europa?
«Non l’Italia, che rimane al fianco degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Ma la Spagna? Io li conosco gli spagnoli: sono stato ambasciatore a Madrid. Per loro l’aritmetica è semplice: un solo Stato di Israele, 22 Stati arabi, 55 Stati musulmani. Hanno deciso di essere concilianti verso il mondo arabo perché non vogliono essere attaccati».
E’ un’analisi un po’ semplicistica.
«Sono i fatti».
Non teme che ogni leader di Hamas ucciso produrrà ondate di nuovi kamikaze?
«E cosa dovremmo fare? Non muoverci per poi consolarci con le lettere di condoglianze degli europei?»
Un sondaggio ha messo in risalto che la nuova politica israeliana ha allargato il sostegno di Hamas tra i palestinesi al punto che oggi è più popolare di Al Fatah di Arafat?
«Ma chi ha fatto questi sondaggi? E’ roba cucinata per il consumo dei media. Come si fa a condurre un sondaggio in una società totalitaria? A noi risulta che centinaia di migliaia di palestinesi sono stufi perché stanno peggio di prima. Ma hanno paura di dirlo a voce alta».
Spesso accusate chi critica la politica di Israele di essere antisemita. Non è, anche questo, controproducente?
«Chi dice di non essere antisemita ma di essere solo contrario alla politica di Israele in realtà porta una maschera per celare il suo antisemitismo. Purtroppo un nuovo antisemitismo sta crescendo in Occidente. Anche il successo del film di Mel Gibson ne è la conferma. E questo nuovo antisemitismo è alimentato in larga parte dalla forte presenza islamica nei Paesi occidentali».
Anche in Italia?
«In Italia non vediamo gli stessi livelli di antisemitismo che ci sono in altri Paesi europei, come ad esempio in Francia, dove bruciano le sinagoghe. Ma proprio di recente mi è capitato di vivere un brutto episodio».
Racconti.
«Ero a Siena per vedere un incontro di basket tra la squadra locale e il Maccabi di Tel Aviv. In realtà io tifo per una squadra di Gerusalemme, ma ogni volta che il Maccabi passava in testa il pubblico urlava "Merda ebrei". Ho pensato: che vadano all’inferno, quei bastardi, adesso gli ebrei di merda gliele suoneranno. E così ho tifato per il Maccabi. E li abbiamo sconfitti».
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