Intervista della BBC al capo di Hamas, Khaled Meshaal Quale dialogo con lui?
Testata: Il Foglio Data: 22 aprile 2004 Pagina: 3 Autore: Tim Sebastian Titolo: «Israele ha diritto di esistere? Domande a muso duro al capo di Hamas, Meshaal»
Dal Foglio di oggi riportiamo una lunga intervista di Tim Sebastian per conto della BBC al capo di Hamas Khaled Meshaal che "opera" a Damasco.Fa riflettere sulla ritrovata serietà dell' ente statale inglese. Per incontrare il giornalista britannico l'appuntamento è stato spostato a Beirut. Ecco una breve nota sul capo terrorista e poi l'intervista.
Khaled Meshaal, se non è il capo di Hamas (l’organizzazione ha scelto di non rivelare il nome del nuovo vertice per non esporlo alle azioni israeliane), è certamente uno dei più importanti leader rimasti del gruppo, l’uomo più ricercato dai servizi segreti di Gerusalemme, l’obiettivo del governo Sharon, che nel giro di poche settimane ha eliminato il leader spirituale di Hamas, Ahmed Yassin, e il suo successore, Abdel Aziz Al Rantisi. Meshaal è già sopravvissuto una volta, nel 1997, a un tentativo di assassinio da parte del Mossad. L’importanza del suo ruolo in Hamas non è dunque nuova. Nato nel 1956 in un villaggio vicino a Ramallah, Meshaal si è poi trasferito insieme con la famiglia in Kuwait. All’università è stato capo del movimento degli studenti palestinesi e dopo la laurea ha insegnato fisica. E’ sposato dall’81 e ha quattro figli e tre figlie. La svolta arriva nel ’90, con l’invasione irachena del Kuwait, che ha costretto Meshaal a trasferirsi in Giordania. Qui ha abbandonato la carriera di professore per dedicarsi alla militanza in Hamas, diventando l’incaricato della raccolta di fondi, intrattenendo contatti con Iran e Siria. E’ proprio nel suo ufficio di Amman che sono andati a cercarlo gli uomini dei servizi israeliani, travestiti da turisti canadesi, inniettandogli del veleno in un orecchio. E’ 1997 e l’operazione è stata autorizzata dal governo Netanyahu. A salvare Meshaal, che riesce ad arrivare in ospedale, è re Hussein di Giordania (reduce da un trattato di pace con Israele, tre anni prima) che, grazie all’intervento del presidente americano Bill Clinton, ha convinto Israele a fornire l’antidoto al veleno iniettato a Meshaal, e non solo. Avviene anche la liberazione di alcuni progionieri e la scarcerazione di Yassin. Nel ’99 Meshaal, dopo una breve carcerazione, costretto a lasciare la Giordania alla volta prima del Qatar, poi della Siria, a causa un mandato di arresto emesso da Amman, probabilmente sotto pressione americana. successore di re Hussein, Abdallah II, chiude le sedi di Hamas nel paese. A Damasco, Mashaal diventa il capo dell’ufficio politico di Hamas, il più alto organo decisionale dell’organizzazione. Nel 2003 è stato il rappresentante di Hamas ai colloqui tra i gruppi palestinesi organizzati dall’Egitto per ottenere una tregua. Come Rantisi, Meshaal si dice contrario a ogni forma di accordo con lo Stato d’Israele. Mi trovo a Beirut, capitale del Libano, dopo una straordinaria giornata di colloqui a muso duro. Sono stato invitato qui per incontrare il leader del gruppo palestinese Hamas, considerato dall’Europa e dall’America una delle organizzazioni terroristiche più pericolose al mondo. Il suo leader è giunto qui dalla Siria, protetto da un imponente apparato di sicurezza. Ho dovuto cambiare più volte l’auto su cui viaggiavo, e alla fine mi sono trovato su un van con i finestrini scuri, che mi ha portato in un luogo ignoto. Così, mi sono trovato davanti al leader di Hamas, solo pochi giorni dopo l’assassinio del suo leader spirituale, lo Sheikh Yassin.
Tim Sebastian: Signor Khaled Meshaal, un caloroso benvenuto alla nostra trasmissione. Dopo l’assassinio di Sheikh Yassin, Hamas sta progettando un nuovo ciclo di violenza in nome di un’inutile e cieca vendetta? Khaled Meshaal: In Palestina il massacro continua a causa di tutti i precedenti crimini commessi da Israele, e non è cominciato dopo l’assassinio di Yassin. I crimini dei sionisti esigono una risposta da parte dei palestinesi. E’ una cosa del tutto normale. Questo tipo di reciprocità è riconosciuta da tutte le leggi umane e divine. TS: Ma dove vi porta? Dove vi porta questa forma di ritorsione? (…) Non avete proprio nient’altro da offrire? KM: Il nostro obiettivo è quello di porre fine all’occupazione e non quello di uccidere la gente. Se il mondo fosse giusto nei nostri confronti e ci restituisse le nostre terre e i nostri diritti, non ci sarebbe bisogno di nessuna lotta e nessuna resistenza. TS: Vi fa forse sentire meglio vendicarvi e vedere per la strada i cadaveri degli israeliani? KM: Saremo contenti solo quando sarà terminata l’occupazione. Speriamo che non si debba spargere altro sangue in Palestina, ma il responsabile è chi ha iniziato l’aggressione. Lo Sheikh Ahmed Yassin era un religioso, costretto su una sedia a rotelle, ma ciononostante è stato colpito dai sionisti con due missili, ossia da armi americane. Il popolo palestinese ha il diritto di rispondere a quest’aggressione. TS: Yassin era un uomo che ordinava l’assassinio di civili israeliani. Non si può davvero mettersi a protestare se è stato ucciso a sua volta. KM: Yassin non dava nessun ordine di uccidere. La resistenza palestinese ha una specifica ala militare che combatte sul campo. E’ un diritto assolutamente naturale. TS: Forse non ordinava gli assassinii personalmente, però li approvava. KM: Le operazioni condotte dalla resistenza non hanno bisogno della decisione di nessuno. Ogni palestinese conosce il proprio dovere. Ogni palestinese che vede i crimini degli israeliani sa come deve agire. L’ala militare di Hamas sa bene qual è il suo dovere. Fa il proprio dovere difendendo il popolo palestinese, rispondendo all’aggressione israeliana e resistendo all’occupazione. TS: Voi non state difendendo proprio nessuno. Le vostre tattiche non difendono affatto il vostro popolo. Non c’è un solo palestinese che voi possiate proteggere da un attacco degli F-16 o dei carrarmati israeliani. KM: Noi difendiamo il nostro popolo anche se c’è una grande disparità di potenza, anche se le armi israeliani sono molto più sofisticate. L’esercito di occupazione israeliano deve capire che per ogni suo crimine ci sarà una risposta palestinese. TS: Voi colpite donne e bambini. E’ il terrorismo più brutale che esista. KM: Il nostro obiettivo non sono né le donne né tantomeno i bambini. Fin dal principio, la resistenza palestinese si è concentrata su obiettivi militari e sui coloni. TS: Allora, gli attentatori suicidi non salgono sugli autobus per colpire i civili? (…) KM: Non avevo ancora terminato di rispondere. Ho detto che la resistenza palestinese si è concentrata all’inizio su obiettivi militari e sui coloni. Ma gli israeliani hanno compiuto dei crimini contro i civili nella moschea di al Aqsa a Gerusalemme nel 1990 e nella moschea di Ibrahim a Hebron nel 1994, uccidendo degli innocenti che stavano semplicemente pregando. TS: Quali sono le condizioni per un nuovo cessate il fuoco? KM: Per prima cosa Israele si deve ritirare; poi potremo cominciare a negoziare. Questa è la nostra terra, e ne abbiamo diritto. TS: Un ritiro entro i confini del 1967? KM: Lo consideriamo un passo positivo, ma abbiamo diritto su tutta la Palestina. TS: Il 9 gennaio lo Sheikh Yassin aveva detto a un’agenzia di stampa tedesca che Hamas sarebbe stata d’accordo a stipulare una pace provvisoria con Israele in cambio della creazione di uno Stato palestinese sulla base dei confini del 1967. Sta forse dicendo che questo non vale più? (…) KM: Noi rispettiamo ciò che ha detto Yassin. Ma la questionè è: Israele accetterà veramente il ritiro? Bisogna chiederlo prima alla forza occupante. Bisogna che innanzitutto si ritirino. E’ necessario che dichiarino di essere pronti a ritirarsi entro i confini del 1967; poi potranno anche chiedere a Hamas di decretare un cessate il fuoco. TS: Le sto chiedendo appunto quali sono le vostre condizioni. KM: Ho detto che per prima cosa Israele deve ritirarsi. E’ stato Israele a cominciare l’aggressione. Che ponga termine all’occupazione; poi si potrà negoziare qualsiasi cosa. TS: Gli israeliani devono ritirarsi; voi invece non dovete fare nemmeno una promessa. KM: Ho ripetuto ciò che aveva detto lo Sheikh Yassin. Siete stato voi a citarlo. Ho ripetuto ciò che aveva detto a proposito del ritiro entro i confini del ’67. Se Israele si fosse ritirato, ora potrebbe esserci una tregua. Hamas è convinta di questo. TS: Potrebbe; ma voi non avete dichiarato in modo definitivo che, se Israele si ritirasse entro i confini del ’67, la tregua ci sarebbe senz’altro. KM: In ogni caso, Israele deve innanzitutto ritirarsi; ma si rifiuta di farlo. Non ha rispettato gli accordi di Oslo. TS: Insomma, è Israele che deve fare la prima mossa. KM: Naturalmente. TS: Dunque, Israele deve muoversi per primo. Vi sembra un buon modo di impostare il negoziato? (…) No, sapete perfettamente non porterà a nessun risultato. Voi non offrite niente in cambio. Volete che Israele si ritiri, ma in cambio non offrite niente. KM: Abbiamo offerto delle positive iniziative. Abbiamo proposto un’iniziativa per evitare le vittime civili. Abbiamo proposto che Israele si ritiri entro i confini del 1967; a quel punto si aprirebbe la possibilità di una tregua tra noi e Israele. Abbiamo fatto diverse proposte, ma Israele, che è militarmente più forte ed è appoggiato dall’America, e dei cui crimini il mondo si rifiuta di parlare, non accetta di ritirarsi. Si rifiuta di riconoscere i diritti dei palestinesi. TS: Signor Meshaal, la storia ci racconta una versione diversa. Assolutamente diversa. Voi vi siete opposti a ogni tentativo di pace. Vi siete opposti al negoziato di Oslo e a quello di Madrid; avete condannato l’accordo di Ginevra, il rapporto Mitchell e quello di Tenet. La vostra organizzazione ha combattuto contro ogni tentativo di pace. KM: Perché tutti questi tentativi non favorivano la causa della pace, e l’attuale situazione ne è la prova lampante. A che cosa è servito Oslo? Ha forse raggiunto la pace? Tutti gli accordi che avete menzionato non hanno certo portato la pace. Al contrario, servono soltanto a legittimare l’occupazione, e offrono a Israele una nuova possibilità di espansione. Grazie a Oslo, gli insediamenti si sono ulteriormente ingranditi. TS: Pretendete un impegno della comunità internazionale; però voi non siete disposti a impegnarvi. Avete ancora uno statuto che prevede la distruzione di Israele. Nel vostro statuto è scritto che la Palestina nella sua interezza è un possedimento musulmano. Dov’è la terra per Israele? KM: Voglio farvi una domanda. Arafat ha ripetutamente offerto il proprio impegno; ma voi che ne avete fatto? Avete forse mostrato il minimo rispetto per il suo impegno? TS: Perché tirate in ballo Arafat? A voi di Arafat non importa nulla. Nel 2002 avete dichiarato: "Se vogliamo una vera riforma, dobbiamo cominciare dalla dirigenza. Quasi tutti i leader dell’Autorità palestinese (Anp,ndr) devono essere cambiati. A che cosa serve avere un’Anp, se non è capace di difendere il suo popolo?". Voi volete l’Anp tanto quanto volete l’esistenza d’Israele. KM: Al contrario; tra noi e l’Anp non ci sono problemi. Abbiamo visioni politiche diverse, ma negoziamo e discutiamo. TS: Io penso che invece ci siano enormi problemi tra voi e l’Anp. KM: Il vero problema è tra noi e Israele. TS: Allora perché nel 2002 avete fatto quella dichiarazione? Perché volevate toglierla di mezzo? KM: Non è affatto così. Eravamo semplicemente in disaccordo. TS: Ma avete detto proprio così. E’ scritto sul Daily Star di Beirut. "A che cosa serve avere un’Autorità palestinese, se non è capace di difendere il suo popolo?" KM: Sì, abbiamo criticato la corruzione dell’Anp e la sua rinuncia ai diritti dei palestinesi; ma non abbiamo invocato una battaglia contro l’Anp. Abbiamo chiesto riforme, onestà a tutti i livelli e impegno per i diritti del popolo palestinese. TS: Bisogna ammetterlo: è semplicemente una lotta di potere tra voi e l’Anp. Voi volete metterli fuori gioco, vero? (…) Voi non volete l’Anp più di quanto la voglia Israele. KM: No, non dovete metterci dalla stessa parte di Israele. L’Anp ha sbagliato quando ha trattato sui diritti dei palestinesi, ed è stata colpita da una grande corruzione. Ci siamo opposti a tutto questo perché andava contro l’interesse del popolo palestinese. TS: Allora, voi condannate l’Anp? Li condannate, e poi siete disposti a collaborare con loro? Le due cose non possono andare di pari passo. KM: Dire che si stanno sbagliando non significa che vogliamo combatterli, spero che lo comprendiate. Possiamo non essere d’accordo dal punto di vista politico o sulle iniziative da prendere, ma questo non significa che sia in corso una battaglia tra noi e loro. TS: Dalal Salama, membro del Consiglio legislativo palestinese e del Comitato della Banca Fatah di Cisgiordania, ha detto il 7 gennaio: "Oggi le differenze tra l’Anp e Hamas sono più profonde di quanto sembri. E non solo sulle questioni israeliane, ma anche sul carattere stesso del governo palestinese". KM: Sì, ci sono profonde differenze politiche; ma siamo anche d’accordo su diverse cose. Siamo d’accordo sull’Intifada. Siamo d’accordo sulla resistenza. Siamo d’accordo sui diritti dei palestinesi, ma abbiamo visioni e programmi politici diversi. E’ un fatto del tutto naturale. TS: La prova della vostra "disponibilità" a unirvi con l’Anp sta nel vostro rifiuto di entrare nel gabinetto di Arafat. Ecco quali sono le vostre vere intenzioni. KM: La via da percorrere non è quella di entrare in un gabinetto presieduto da Arafat. Abbiamo proposto ai nostri fratelli nell’Anp e nel movimento Fatah di partecipare direttamente nei meccanismi decisionali. Siamo un solo popolo, con diverse fazioni unite dall’Intifada e dalla resistenza all’occupazione; ed è nostro diritto avere voce in capitolo. E’ questa la democrazia che proprio voi, in Europa e America, desiderate. TS: Se credete davvero nella democrazia, perché accettate denaro da paesi che non sono affatto democratici, come l’Arabia Saudita, l’Iran, la Siria? Che cosa vi importa della democrazia, se siete disposti ad avere a che fare con paesi come questi? KM: Primo, Hamas è governato da un sistema democratico. Secondo, non prendiamo denaro da nessun paese. Lo riceviamo dal nostro popolo. Il popolo ci dà legittimità. TS: Cinque milioni di dollari dall’Arabia Saudita. KM: Fate vedere le prove. Ce le avete? TS: Siete veramente pronto a negarlo? KM: Non ho bisogno di negare una cosa inesistente. TS: Due anni fa, siete stato ospite del re Fahd a Riad. Suo ospite personale. KM: Visitiamo i paesi arabi e ci incontriamo con i loro leader, perché credono in Hamas e nel movimento di resistenza e appoggiano i diritti dei palestinesi. Ma questo non significa che prendiamo denaro da loro. TS: L’Ue ha bisogno che voi condanniate le violenze, altrimenti non potrà aiutarvi. KM: La resistenza palestinese non è né terrorismo né violenza; non possiamo rinunciare ai nostri diritti. TS: Voi siete l’unico che la pensa così, Signor Meshaal. L’unico. KM: Pensate che sia il solo. Come considerate tutte quelle persone che si oppongono all’occupazione e condannano Israele e l’America? Lo sapete che il 43 per cento del popolo americano ritiene che gli Stati Uniti siano la principale minaccia alla pace mondiale? Esiste un terrorismo internazionale guidato dagli Stati Uniti e da Israele. TS: Molta gente critica Israele, ma non per questo vi appoggia. (…) KM: Per me è sufficiente che il popolo arabo e musulmano ci sostenga, e che al nostro fianco stiano i popoli liberi del mondo. Vi posso assicurare che Israele sarà un peso per voi in Europa e anche per gli americani. TS: Voi accusate l’Occidente di contraddizioni; ma dovreste prima guardare le vostre. Dite che volete la democrazia in tutto il Medio Oriente, quindi dovrebbe essere nel vostro interesse che l’America abbia successo in Iraq. Allora perché il vostro rappresentante a Gaza, Abdel Aziz Rantisi (ucciso dall’esercito israeliano alcuni giorni dopo questa intervista, ndr), invoca la creazione di cellule di martiri in Iraq? KM: Lasciamo perdere Rantisi, e osserviamo invece il popolo iracheno? Il popolo iracheno ha forse accettato la democrazia a stelle e strisce? TS: Sto chiedendo perché Hamas non appoggia il processo di democratizzazione in Iraq. E’ questa la mia domanda. Signor Meshaal, voi sapete perfettamente che questa è la prima possibilità di democrazia per il popolo iracheno da decenni a questa parte. (…) KM: Quello che gli Stati Uniti stanno creando in Iraq non è una democrazia. E’ un’occupazione. E in questo stesso momento stanno uccidendo degli iracheni. TS: Parlate in nome del popolo iracheno? KM: Ciò che avviene in Iraq non è affar nostro. Non abbiamo niente a che fare né con un suo eventuale successo né con un suo fallimento. Ma in Iraq non si sta creando la democrazia, e per averne la prova basterebbe fare un sondaggio tra la popolazione irachena. Accettano l’occupazione americana? No. Hanno fiducia nella pretesa democrazia americana? No. Il popolo iracheno non si fida delle promesse statunitensi e non crede alla democrazia americana. Noi, come arabi e musulmani, abbiamo un’antica tradizione di democrazia. TS: Parlate in nome del popolo iracheno? KM: No, non sto parlando in suo nome. Vi dico semplicemente di andare da loro e chiedere che cosa pensano. Avrete la risposta più vera. TS: Se in Iraq la democrazia avrà successo, che cosa farete? Chiederete scusa? KM: Io spero che la democrazia abbia successo. Ma vi posso assicurare che con i carrarmati americani la democrfazia non ha alcuna possibilità di successo. La democrazia ha successo soltanto quando… TS: Ecco, la profezia di Hamas. Non avete altro da offrire? Siete soltanto capaci a dire "non riuscirà"? Ma voi volete che fallisca, vero? Voi volete che fallisca perché ci sono in ballo gli americani. Ecco il motivo. KM: Volete forse che vi dica che la causa di tutti i problemi in Iraq sia Hamas? I problemi in Iraq sono ben più complessi. TS: Gli israeliani stanno per ritirarsi da Gaza. Lascerete che ciò avvenga pacificamente? Collaborerete con l’Anp, oppure cercherete di creare disordini a Gaza? KM: Quando Sharon ha dichiarato che si sarebbe ritirato da Gaza, chi è che ha dato avvio all’escalation della violenza? Noi o loro? Chi è che ha ucciso Yassin? In quale preciso momento gli elicotteri Apache hanno assassinato Yassin? Non è stato forse subito dopo l’annuncio del ritiro da Gaza? TS: Collaborerete con l’Anp? KM: Sì, collaboreremo con l’Anp, con Fatah e con tutte le altre organizzazioni. Sui punti essenziali c’è un accordo generale. Collaboreremo tutti insieme al governo di Gaza dopo il ritiro israeliano. TS: E quando l’Anp condannerà gli attentati suicidi, che cosa farete? Voi non gli darete ascolto, vero? KM: Non dovete interferire nelle nostre questioni interne. Il problema non è tra noi palestinesi. Non è tra Hamas e Fatah o tra Hamas e Arafat. Il problema è tra noi e Israele. Bisogna fermare l’aggressione israeliana e costringere Israele a ritirarsi dalla nostra terra. TS: Il vostro vero problema, signor Meshaal, è che l’Anp vi chiede di interrompere gli attentati suicidi e voi vi rifiutate di farlo. E questa non è una vostra questione interna, ma riguarda tutto il mondo. KM: Vi dico che quando l’Anp chiede a Hamas o a qualsiasi altra fazione di interrompere gli attacchi, sa benissimo che il problema non sta in noi, ma in Sharon. Noi ci siamo fermati parecchie volte. Abbiamo offerto più di una tregua. TS: State evitando la mia domanda. KM: Non la evito affatto. Anzi. Sto dicendo che il problema non siamo noi. Abbiamo offerto più volte una tregua. L’anno scorso, al Cairo, abbiamo stipulato una tregua di 50 giorni. Chi l’ha violata per primo? Sharon. TS: Come fanno gli israeliani a fidarsi di un’organizzazione che nel suo statuto prescrive la distruzione di Israele? Se rinuncerete a questo statuto, forse riuscirete a ottenere un po’ di fiducia. (…) KM: Se loro non si fidano di noi perché noi dovremmo fidarci di loro? Occupano la nostra terra, uccidono i nostri bambini e distruggono le nostre case. Compiono assassini mirati ogni giorno. Arafat ha accettato le loro richieste e ha fatto dichiarazioni esplicite contro gli attentati. Ma questo non li ha fermati, né ha fatto guadagnare maggiore credibilità ad Arafat. TS: Rispondete almeno a questa domanda. Israele ha il diritto di vivere in pace? Riconoscete il diritto di Israele a un’esistenza pacifica? KM: Consideriamo la Palestina la nostra terra, alla quale abbiamo diritto. L’occupazione deve cessare. TS: Rispondete alla domanda con un sì o un no. Israele ha diritto all’esistenza? E’ una domanda molto semplice. KM: Sto dicendo che abbiamo diritto alla nostra terra e che l’occupazione deve finire. Nessuna occupazione può essere mai legittimata, nemmeno dal tempo. TS: Allora la risposta è no. Israele non ha il diritto di esistere. Questo state dicendo. KM: L’occupazione non diventa mai legittima, nemmeno con il passare del tempo. Voi state parlando di una pace giusta e generale. Ma se ai palestinesi che sono stati costretti a lasciare la propria casa a Haifa o a Jaffa non viene concesso il diritto di ritornare nella loro terra, come si può parlare di pace giusta? Perché continuate ad affermare i vostri diritti in Europa e in tutto il mondo, e a noi chiedete di rinunciare ai nostri? TS: Insomma, Israele non ha il diritto di esistere. Diciamolo chiaramente una volta per tutte. Voi state affermando che Israele non ha il diritto di esistere. Anche se voi non rispondete direttamente alla mia domanda, perché per voi è una domanda troppo imbarazzante. KM: Non lo è affatto. E ho già risposto. L’occupazione deve finire. Perciò, abbiamo il diritto di combattere per la nostra terra. TS: Come si può negoziare con qualcuno che non è disposto a dare una risposta chiara a un domanda così precisa? KM: Allora, non ha capito la mia risposta. TS: Credo che non la capirà nessuno. KM: La gente la capirà. E adesso vorrei porle io una domanda. Che cosa c’era in Palestina prima del 1948? C’era un popolo che viveva pacificamente sulla propria terra. TS: Voi volete tornare indietro quando il resto del mondo vuole andare avanti. KM: Sto dicendo la verità. Se volete affrontare concretamente la situazione attuale dovete comprendere le sue radici. TS: Signor Meshaal, siete venuti qui a Beirut dalla Siria per fare quest’intervista, e molti si aspettavano che avreste avuto qualcosa di nuovo da offrire. Qualcosa di diverso dalla solita spirale di violenza. Non avete davvero nulla di nuovo da offrire? KM: Riassumerò con precisione la posizione di Hamas. Bisogna innanzitutto tenere fuori dalla battaglia la popolazione civile. Se si condanna veramente la spirale di violenza nella Palestina occupata, bisogna obbligare Israele ad accettare di risparmiare i civili di entrambe le parti. TS: Dunque, il primo passo da compiere è la protezione dei civili. KM: Sto dicendo che dobbiamo fermare il massacro da entrambe le parti. Teniamo fuori i civili, e limitiamoci a uno scontro tra la resistenza palestinese da una parte e le forze armate e i coloni israeliani dall’altra. Ma voi rifiutate questa soluzione. E rifiutandola, permettete il proseguimento dei massacri. Perché fate pressioni su di noi ma non su Israele? TS: E il secondo passo? KM: A quel punto, se Israele si convincesse della necessità di un ritiro dai territori occupati, si compierebbe un altro passo importante, e penso che la violenza potrebbe cessare almeno per un po’ di tempo. Ma dobbiamo almeno fare il primo passo. Fermiamo il massacro dei civili, e convinciamo Israele a ritirarsi e a dire al popolo palestinese che avrà il proprio Stato.