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La Repubblica Rassegna Stampa
20.04.2004 Sandro Viola non conosce la Jihad
ma ne scrive come se ne intendesse

Testata: La Repubblica
Data: 20 aprile 2004
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «La sfida di Israele accende la Jihad»
(La Repubblica di ieri, 19 aprile '04, a pagina 1)

Forse Sandro Viola non ha letto l'interessante monografia di Limes sulla Jihad (guerra santa), e neppure i saggi di Bernard Lewis; pertanto egli non sa che la Jihad non dipende da quel che Israele fa o non fa, da quel che gli Stati Uniti fanno o non fanno, da quel che la Spagna fa o non fa. Non risponde alla logica occidentale, neppure a quella deformata e faziosa di Viola, bensì a strutture culturali e teologiche profondamente diverse dalle nostre.
Al di là del titolo dettato dal pregiudizio, e sorvolando sulla contiguità di questa analisi con la cronaca di un Alberto Stabile che non sembra raccontare il funerale di un capo terrorista ma piuttosto quello di Madre Teresa di Calcutta, entriamo nel merito di quanto Viola pretende di ammannire ai suoi lettori.

Quello israeliano "si può chiamare, senza alcuna forzatura, un terrorismo di
Stato". Il terrorismo è, nella comune accezione linguistica del concetto, l'uso sistematico di metodi violentemente distruttivi che colpiscono a caso persone innocenti, allo scopo di seminare il terrore ed ottenere scopi altrimenti non raggiungibili. Israele colpisce generalmente con estrema precisione, e comunque tendenzialmente evita di coinvolgere civili innocenti nelle sue azioni militari. Pertanto, mettere in parallelo il terrorismo "vero", quello palestinese, con quello definito "di stato" ed attribuito ad Israele significa demonizzare Israele con argomenti falsi, oppure svuotare dei suoi contenuti orrendi di morte il sistematico ricorso al massacro di civili da parte palestinese.
Andiamo avanti nella lettura.
Israele - così scrive Viola - si muove senza coordinare la propria politica con quella dei governi occidentali, riafferma la sua "totale libertà di
movimento". Il governo Sharon non si ritiene impegnato a consultarsi ed a coordinare le proprie strategie.
Ci sentiamo autorizzati, dopo questa lezioncina di alta politologia, a
chiedere a Viola in quale occasione, negli ultimi 56 anni, l'Europa e l'Occidente siano stati al fianco di Israele "senza se e senza ma" nella lotta
contro il terrorismo. Fosse il terrorismo firmato OLP e targato Arafat dei
dirottamenti aerei, di Entebbe, dei massacri di Monaco e delle cittadine e città israeliane (non colonie!), fosse la bomba atomica di Saddam quasi pronta per l'uso, fossero guerre di aggressione (1967, 1973) miranti a distruggere lo stato ebraico, fossero impegni sottoscritti nel contesto di accordi internazionali intesi a difenderlo contro i nemici (gli Stati Uniti mancarono di parola nel 1967), fosse la presenza degli osservatori ONU (sotto la funesta direzione di Kurt Waldheim), l'Occidente non ha mai brillato e non si è mai meritato il privilegio di poter essere un partner affidabile delle scelte israeliane aventi lo scopo di salvare la popolazione e la sopravvivenza dello stato stesso.
Per non ricordare l'Europa partigiana...
E poi: con chi avrebbe dovuto, Sharon, coordinare la propria linea politica:
con la Francia e la Germania, o con l'Italia e la Spagna? Qual è "il resto
dei governi occidentali"?
Israele procede, come scrive Viola, su una strada che diverge dalla road
map? Sharon dice di no, ma noi chiediamo: Arafat ed Abu Ala e Hamas procedono, loro, sulla road map?
Viola torna in chiusura a quello che è il suo leitmotiv preferito da sabato
scorso: Israele pretende di "tracciarsi a piacimento, senza alcun negoziato
con la parte palestinese, le sue nuove frontiere", grazie ai suoi elicotteri
(sottinteso: che uccidono con azioni di terrorismo di Stato). Questa è una
supposizione di Viola, e nulla più di questo. Lui è certamente libero di
supporre quel che vuole, e nessuno pensa di impedirglielo: ma che pretenda
di trasformare le sue supposizioni in realtà inoppugnabili è segno di profonda arroganza e pochissimo rispetto per i lettori.
Prima di censurare le parole con cui Viola chiude il suo articolo - "La strada della strategia d'attacco, dell'escalation permanente, che Sharon ha sempre percorso, procedendo imperterrito di disastro in disastro" - vogliamo sottolineare che l'articolo a nostro parere si qualifica per un dettaglio insignificante, ma illuminante: in più punti Rantisi viene chiamato "il dottor Rantisi", quasi fosse un emerito benefattore dell'umanità, e non un pediatra che mandava a morire in maniera straziante i suoi stessi pazienti. E quelle sue parole conclusive, appena citate, suggellano il nostro giudizio su Viola come persona e come giornalista.

Ecco l'articolo.

Come nel caso dello sceicco Ahmed Yassin, anche per l´assassinio del dottor Abdel Aziz Rantisi la premessa a ogni giudizio sulla sua esecuzione è che Rantisi aveva sulla coscienza decine, forse centinaia di vittime innocenti. Decine, forse centinaia di uomini, donne e bambini fatti a pezzi nelle città d´Israele dalle bombe dei kamikaze di Hamas.
E nella premessa va anche aggiunto che Israele s´è sempre arrogato il diritto di rispondere alle azioni terroristiche dei suoi nemici con quel che si può chiamare, senza alcuna forzatura, un "terrorismo di Stato".
C´è poco di nuovo, quindi, nel lancio di missili che sabato sera ha lasciato cadavere il nuovo capo di Hamas. Lo sapevamo da molto tempo che al tavolo del governo di Gerusalemme, presenti i responsabili militari e quelli dei servizi segreti, vengono comminate di quando in quando condanne a morte senza processo. Il punto, volendo ragionare sull´assassinio di Rantisi, è di conseguenza un altro. Vale a dire che cosa stia facendo, come si stia muovendo il governo israeliano nella cupa, spaventosa cornice della guerra che l´Islam radicale ha sferrato contro le società dell´Occidente. Una guerra, come scrive Mario Vargas Llosa, "che è appena cominciata", perché per anni ancora "le bombe che hanno polverizzato le Torri gemelle e i treni di Atocha continueranno a scoppiare attorno a noi, in America e in Europa".
Qui, sul ruolo d´Israele nella lotta che l´Occidente conduce contro la galassia del terrorismo integralista, una cosa è chiara. Israele, che tutti abbiamo sempre incluso nello spazio e nel concetto di Occidente (non foss´altro perché la cultura occidentale sarebbe assai meno illuminata se non avesse avuto l´apporto ebraico), Israele si muove da solo. Il suo governo si considera slegato da qualsiasi impegno di consultazione e coordinazione di strategie, da qualsiasi idea d´interessi comuni, dal resto dei governi occidentali.
E la prova di tale distanza tra la visione e le strategie del governo Sharon da una parte, e la visione dei governi occidentali dall´altra, è venuta due sere fa col lancio di missili sull´automobile del dottor Rantisi. Erano trascorse quattro settimane dall´assassinio dello sceicco Yassin. La vendetta che Rantisi, e con lui decine di migliaia di palestinesi avevano invocato e promesso durante le manifestazioni per i funerali di Yassin, tardava. Un ritardo significativo, perché la regola di Hamas era stata sinora una notevole rapidità della risposta terroristica: sia quando decideva di reagire alle rappresaglie israeliane nelle città palestinesi sia quando intendeva vendicare l´eliminazione dei suoi dirigenti.
Difficile dire con sicurezza perché fosse mancato sinora il grosso attentato, o addirittura la serie degli attentati, con cui tutti pensavano che Hamas avrebbe risposto alla morte del suo capo spirituale. Un disorientamento nelle file dell´organizzazione, la lotta interna per la leadership, o un rafforzamento del dispositivo di sicurezza israeliano? La cosa che sappiamo, comunque, è che il governo Sharon non aveva motivi immediati per decidere la condanna a morte di Rantisi. Non doveva in questo caso mostrare di poter rispondere colpo su colpo all´ondata terroristica palestinese. Il dove, il quando e il come eliminare il nuovo capo di Hamas, erano già fissati negli incartamenti dello Shin Beth e dello stato maggiore. Dunque, il governo di Gerusalemme poteva, come si dice, aspettare e vedere.
Invece non ha aspettato. Mentre in Iraq si cerca disperatamente di aprire un varco tra estremisti e moderati, isolando i primi ed evitando che i secondi si lascino trascinare nel gorgo dell´odio antioccidentale e della guerra di religione; mentre sono in corso affannose mediazioni per salvare la vita agli ostaggi in mano ai terroristi; mentre il mondo arabo ha appena ricevuto, a metà della settimana scorsa, un altro scossone dall´intesa Sharon-Bush che consente a Israele di tracciarsi a piacimento, senza alcun negoziato con la parte palestinese, le sue nuove frontiere, gli elicotteri israeliani sono entrati in azione.
Rantisi, il mandante degli uomini-bomba che hanno trucidato tanti israeliani inermi, è stato ucciso. E, certo, il governo e la società d´Israele possono dire, non senza ragione, che se lo meritava. Ma i governi occidentali hanno a loro volta il diritto di chiedere se fosse questo il momento d´eliminare il capo di Hamas. Se la fase convulsa che l´Occidente sta vivendo di fronte all´esplodere della rabbia araba, non avrebbe consigliato d´evitare l´esecuzione a freddo di Rantisi così come la minaccia, ventilata ieri sera dal numero due del governo Sharon, d´eliminare fisicamente, prima o dopo, anche Arafat. Azioni e minacce il cui effetto ? è sinanche inutile dirlo ? non può provocare altro che un´ulteriore virulenza della vicenda iniziata l´11 settembre, e nella quale siamo tutti coinvolti.
Questo è il punto. Il governo d´Israele riafferma la sua totale libertà di movimento. La distanza, o sconnessione, tra i suoi interessi e gli interessi dell´Occidente. È un suo diritto, beninteso, perché la priorità assoluta d´un governo è quella di sventare i pericoli che incombono sul proprio paese. Ma è un diritto che oggi, ancor più che in altre fasi del conflitto israelo-palestinese, può collidere con la politica della comunità occidentale. Può ostacolarla, e persino azzopparla.
No, non è possibile farsi illusioni. Se una parte sempre più larga della società israeliana vede nel negoziato con i palestinesi, e nel compromesso territoriale, la sola via d´uscita dalla faida sanguinosa che ne mette ogni giorno a repentaglio la sicurezza; se l´Unione europea, la Russia e l´Onu ancora insistono sulla necessità di ritornare all´attuazione della road map, l´attuale governo d´Israele procede invece su una strada completamente diversa.
La strada della strategia d´attacco, dell´escalation permanente, che Sharon ha sempre percorso, procedendo imperterrito di disastro in disastro. Dai massacri libanesi alla risposta militare devastante, senza alcuna apertura politica, che decise di dare allo scoppio della seconda Intifada. Certo: il suo governo ha il consenso della maggioranza degli israeliani, e questo ne legittima ? almeno formalmente ? la condotta. A noi resta da constatare come nella guerra che l´Occidente sta combattendo contro la maggiore minaccia che abbia conosciuto dopo il nazifascismo e il comunismo, Israele non sarà d´aiuto. Anzi.
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