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Il Foglio Rassegna Stampa
20.04.2004 Israele riafferma con voce forte: "Mai più"
Il ricordo della Shoah e il nuovo antisemitismo

Testata: Il Foglio
Data: 20 aprile 2004
Pagina: 4
Autore: Ehud Gol
Titolo: «La pericolosa distinzione fra Shoah e Israele, fra ebrei e israeliani»
Yom Ha-Shoah in Israele, ovvero il Giorno dell'Olocausto, per ricordare i sei milioni di ebrei sterminati. Con questo articolo, Ehud Gol, ambasciatore d'Israele in Italia, lancia un allarme che invitiamo a leggere con attenzione.

Ecco l'articolo.

In Israele ricordiamo l’Olocausto, le sue vittime e i suoi eroi non il 27 gennaio, come in Italia e in vari paesi europei, ma il 27 di Nissan (18-19 aprile), una settimana prima del giorno dei caduti nelle guerre di Israele e del giorno dell’indipendenza dello Stato. In questo modo ricordiamo che lo Stato d’Israele è nato solo tre anni dopo la Grande Catastrofe e che sin dal suo primo giorno di vita, abbiamo dovuto combattere per sopravvivere e per far rinascere il popolo ebraico nella sua terra storica. Per noi israeliani la Shoah è parte della nostra coscienza di individui e di popolo. Non è semplicemente storia, ma una ferita aperta da cui non ci siamo ancora ripresi, né da un punto di vista emotivo, né da un punto di vista demografico. Eravamo 18 milioni di ebrei nel ’38. Sei anni dopo il popolo ebraico contava 12 milioni. Sei milioni di fratelli e sorelle, un milione e mezzo di bambini non sono mai tornati dai viaggi della morte. Questo per noi è l’Olocausto. Per il resto del mondo, e soprattutto per l’Europa, la Shoah è un argomento difficile,
talvolta imbarazzante, talvolta sfruttato e abusato. Certo è che, nonostante la storiografia e i media abbiano esplorato quella storia in lungo e in largo con una produzione impressionante di materiale, esistono oggi fenomeni preoccupanti, facce diverse della stessa medaglia: la tendenza a distinguere Israele dalla Shoah, l’antisemitismo e il "nuovo antisemitismo". Non si può capire il popolo d’Israele senza la Shoah, e allo stesso modo, la lezione della Shoah non è completa senza Israele. Oggi si tende pericolosamente a distinguere e a pensare che l’Olocausto sia una cosa e lo Stato d’Israele un’altra. A voler mettere da una parte la Shoah e gli ebrei e dall’altra Israele e gli israeliani. Quest’operazione chirurgica nei confronti della storia è una grande mistificazione: lo Stato d’Israele è gli ebrei che hanno imparato la lezione delle persecuzioni e della Shoah. Israele è gli ebrei che hanno detto "mai più" e hanno iniziato a difendersi contando solo sulle proprie forze. Alla stessa mistificazione storica appartiene anche l’assurda convinzione che lo Stato ebraico sia nato per volere del Vecchio Continente, desideroso di espiare il suo senso di colpa. Ma il sogno del ritorno nella Terra dei nostri padri era vecchio di 2000 anni, e la trasformazione di quella provincia abbandonata dell’Impero Ottomano in un focolare nazionale era iniziata ben prima dello sterminio, con il movimento sionista. Israele non è nata grazie alla Shoah, ma nonostante la Shoah. Almeno tre elementi legano intimamente la storia dell’Olocausto alla storia del nostro Stato. Un elemento politico: se Israele fosse nata solo dieci anni prima, la Shoah non sarebbe mai avvenuta, perché l’ebraismo europeo avrebbe avuto una casa sicura, lontano dalle aggressioni naziste e dal diffuso antisemitismo. Un elemento costituito
dall’eredità spirituale dell’Olocausto: lo Stato d’Israele è l’antidoto contro il ripetersi della storia e la dimostrazione concreta dell’amore del popolo ebraico per la vita, della nostra resistenza e forza d’animo nel guardare sempre avanti. Infine, un elemento sociale: la nascita d’Israele, come sappiamo, fu accompagnata dall’aggressione di cinque Stati arabi il cui obiettivo dichiarato era di buttarci a mare. Nonostante le ceneri dello sterminio fossero ancora calde, noi dovemmo combattere per sopravvivere. Non fu solo una guerra politica ma anche una battaglia morale contro il tentativo di eliminarci, ancora una volta, dalla famiglia delle nazioni. La metà dei soldati che combatterono nella guerra dichiarata a Israele il 15 maggio 1948, il giorno dopo la sua dichiarazione d’indipendenza, erano sopravvissuti alla Shoah.

La propaganda dell’odio
Ma oggi, accanto a preoccupanti rigurgiti di antisemitismo, assistiamo purtroppo all’emergere di quello che chiamiamo il nuovo antisemitismo. Si presenta nella forma di anti-sionismo, ovvero di virulenza contro lo Stato d’Israele. Alcuni sostengono che si tratta semplicemente di critica legittima
verso un governo e dicono che il governo d’Israele è un’altra cosa rispetto agli ebrei. In realtà sotto questo atteggiamento anti-israeliano ritroviamo gli stessi elementi ed argomenti della vecchia e brutta retorica antisemita. L’anti-sionismo, come sosteneva anche Martin Luther King, è vero e proprio antisemitismo con il trucco rifatto. Esistono, poi, forme di antisemitismo
molto più sofisticate, come, a mio parere, il recente film di Mel Gibson "La Passione di Cristo", che insinua nella gente meno istruita germi di odio, infiammandone gli animi. Basti pensare al grande entusiasmo con cui il film è stato accolto nel mondo arabo.
La storia insegna, però, che l’antisemitismo non è solo un problema per gli ebrei, ma è un pericolo per qualsiasi società disposta a tollerarlo. Laddove l’antisemitismo viene giustificato o accettato, prima o poi emergeranno altre forme di razzismo e xenofobia perché il pregiudizio è come un cancro. La malattia dell’odio finisce per divorare l’intera società fino ad annullare i principi democratici. E’ compito delle istituzioni prevedere misure idonee per evitare che ciò accada. Un primo compito è quello di mantenere alto il livello di interesse nelle scuole. Il curriculum di ogni ragazzo dovrebbe includere lo studio di ciò che è accaduto in Europa durante la Seconda guerra mondiale. Un secondo impegno deve essere di tipo politico-diplomatico: ogni fenomeno di antisemitismo deve essere condannato apertamente e senza mezzi termini dai governi e dai loro leader. E’ importante, infine, che il sistema legale fornisca strumenti per identificare e reprimere la propaganda d’odio. La libertà di parola non può, infatti, sconfinare nell’incitamento all’odio e alla violenza, ed è compito del legislatore proteggere la civile convivenza di tutti i gruppi che compongono la società. Mi auguro che gli educatori e gli opinionmaker e i legislatori riescano a superare i loro tabù e pregiudizi e accettino la realtà: che la Shoah è parte della storia d’Israele. A una settimana dal 56° Giorno dell’Indipendenza del nostro Stato, noi israeliani siamo determinati nel preservare e assicurare l’esistenza del popolo ebraico nella sua terra madre. Restiamo saldamente ancorati al nostro impegno di consegnare alle future generazioni uno Stato forte e indipendente, unico vero rifugio sicuro per il popolo ebraico. Il compito del mondo democratico occidentale, invece, deve essere quello di fare in modo che nessun ebreo debba più cercare un rifugio.
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