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La Repubblica Rassegna Stampa
19.04.2004 Un articolo in lode di Hamas
anche un funerale è utile per capire lo stile del quotidiano di Ezio Mauro

Testata: La Repubblica
Data: 19 aprile 2004
Pagina: 1
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Sharon: li colpiremo ancora»
Oggi sono uscite molte cronache sul funerale di Rantisi. Per la serie "peggiori" avremmo potuto pubblicare Michele Giorgio che ne ha scritto sul Mattino. Ma, si sa, è Giorgio, quindi niente di nuovo rispetto a quanto scrive abitualmente. Ci ha invece letteralmente impressionato il pezzo di Albero Stabile.
E' pubblicato in prima pagina su Repubblica di oggi. Non lo critichiamo a sezioni perchè sarebbe impossibile. E' tutto l'articolo da respingere in blocco. Invitiamo chi non l'avesse letto a leggerlo attentamente. Raramente ci eravamo imbattuti in un pezzo così denso di propaganda e di sentimenti ( sì, sentimenti) così smaccatamente pro terroristi. Si badi bene, non filopalestinesi, ma filo Hamas.
Il tutto non su un quotidiano nazista/fascista/comunista, ma sul secondo quotidiano (per vendite) italiano. Ne può essere orgoglioso il suo proprietario, l'Ing. Carlo de Benedetti.
(a cura della redazione di IC)
Ecco il pezzo:

Gaza
Il corpo senza vita dell´ultimo capo di Hamas appare e scompare, s´inabissa e riaffiora, nel mare di braccia protese a toccarlo, come un relitto nella tempesta. Il drappo verde che ricopriva il cadavere di Abdel Aziz Rantisi, quando l´esercito dei seguaci è andato a prenderselo dalla morgue dello Shifa Hospital per portarlo a casa, in moschea e infine al cimitero, è ormai ridotto a un cencio. Nella nuvola di polvere sollevata dalla processione spicca il biancore delle braccia. Tutti vorrebbero baciare un lembo di quel corpo martirizzato da due missili israeliani. Qualcuno ci riesce, molti s´accontentano di lanciargli contro dei fiori rossi.
Un mese meno tre giorni dopo l´uccisione di Ahmed Yassin, il popolo di Hamas è già costretto a seppellire il suo successore. Tutto è stato così repentino che non solo il movimento integralista non ha potuto compiere la vendetta che aveva giurato sulla tomba del suo fondatore e capo spirituale, ma la propaganda non ha avuto neanche il tempo di fabbricare un´icona con l´effigie del nuovo capo. Ci sono i manifesti con la faccia di Yassin in mezzo al corteo funebre di Rantisi, ma non una foto dell´uomo che vanno a seppellire.
Sarà perché quello delle "esecuzioni mirate" è diventato per gli elicotteri israeliani poco più d´un facile tiro al bersaglio, fatto sta che Hamas ha deciso di tenere segreto il nome del successore di Rantisi che, qui tutti lo danno per certo, è già stato nominato. Due le ipotesi: Ismail Haniye, quarantenne, proiettato al vertice dai vuoti creati dalla macchina da guerra israeliana in rapida successione o Mahmud Zahar, medico, cinquantenne, più quotato di Haniye ma miracolosamente sopravvissuto a un attentato che ha ucciso uno dei suoi figli e, da allora, un po´ defilato.
Ma il segreto imposto sul nome del nuovo leader non servirà a molto. E non solo perché Sharon, noncurante delle critiche internazionali, ha promesso che la «guerra al terrorismo» continuerà: «Non consentiremo mai che gli assassini di oggi, né quelli di domani, facciano del male alla nostra gente: chiunque dovesse azzardarsi sarà colpito», ha dichiarato al memoriale dell´Olocausto, lo Yad Vashem. Non tanto l´uccisione di Yassin, che non si nascondeva, quanto quella di Rantisi, che aveva adottato tutte le precauzioni è un segno, infatti, della crisi che colpisce il movimento fondamentalista.
Rantisi, ci ha detto il figlio Mohammed, cambiava casa e automobile praticamente ogni giorno. Eppure lo hanno colpito mentre, si dice, andava a un appuntamento in compagnia dell´autista e di una guardia del corpo. Qualcuno fra quelli che lo hanno visto uscire dal suo nascondiglio o qualcuno fra quanti lo aspettavano, deve averlo tradito. Ma di questo nessuno nel giorno della sua consacrazione alla Guerra santa (Jihad) vuole parlare.
Cionondimeno, la rabbia è autentica. Le facce vibrano d´indignazione, fra i duecentomila che accompagnano il cadavere. E l´indignazione si fa impotenza quando, nel cielo ingrigito da nuvole alte, una pattuglia di quattro caccia israeliani sorvola la città in modo da farsi vedere e sentire da tutti.
Un giornale israeliano, Maariv, pubblica oggi la notizia che Rantisi è la 168esima vittima di un´esecuzione mirata dall´inizio della Seconda intifada. Eppure, qui, la folla ha ancora la forza di scandire «col sangue e con l´anima ti vendicheremo». Mentre, furente, lo speaker del corteo funebre, in piedi su un minivan munito di megafono, giura: «Noi faremo quello che tu hai sognato e ci hai chiesto di fare: massacreremo gli israeliani fino a quando non se ne andranno dalla nostra terra».
Ma stavolta ce n´è anche per gli americani. Le grida di vendetta riguardano anche Bush. «Stia attento il presidente americano - avverte Ahmed Abu Jabr, un docente dell´Università islamica - perché Hamas potrebbe cominciare a colpire gli interessi americani all´estero». «Bush, il complice di Sharon», anzi, come si legge su uno striscione, il «responsabile N.1».
Davanti alla modesta casa Rantisi, sulla via Palestina, nel quartiere islamico di Sheik Radwan, è stata piantata la tenda verde del lutto. Una prima fila di notabili e di parenti accoglie i visitatori venuti a porgere le condoglianze. I più anziani hanno facce indurite dagli anni, una mano appoggiata sul ginocchio e l´altra a sgranare il rosario. Arrivano Mercedes blindate, i vetri oscurati da tendine nere, il tappetino della preghiera ripiegato sul cruscotto.
Ecco Mahumd Zahar, circondato, quasi sommerso dalle guardie del corpo. «Gli israeliani si nascondono. Hanno paura. Le strade delle loro città sono vuote. Noi ci vendicheremo quando verrà il momento giusto».
Haniye è più politico, non ignora la crisi dell´organizzazione: «Ieri hanno ucciso Rantisi - dice - davanti a una selva di microfoni e di registratori. Ora sognano (gli israeliani). Ma ogni volta che cade un martire, siamo più forti. Hamas può avere una crisi passeggera dopo aver perso un capo, ma non sarà mai sconfitta».
Un manipolo di uomini armati, incappucciati, completamente vestiti di nero, guidati da un giovane in borghese, a viso scoperto, ma come scosso da un´ansia frettolosa, porge le sue condoglianze facendo scattare le molle dei kalashnikov. Sono, come si capisce dalle bandiere gialle, i martiri di Al Aqsa, la formazione terroristica vicina ad Al Fatah. Ma di bandiere qui ce n´è un gran pavese e di armi un vero arsenale. E come sono lesti i bambini a correre appresso ai miliziani dai visi coperti, brandendo, a loro volta, pezzi di legno cui un coltello impietoso ha dato la grossolana forma di un fucile.
Un sosta a casa, un´altra nella moschea più grande di Gaza, e ad ogni fermata la folla aumenta, ma l´affluenza non è paragonabile al fiume in piena che accompagnò il cadavere di Yassin. Il luogo prescelto per la sepoltura è lo stesso, il cimitero dei Martiri, nel centro di Gaza. Rantisi viene ricoperto da un sottile strato della stessa terra che ricopre, cinque metri più in là, il corpo di Yassin. Nel silenzio della cerimonia gli altoparlanti fanno rivivere la sua voce, registrata un mese fa nello stesso cimitero. Un discorso che venne interpretato come un´autoinvestitura.

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