L'etica professionale nell'interpretazione di Sandro Viola
Testata: La Repubblica Data: 19 aprile 2004 Pagina: 1 Autore: Sandro Viola Titolo: «Lo strappo USA sul piano Sharon»
(La Repubblica di sabato 17 aprile '04, in prima pagina un articolo di Sandro Viola)
Infedele al principio fondante, sul piano dell'etica professionale, che bisogna separare le opinioni dai fatti, e fedele invece al suo personale principio di amoralità professionale del presentare le proprie angosce esistenziali come fatti storici incontrovertibili, Viola scrive uno dei suoi peggiori articoli, dal quale trasuda la sua mendace mancanza di etica professionale. Viola non apprezza la concordanza di vedute fra Stati Uniti ed Israele sul progetto che ruota attorno al ritiro israeliano da Gaza, e questo è un suo preciso diritto.Ma Viola trasforma questa sua opinione in una menzogna sul piano storico. Ed è pure ingenuo, Viola, perché se le bugie in genere hanno le gambe corte questa in particolare le ha cortissime, ed è facile per chiunque misurarne il grado di indecorosa falsificazione. Viola scrive: "Siamo dunque al primo visibile cedimento, ai primi segni d' una sconfitta della politica condotta dai governi di Gerusalemme dal 1967 in poi, CHE MIRAVA ALL' ANNESSIONE STRISCIANTE DI TUTTI I TERRITORI OCCUPATI....NESSUN INSEDIAMENTO ERA MAI STATO SMANTELLATO, NESSUN COLONO AVEVA DOVUTO TRASFERIRSI ENTRO I CONFINI D' ISRAELE..." Viola ha voluto fingere che Israele non abbia firmato, più di un quarto di secolo fa, un trattato di pace con il più potente dei suoi nemici, l' Egitto, e che a fronte degli impegni assunti abbia restituito l' intera penisola del Sinai, con tutte le infrastrutture (strade, porti, e gli unici pozzi di petrolio che Israele abbia mai avuto) che aveva realizzato dopo il 1967.Viola finge di non sapere che in quel contesto il "bieco" Begin fece trasferire con la forza entro i confini d' Israele gli abitanti di una popolosa cittadina, Yamit, che non se ne volevano andare. Viola spera che i suoi lettori non se ne ricordino, ma come noi molti altri hanno superato l' età che consente loro di ricordare personalmente quei fatti, e dunque forse solo quale giovincello cadrà nella trappola. Ed un altro episodio collega Gaza al Sinai. A quel tempo, Begin propose a Sadat di includere la fascia di Gaza - tutta - nei territori che l' Egitto avrebbe dovuto riprendersi: già , riprendersi, in quanto fino al 1967 Gaza era territorio egiziano, ed i miserevoli campi profughi che ancora fanno orrore alle nostre coscienze sono stati voluti e costruiti dagli egiziani, non dagli israeliani. Bene, Sadat rifiutò.E dal suo punto di vista fece bene, sapeva che razza di grana rappresentava Gaza. Ma andiamo avanti col nostro impagabile (e strapagato, in rapporto a quel che rende)Viola. In quattro passaggi diversi,Viola sottolinea che Sharon col permesso di Bush ora può "MODIFICARE A SUO PIACIMENTO...le frontiere tra Israele e Palestina", che 150-180 mila coloni israeliani "RESTERANNO PER SEMPRE in Cisgiordania", che Bush "ha avallato L' ANNESSIONE DI UN TERRITORIO decisa al di fuori di qualsiasi negoziato", che Sharon potrà "muovere la matita sulla mappa dell' ex Palestina per TRACCIARVI I NUOVI CONFINI". Non sappiamo se Viola abbia messo delle microspie nella stanza ovale della Casa Bianca, ma questa certezza sulla coincidenza delle zone interesssate ad un ritiro unilaterale e privo di condizioni da parte di Israele con i futuri confini fra i due stati ci paiono frutto della fervida fantasia anti-israeliana del giornalista. Infine, un punto sul quale Viola potrebbe aver ragione, e che coincide con quanto hanno affermato Sharon e Bush in tutto questo contesto di bugie lo troviamo.Quando afferma che "non vi sarà alcun ritorno dei rifugiati palestinesi del 48 e del 67" Viola dice il vero, ma come suo solito lo dice a metà.Non vi sarà alcun ritorno ENTRO I CONFINI DELLO STATO D' ISRAELE, ma nessuno potrà impedire allo stato palestinese di accogliere i suoi figli sparsi per il mondo, se lo vorrà.Lo vorrà? Noi ne dubitiamo. In tutto il mondo arabo - Giordania eccettuata - i profughi palestinesi non godono della parità di diritti con gli altri cittadini,sono abbandonati ai margini della società, ed il grande solidale amore del mondo arabo per questi profughi si esprime solo a parole, che sono parole di odio per Israele.
Ecco l'articolo: Preso in sé, il ritiro israeliano da Gaza previsto dal piano Sharon non rappresenta, nel quadro del conflitto israelo-palestinese, uno sviluppo negativo. In certa misura, è anzi un evento storico. Per la prima volto dopo trentasette anni, un governo israeliano si prepara infatti a lasciare una parte dei territori occupati: non solo ritirando le unità dell´esercito, ma anche evacuando le colonie che vi aveva costruito. E riconosce così, anche se non esplicitamente, che fronteggiare la rivolta palestinese su due lati, a Gaza e in Cisgiordania, sta comportando per lo Stato ebraico un costo ormai insostenibile. Siamo dunque al primo visibile cedimento, ai primi segni d´una sconfitta della politica condotta dai governi di Gerusalemme dal 1967 in poi, che mirava all´annessione strisciante di tutti i territori occupati. È vero, in seguito agli accordi di Oslo c´erano stati alla metà dei 90 ritiri parziali dell´esercito da Gaza e dalla Cisgiordania: ma nessun insediamento era mai stato smantellato, nessun colono aveva dovuto trasferirsi entro i confini d´Israele. Ed è estremamente significativo, quasi una nemesi, che ad imboccare la strada d´un primo abbandono degli insediamenti ebraici sia oggi proprio Ariel Sharon, l´uomo politico che più aveva fatto per seminare la fungaia delle colonie in Giudea e Samaria, finendo col personificare agli occhi degli elettori il sogno della Grande Israele. Se però lo si valuta nell´intero contesto dello scontro in Palestina, il piano del ritiro da Gaza si presenta insidioso, carico di rischi. Forse destabilizzante. Soprattutto dopo il pieno, caloroso avallo che esso ha ricevuto tre giorni fa dal presidente degli Stati Uniti. Contraddicendo la linea di tutte le amministrazioni americane, e le posizioni che egli stesso aveva assunto più volte, George W. Bush ha infatti concesso a Sharon di modificare a suo piacimento, senza alcun negoziato con la parte palestinese, le frontiere tra Israele e Palestina. Questo perché il piano Sharon non prevede soltanto il ritiro da Gaza: comporta anche il mantenimento delle sette maggiori colonie in Cisgiordania, che tra l´area degli insediamenti stessi, le strade che li collegano, i posti militari di difesa, rappresentano più o meno la metà della West Bank. Mentre se il calcolo viene fatto sul numero dei coloni, l´esito del piano Sharon sarà il seguente: 6000 israeliani evacuati da Gaza, contro 150-180mila che resteranno per sempre in Cisgiordania. È difficile dire se nella svolta della Casa Bianca ci sia più cinismo o più confusione, la confusione politica ingenerata dai tanti insuccessi iracheni e dall´approssimarsi delle elezioni presidenziali. L´elemento cinismo traspare abbastanza chiaro: Bush sa che a novembre non potrà fare a meno del voto ebraico, e perciò si colloca sin da adesso a fianco del governo d´Israele. Ma anche la confusione dev´essere giunta, tra lo Studio ovale e le stanze dei collaboratori del presidente, al suo massimo. D´un sol colpo, accogliendo in toto il piano Sharon, Bush ha inasprito lo stato dei rapporti interatlantici (proprio nella fase in cui da una parte e dall´altra si tentava faticosamente di ricucirli), e ha esasperato i risentimenti arabi. Gli altri mediatori (Unione europea, Russia, Nazioni Unite) si trovano infatti spogliati del loro ruolo, mentre la parte palestinese, cui tutti i vari piani di pace avevano riconosciuto il diritto a negoziare la soluzione del conflitto, viene praticamente ignorata. Messa da parte. Il ribaltamento è clamoroso. Dopo oltre trent´anni di risoluzioni dell´Onu e intese dei governi occidentali, secondo cui Israele avrebbe dovuto ritirarsi entro i confini del ´67, un presidente americano ha avallato l´annessione d´un territorio decisa al di fuori di qualsiasi negoziato. Certo, una modifica dei confini del ´67 era largamente prevista, e infatti figurava sia negli accordi di Oslo sia nelle bozze di compromesso stilate a Camp David nel 2000. Ma quelle modifiche andavano, ovviamente, concertate con i palestinesi. Mentre a Washington, l´altro giorno, è stato deciso che a muovere la matita sulla mappa dell´ex Palestina per tracciarvi i nuovi confini sarà, da solo, Sharon. L´intera visione d´un compromesso basato sulla nascita dello Stato palestinese, entra così in crisi. E si rinfocolano le diffidenze, l´irritazione dei governi europei, messi ancora una volta di fronte al fatto compiuto. Quanto alle ripercussioni sul versante arabo-islamico, si può senz´altro prevedere che la decisione americana alimenterà la propaganda fondamentalista. Del resto, nell´ultimo proclama attribuito a Osama Bin Laden c´è una non trascurabile novità. Nei messaggi precedenti, la questione palestinese figurava al quinto o sesto posto della lista di ferite che l´America e i suoi alleati avrebbero inferto, secondo il credo integralista-wahabita, all´ Islam. Mentre adesso Bin Laden cita l´assassinio dello sceicco Ahmed Yassin - avvenuto a Gaza il 22 marzo ad opera d´un missile israeliano - come uno dei colpi cui la rete terroristica intende rispondere appena possibile. Il ritiro da Gaza avrebbe potuto avere, come s´è detto all´inizio, effetti positivi. Ma l´avallo americano lo ha reso pericoloso. Accettando che il governo d´Israele possa tracciare le frontiere che più gli aggradano, e garantendo che non vi sarà alcun ritorno dei rifugiati palestinesi del ´48 e del ´67 (neppure in cifre simboliche, come s´era ventilato a Camp David), Bush ha chiuso la porta a qualsiasi controrichiesta palestinese e ad ogni altro sforzo di mediazione. Improvviso e incontrollabile un nuovo rigurgito unilateralista è così venuto a logorare i già pericolanti rapporti con gli alleati europei, e ad infiammare ulteriormente l´arab rage, la rabbia degli arabi che già sta scuotendo mezzo mondo. A ben pensarci, l´incontro tra Bush e Sharon è stato l´incontro di due giocatori d´azzardo. L´uno ha come posta la rielezione a novembre, e bada esclusivamente ad assicurarsi i voti necessari. L´altro cerca una via d´uscita da una situazione insostenibile. Aveva promesso di domare l´Intifada in cento giorni, e la rivolta infuria ancora. Un grave scandalo finanziario coinvolge lui e i suoi figli, i sondaggi gli erano sempre più sfavorevoli. Così ha messo sul tavolo la carta del ritiro da Gaza. Per ora, l´avallo di Bush lo fa sembrare vincente. Ma se Bush perderà le elezioni, anche lui avrà perso la posta che aveva messo in gioco. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.