Yassin, Rantisi, avanti c'è posto chi viene dopo? un'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 19 aprile 2004 Pagina: 9 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Gli hezbollah potrebbero essere i nuovi capi a Gaza»
Riportiamo l'analisi di Fiamma Nirestein su chi potrebbe succedere ad Adbel Aziz Rantisi alla guida di Hamas. Con una sospetta impronta libanese-siriana. Dietro la questione della successione a Rantisi, si gioca un grande gioco internazionale nel mondo del terrorismo. Gli hezbollah potrebbero essere i veri nuovi capi di Gaza. La situazione interna: i nomi dei possibili successori di Abdel Aziz Rantisi in queste ore vengono solo sussurrati. La paura è grande, i candidati alla leadership sono tutti nel mirino. La carriera, dentro Hamas, si misura sulla durezza delle posizioni, sull’odio che si è capace di esprimere e sulla capacità organizzativa di preparare attentati e oggi di realizzare un «attentato strategico» come dicono gli uomini dell’organizzazione, che restituisca ad Hamas la credibilità che, dopo l’eliminazione dei suoi capi uno dopo l’altro sembra allontanarsi, nonostante la grande manifestazione funebre al grido di «vendetta» e «Allah è grande». Come è noto Khaled Mashal, attualmente il capo supremo di Hamas, dalla sua sede di Damasco ha annunciato che il capo è stato nominato, ma che il suo nome resta per ora segreto. Le speculazioni, dopo che i quattro fondatori di Hamas (Yassin, Rantisi, Ibrahim Makadmeh e Salah Shehade) sono stati eliminati, riguardano uomini che non possono vantare il carisma dei loro prdecessori, ma che sono noti per le loro doti organizzative. Primo viene Ismail Hanyeh, cui fu dato l’onore venerdì della scorsa settimana di commemorare ufficialmente lo sceicco. Disse: «In cima all’agenda di Hamas adesso c’è la vendetta contro Israele, allo stesso livello criminale dell’assassinio di Ahmed Yassin». Hanyeh era, se questa può considerarsi l’espressione giusta, il capo di gabinetto dello sceicco Yassin, ha dimostrato capacità organizzative e ha anche recentemente reso chiaro che secondo lui Hamas deve mantenere il suo ruolo di opposizione; ovvero, che non deve governare Gaza con Muhammed Dahlan, l’uomo forte di Fatah che si era incontrato più volte con Rantisi per discutere il dopo sgombero. Hanyeh, che nelle ore dopo la morte del capo ha organizzato il funerale, ieri non è però stato visto in piazza: anche questo può essere un segno della sua nuova importanza. Altri leader di cui si parla sono Said Siam, che non è mai stato oggetto di un tentativo di eliminazione nonostante una biografia sanguinosa, e Mahmoud Zahar, il portavoce di Hamas, che ha dichiarato in tono minore che Hamas conta sempre sul vastissimo supporto della sua gente e che non gli mancano le forze per compiere un grande attentato strategico. Anzi, cento attentati: tanti ce ne vogliono per vendicare Rantisi. Ma molti esperti, come Ehud Ya’ari, uno dei migliori conoscitori di mondo palestinese, sostengono in queste ore che un vero capo, al momento, non c’è e forse non verrà nominato: Khaled Mashal da Damasco potrebbe essere tentato di assumere con una sorta di putsch tutti i poteri, nominando solo esecutori dei suoi ordini nei territori palestinesi. In questo caso possiamo ipotizzare che El Yarmuk, un campo profughi vicino a Damasco, diventerebbe il centro operativa di Hamas, e il «Comitato per l’interno» guidato da Imar el Halami (detto Abu Himam) fungerebbe da trait d’union. Questo esporrebbe molto i messaggeri, soggetti a compiti quotidiani di connessione e trasporto di ordini e di armi. Ma qui Mashal conta sull’amico che, con Rantisi, aveva contribuito a introdurre negli affari dell’organizzazione come attore principale: la fazione libanese hezbollah, e il loro capo in persona, Hassan Nasrallah. Rantisi aveva favorito la presenza iraniana e degli hezbollah nelle zone e nelle azioni controllate da Hamas. Mashal aveva incontrato Nasrallah a Beirut durante questo mese e i due avevano concordato di intensificare con uno sforzo comune lo scontro con Israele; e Mashal ha poi anche incontrato alcuni dignitari iraniani. A sua volta, Rantisi aveva stretto rapporti diretti e intensi con gli hezbollah al tempo in cui, nel 1992, fu espulso nel Sud del Libano e passò un anno a Marj a-Zuhour. Là ebbe importanti incontri, si riporta, con emissari iraniani. Questi nessi internazionali sono diventati un’arma strategica fondamentale per Hamas; lo si vede anche dai messaggi trasmessi per tv e per radio da Nasrallah. Proprio ieri sera, commentando l’assassinio di Rantisi, gli hezbollah hanno lanciato un messaggio senza sfumature: con Hamas fino alla vittoria. Come? Con attacchi terroristici. In realtà dunque, sia stato o meno nominato un nuovo capo di Hamas, la preoccupazione diffusa è quella di un’«internazionalizzazione» di Gaza, data l’apertura di Hamas verso hezbollah e i suoi sponsor, Iran e Siria. Intanto da Muqata, dove Arafat ha proclamato il lutto per Rantisi, giungono voci di condanna e di richiesta di aiuto, ma meno pressanti di quelle che si erano levate dopo la morte di Yassin: intanto varie voci israeliane - tra le quali quella del vice primo ministro Olmert - ripetono che Arafat non è nel mirino; inoltre, Rantisi non era mai stato in buoni rapporti con lui, che l’aveva varie volte messo in prigione, salvo poi liberarlo poco dopo. Quello che si sussurra nei corridoi, al di là del biasimo per Israele, è che la figura di Rantisi fosse importante sì, ma non fondamentale per la gente di Gaza, almeno non come quella di Yassin e che comunque ora Hamas deve decidere una linea in vista del futuro sgombero. Molto, ormai si capisce, dipende da Mashal, certo, ma anche da Nasrallah. Intanto, però il suo primo obiettivo sono i «cento attentati» annunciati. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.