28/1/02 INDIFFERENZA O ASSUEFAZIONE? Riflessione di Giorgia Greco
Hadera 17 gennaio 2002. La cerimonia di maggiore età religiosa di una ragazzina di 12 anni viene distrutta da un terrorista che uccide 7 persone prima di essere fermato.
Gerusalemme 22 gennaio 2002. Jaffa Road è affollata di gente che passeggia tranquillamente guardando le vetrine dei negozi. All'improvviso l'inferno: un Kamikaze inizia a sparare sulla folla, due morti e moltissimi feriti gravi.
Tel Aviv 25 gennaio 2002. Presso la vecchia stazione degli autobus in un attimo un kamikaze palestinese si trasforma in una micidiale bomba umana: decine i feriti tre dei quali in condizioni gravissime.
Gerusalemme 27/01/2002. Poco prima di mezzogiorno una ragazza palestinese si fa saltare in aria, ancora una volta nella via Jaffa a pochi metri dalla pizzeria Sbarro dove il 9 agosto scorso un altro attentato aveva provocato 16 morti: il bilancio di quest'ultima strage è ancora provvisorio: un morto e decine di feriti.
L'orrore sembra non avere fine! Come si può vivere ogni giorno con la consapevolezza che uscendo di casa forse non si farà più ritorno? Questa è la realtà quotidiana con cui gli israeliani convivono da oltre un anno e mezzo.
In Israele, per un periodo di 15 giorni mi è capitato, salendo su un autobus, di scrutare il giovane seduto al mio fianco con una grossa borsa; oppure entrando nel supermercato osservare con estrema attenzione le corsie semivuote, acquistare velocemente i prodotti di cui avevo bisogno, sperando????di tornare incolume nella mia casa di Gerusalemme. Avevo interiorizzato quel senso di precarietà che pervade gli israeliani ogniqualvolta escono di casa per recarsi al lavoro, a fare spese, all'Università.
Di fronte a queste orribili e ripetute stragi mi preme fare una riflessione.
Ritengo che un pericolo molto grave stia incombendo sulla nostra società, in ambienti assolutamente eterogeni: quel pericolo si chiama assuefazione. E' un rischio da non sottovalutare: non è raro il caso di chi, leggendo i giornali o ascoltando i notiziari, si "abitui" alle notizie di stragi, alla sofferenza dei familiari, ai morti, ai feriti".
Da qui il passo verso l'indifferenza è molto breve.
Sono rimasta sconcertata dinanzi al commento del Direttore in un'importante società bolognese nell'apprendere la notizia dell'ennesimo attentato: " Ormai leggo solo i titoli, tanto ogni giorno ce n'è uno nuovo!!" Non dimentichiamo! Chi muore aveva una famiglia, progetti per il futuro; chi resta deve convivere con il dolore atroce di avere perso un figlio, una madre, una sorella.
La piccola Shalhevet, morta per mano di un cecchino palestinese a soli sei mesi di vita, non andrà mai all'Università; il giovane Kobi fatto a pezzi con il suo amico Josef in una grotta vicino a casa non diventerà mai un soldato.
Se i morti popolano i cimiteri di Israele, il terrorismo alimenta un esercito ancora più numeroso: quello dei disabili. Dopo ogni nuovo attentato aumenta tragicamente la schiera dei giovani con gli arti amputati, sotto choc, paralizzati e quasi tutti senza più voglia di vivere; è come se all'improvviso il binario su cui scorreva il "treno" della loro vita venisse divelto dallo scoppio di una bomba. La società israeliana, già così duramente provata, dovrà affrontare nei prossimi anni un impegno notevole, anche dal punto di vista economico, per le cure di cui avranno bisogno questi ragazzi: mi riferisco ad infrastrutture adeguate per reinserirli nel mondo del lavoro, di psicologi che li aiutino a ritrovare un senso nella vita ed infine avranno bisogno di tutti noi per non essere dimenticati.
Questo è anche il compito dei giornalisti: raccontare le loro storie, i loro progetti, gli affetti che fanno parte della loro vita perché come dice Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace: "Non è l'odio, non è l'intenzione malvagia, non è il male stesso il nostro peggior nemico.
E' l'indifferenza, che ci rende sterili, opportunisti, inutili".