martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
16.04.2004 Bush e Sharon: le ragioni dell'intesa
come ce la racconta bene Maria Giovanna Maglie

Testata: Il Foglio
Data: 16 aprile 2004
Pagina: 3
Autore: Maria Giovanna Maglie
Titolo: «La svolta della Casa Bianca non è solo elettorale, è strategica»
Sul Foglio di oggi, venerdì 16 aprile 2004, Maria Giovanna Maglie spiega perchè l'approvazione di Bush al piano Sharon non è dettata da esigenze elettorali ma fa parte di un più ampio disegno strategico che arriva fino in Iraq. Ecco il pezzo.
Roma. Tutte le scelte che un presidente americano fa in anno di rielezione
hanno anche un fine elettorale, i voti della comunità ebraica sono finora andati in stragrande maggioranza al partito democratico, ma c’è stata nel 2000 un’inversione di tendenza, e dopo l’11 settembre ci sono stati numerosi e vistosi segnali che l’amicizia stretta, perfino l’ammirazione dell’Amministrazione Bush per la battaglia che Israele conduce in Medio Oriente, abbiano smosso animi e tendenze di voto. La stessa cosa vale per la vasta constituency cristiana del centro del paese, che teme l’assalto fondamentalista islamico, che difende Israele. Non per caso all’annuncio della Casa Bianca sono seguite dichiarazioni di sostanziale consenso e di approvazione del rivale, il candidato democratico, John Forbes Kerry. Ma sono probabilmente molto ingenerose le riflessioni del Washington Post e del New York Times che soltanto a questo fine, attirare i consensi dell’elettorato ebraico e di quello cristiano vicino alla causa di Israele, attribuiscono la presunta svolta di George W. Bush, l’appoggio incondizionato ad Ariel Sharon sulla via del ritiro da Gaza. Lo sono altrettanto le considerazioni che vogliono un Bush pronto a impegni che poi, a rielezione ottenuta, alla fine di quest’anno tremendo, non manterrebbe. Probabilmente sbaglia pure chi crede in una reazione furibonda dei palestinesi, in una recrudescenza del terrorismo, tra poco, visto che Ariel Sharon fa sul serio come nessuno ha mai fatto, nemmeno il laburista Ehud Barak quando si ritirò dal Libano, e lascerà Gaza e una parte di West Bank, all’Autorità nazionale palestinese toccherà di governare, oppure lasciarlo fare a Hamas, che si sente il liberatore e sarà comunque un impaccio tremendo, e con il possibile declino definitivo di Yasser Arafat, perché la linea cosiddetta dell’Intifada si incrina per sempre con il ritiro israeliano, batte la testa già da un po’ man mano che la costruzione della barriera difensiva va avanti. All’amico premier israeliano il presidente americano ha certamente concesso un trionfo strategico che lo metterà in condizione di affrontare le resistenze nel suo partito e la campagna scandalistica dell’opposizione, perché gli ha dato il no definitivo sul ritorno dei profughi, non in uno Stato ebraico, ma nel futuro Stato palestinese, il no definitivo allo smantellamento di certi insediamenti, le cose sono cambiate in cinquant’anni, anche i confini, il sì questa volta non definitivo sulla barriera di protezione, che l’America appoggia, senza se e senza ma, però non ritiene un confine permanente. Gli ha promesso perfino un lavoro diplomatico che pieghi il mondo arabo, qui il presidente egiziano Hosni Mubarak e il re giordano Abdallah gli daranno una mano, ma anche l’Unione europea e le Nazioni Unite. Perché lo ha fatto, assumendosi ancora una volta un bel rischio, e in anno appunto elettorale? Può valere come risposta, ed endorsement, quel che dice sul New York Times il democratico, premio Pulitzer, Thomas Friedman, convinto che si parte da Gaza per arrivare a Baghdad. E’ ragionamento politico, è anche di buona volontà, vista l’urgenza dei tempi, pensare che per ridurre la violenza sia bene creare un contesto nuovo, dove, per esempio, dirigenti palestinesi, non più israeliani, siano ritenuti responsabili della ricaduta negativa della violenza, del terrorismo, su quella società. Presidente liberatore, non occupante, Bush spera ancora di poter consegnare agli iracheni la sovranità entro il 30 giugno, e incomincia da dove può, dall’unica democrazia avamposto del Medio Oriente, Israele, da un leader che al pari di lui
è capace di rischiare.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT