Iraq: ultime notizie come e perchè succede tutto questo in un'efficace analisi dal Foglio
Testata: Il Foglio Data: 15 aprile 2004 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Moqtada verso la resa, l'Iran aiuta Iraq e Usa a risolvere una crisi dopo averla creata»
A propoito della situazione irachena il Foglio pubblica un'analisi controcorrente, nella quale si evidenzia come ormai le milizie di Moqtada al Sadr sono prossime alla resa. Roma. In Iraq è l’ora della trattativa e la disposizione dei mediatori sullo scenario chiarisce perché la crisi è precipitata nei giorni scorsi, e quale ruolo scabroso vi abbia giocato Teheran. Il nuovo mediatore che entra in campo formalmente è dunque l’Iran, che ha inviato a Baghdad il viceministro degli Esteri Hossein Sadeqi. La sua missione è stata annunciata con rilievo dal ministro degli Esteri, Kamal Kharrazi, che ha spiegato come l’intervento dell’Iran sia stato chiesto formalmente da Washington, tramite l’ambasciata svizzera (che cura gli interessi americani, dato che i due paesi hanno rotto nel 1979 le relazioni diplomatiche, durante la crisi degli ostaggi dell’ambasciata statunitense di Teheran, episodio che è bene oggi tenere presente). Hossein Sadeqi è atterrato ieri nella capitale irachena e ora, con tutta probabilità, di trova a Najaf, a colloquio con i leader religiosi e politici degli sciiti. Najaf è circondata dalle truppe statunitensi ed è sotto controllo della polizia irachena e soprattutto degli armati dello Sciri di Abdulaziz al Hakim e del grande ayatollah Ali al Sistani, anche se le "milizie del Mahdi" di Moqtada Sadr continuano a presidiare molti punti nevralgici. Quest’ultimo continua a emettere comunicati da cui traspare con chiarezza la sua presa d’atto della propria sconfitta politica ormai consumata: ha infatti rinunciato formalmente a tutte le condizioni nei confronti degli Stati Uniti (ritiro delle truppe straniere dalle città, rilascio di 10 mila prigionieri e fine delle operazioni militari), è scappato da Najaf – dove evidentemente si sentiva in pericolo – per nascondersi in luogo più sicuro e si dice disposto ad accettare "tutte le condizioni richieste dalla Marjaiya" – il vertice religioso sciita presieduto da al Sistani – incluso lo scioglimento delle "milizie al Sadr". In via di archiviazione la sconfitta del leader avventurista, restano ora due grandi questioni: la liberazione delle decine di ostaggi detenuti dai suoi uomini e da terroristi sunniti e il ritorno formale di Najaf sotto il controllo del Consiglio governativo iracheno. Ovviamente le trattative sugli ostaggi sono le più complesse. E’ infatti evidente il carattere caotico dell’applicazione di questa tattica terroristica (quasi a riparare la sconfitta dell’insurrezione tentata), così come la frantumazione dei gruppi che li tengono prigionieri. Saranno dunque trattative complesse e probabilmente vedranno nei prossimi giorni una presa di posizione formale sia di al Sistani sia degli ulema sunniti che dichiareranno "non conforme all’Islam" la loro detenzione e ancora meno la loro eventuale uccisione.
Sul modello siriano Sul piano politico è evidente il rilievo dell’ingresso formale del governo iraniano sullo scenario iracheno, proprio perché viene dopo la formale ed entusiasta copertura politica all’insurrezione tentata da Moqtada Sadr, fornita venerdì scorso dal personaggio chiave del potere a Teheran, Akhbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente delle Repubblica. Rafsanjani è uomo prudentissimo e accorto, e il suo schieramento a fianco degli "eroici miliziani del Mahdi", a sconfitta già consumata sul terreno, non è certo stato casuale. E’ stato un segnale chiaro e forte rivolto agli Stati Uniti, che da mesi stringono il regime iraniano sotto un ferreo assedio diplomatico sul tema della costruzione illegale di una bomba atomica. Un segnale che puntava a indicare la strada di una possibile mediazione iraniana, per nulla disinteressata, ma costruita ad arte. Rafsanjani e gli ayatollah hanno così sviluppato in questi giorni in Iraq una tattica già applicata per decenni dal dittatore siriano – e sciita – Hafez al Assad in Libano. Teheran, come Damasco a Beirut, ha rapporti solidali con più movimenti in Iraq (lo Sciri, il Dawa, e Moqtada Sadr) e, ritenuto giunto il momento, ha spinto uno di questi gruppi a incancrenire la situazione (come ha sempre fatto Assad in Libano), poi, all’acme della crisi, si è presentata quale unico mediatore in grado di siglare una tregua. Tregua che coincide – com’è spesso accaduto in Libano – con la bruciatura del gruppo armato mandato allo sbaraglio. In questo modo oggi l’Iran, tenta di consolidare una posizione chiave, da potenza regionale, nell’area di crisi irachena, con un gioco evidente e per nulla nascosto, tanto che è stato formalizzato dai continui appelli a partecipare all’insurrezione tentata da Moqtada Sadr, lanciati per giorni da al Manar, la televisione degli hezbollah libanesi (agli ordini di Teheran e protetti dalla Siria). Ovviamente questa tattica spregiudicata non sfugge a Washington – che ha più volte indicato in Teheran e Damasco i motori della crisi odierna in Iraq ed è probabile che sarà contrastata con un incremento della pressione sia sull’Iran sia sulla Siria. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.