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Il Foglio Rassegna Stampa
13.04.2004 Sharon e Bush
Una cronaca precisa a poche ore dall'incontro

Testata: Il Foglio
Data: 13 aprile 2004
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Il patto che Sharon e Bush faranno domani, punto per punto»
Una analisi molto accurata quella del Foglio di oggi sull'imminente incontro tra Sharon e Bush.
Gerusalemme. Il vertice di domani tra il premier israeliano Ariel Sharon e il presidente americano George W. Bush non sarà come i loro precedenti otto incontri, quando poca sostanza emerse. Entrambi sono oggi in una difficile situazione e dall’incontro entrambi hanno qualcosa da guadagnare.
La politica mediorientale di Bush si fondava su una sequenza che partiva dall’Iraq: la deposizione di Saddam doveva fare da battistrada alla democratizzazione del paese; il successo del dopoguerra iracheno avrebbe dovuto favorire una stagione di riforme in Medio Oriente; le riforme avrebbero
dovuto toccare anche i palestinesi, creando nuove condizioni che favorissero la
pacificazione del conflitto israelo-palestinese con la sconfitta del terrorismo e la nascita di una nuova leadership a Ramallah. La visione del nuovo Medio Oriente di Bush comportava un effetto domino che, partendo dall’Iraq, conducesse la regione a un nuovo assetto, il quale a sua volta avrebbe creato incentivi per i palestinesi a ritornare nell’area d’influenza americana in cambio della rinuncia al terrorismo e della sostituzione della vecchia guardia ormai irrimediabilmente compromessa con terrorismo e massimalismo. La strategia di Bush si incagliata sull’Iraq, dove la strada è lunga. Bush non arriverà alle elezioni di novembre con un Iraq pacificato, e l’indubbio sommovimento
regionale non si muoverà verso le riforme in maniera lineare, ma con sussulti,
ripiegamenti strategici e resistenze coatte da parte dei regimi, come lo slittamento del summit della Lega araba ha testimoniato. In questo clima, con le elezioni alle porte, la pressione sull’Amministrazione causata dall’inchiesta sull’11 settembre la necessità di ammettere che l’impresa di
cambiamento del Medio Oriente durerà più di un ciclo elettorale rendono Bush disponibile a sostenere il piano israeliano di ritiro unilaterale da Gaza per poter mostrare un primo tangibile successo nella regione. Sharon ha bisogno degli americani per poter superare gli scogli domestici postigli dagli alleati di destra della sua coalizione e dal suo stesso partito. Inoltre, la sua incerta
situazione legale, che dipende dalla decisione prossima ventura del procuratore generale sull’inchiesta a suo carico, potrebbe trarre benefici da una rapida approvazione del progetto di ritiro. Sharon ha bisogno del sostegno americano per rafforzare la sua posizione nel Likud, in vista del referendum cui parteciperanno di diritto i 200 mila membri del partito il 29 aprile. La scelta
della data, così vicina al viaggio di Sharon, basa sui sondaggi: all’interno del partito Sharon non ha una maggioranza sicura, e più tempo passa più la campagna contro il ritiro potrebbe rafforzarsi. Sharon ha bisogno di forti incentivi da offrire all’opinione pubblica e uno di questi è il sostegno americano al suo piano, i cui dettagli saranno divulgati al suo ritorno in Israele. Il premier avrà l’opportunità di utilizzare le due settimane rimaste fino al voto per promuovere il suo piano, con due importanti discorsi, alla
vigilia del giorno del ricordo e alla vigilia del giorno dell’indipendenza. Una volta vinto il referendum nel partito, Sharon punta a ottenere l’approvazione del governo e del Parlamento in rapida successione, all’inizio maggio con la riapertura dei lavori parlamentari per la sessione estiva. In caso di vittoria nel referendum, Sharon manterrà con tutta probabilità anche i ministri del Likud contrari al ritiro, ma potrebbe perdere la destra. In quel caso però spera di cooptare i laburisti: l’ex ministro della Cultura, Matan Vilnai, in un discorso fatto al Washington Institute for Near East Policy a febbraio ha chiarito la posizione del partito: sostenere dall’esterno Sharon sul ritiro
unilaterale da Gaza ed entrare nel governo il ritiro sarà il preludio a un più ampio piano anche in Cisgiordania. Ma all’ingresso dei laburisti al governo si oppone un ostacolo di non poco conto: l’inchiesta contro Sharon. Tutto quindi è collegato: la visita a Washington dovrebbe favorire sia il successo di Sharon nel referendum sia nel successivo processo politico verso l’approvazione
del piano, cosa che d’altra parte influenzerebbe la decisione di chiudere l’in-
chiesta contro di lui e aprirebbe la via a un nuovo governo di unità nazionale con dentro i laburisti e fuori la destra nazionalista. L’appuntamento decisivo con il referendum Sharon, con tutta probabilità, prometterà Bush di approvare il piano e di attuarlo dopo le elezioni americane, per evitare che Gaza il rischio di anarchia, che potrebbe seguire il ritiro israeliano, si rifletta negativamente – assieme all’instabilità irachena – sul voto americano di novembre. D’altro canto, l’approvazione del piano salverebbe Sharon politicamente, creerebbe attraverso sostegno americano degli incentivi per
l’Autorità palestinese a cooperare in vista un passaggio di consegne relativamente indolore – una sorta di unilateralismo coordinato – e trasformerebbe il piano Sharon nell’unica prospettiva diplomatica realistica
per il conflitto, neutralizzando l’iniziativa di Ginevra e marginalizzando i suoi promotori e il loro nuovo partito Yahad. Tutto gioca quindi sul viaggio di Sharon a Washington e sul referendum del 29 aprile. Se Sharon non ottenesse le garanzie americane sperate – primo tra tutti un impegno scritto a che Israele non debba tornare in futuro ai confini del 1967 e che la road map rimangal’unico piano diplomatico sul tavolo – rischierebbe di perdere il referendum; sua sconfitta non ne segnerebbe la fine immediata ma ne distruggerebbe la credibilità, aprendo il conto alla rovescia per le sue dimissioni e forse anche per un processo a suo carico. Il ritiro israeliano da Gaza forse l’ultima occasione di quest’anno per sbloccare la guerra d’attrito tra Israele e i palestinesi e con l’opinione pubblica israeliana favorevole al ritiro (56 per cento, secondo un sondaggio dell’università di Tel Aviv, 59 per cento secondo una rilevazione Dahaf-Gallup) e col sostegno per il ritiro
correlato a Sharon, come autore della proposta e responsabile della sua attuazione, non bisogna lasciarsi sfuggire tale chance.
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