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La Repubblica delle donne Rassegna Stampa
13.04.2004 Un'intervista che semina solo odio
pubblicata senza una riga di critica

Testata: La Repubblica delle donne
Data: 13 aprile 2004
Pagina: 23
Autore: Joanna Chen
Titolo: «Quell'attentato: lo rifarei»
Dalla Repubblica delle Donne, anno 9°, N. 396 del 10 aprile 2004, pp. 23-24: "Quell’attentato: lo rifarei".

(a cura di Giorgio Israel)

Si tratta di una terrificante intervista a un’aspirante ragazza-bomba palestinese, Thauria Hamur di 26 anni, scoperta in tempo dalle forze di sicurezza israeliana, detenuta nella prigione di Neve Tirzah e ivi intervistata. L’articolo è firmato da Joanna Chen.
Riportiamo appresso l’intervista per intero. Vale la pena di leggerla. Come vale la pena di vedere i film di "Palestinian Media Watch" raccolti da Itamar Marcus (e che documentano il modo in cui vengono educati al terrore i bimbi palestinesi), o le atroci vignette anti-israeliane e antisemite che circolano nei paesi islamici.
Vale la pena, per capire l’abisso di disumanità e di ferocia, sullo sfondo di un vero e proprio lavaggio del cervello o (equivalentemente) di un cosciente tessuto di menzogne. Secondo la ragazza-bomba, "loro" – gli israeliani – uccidono donne e bambini, senza il minimo ritegno, senza la minima ragione, massacrano senza pietà e senza misericordia. Del resto, - osserva ancora - cosa potrebbe portare con sé un bambino, se non un pacco di biscotti? Sappiamo bene quanti bambini sono stati scoperti imbottiti di esplosivi! Ma lei o non riesce a saperlo, perché ha il cervello lavato, oppure fa finta perversamente di non saperlo.
Vive di pochissime ineluttabili certezze. "Loro" – gli ebrei (sì, proprio gli ebrei) – meritano soltanto di morire e poiché i loro bambini domani potranno far del male ai palestinesi, è meglio che muoiano subito. Sì, devono morire subito perché bambini ebrei e in quanto tali potenzialmente pericolosi. Hitler non avrebbe saputo esprimersi meglio.
Un simile terribile documento – che l’intervistatrice ha raccolto grazie alla democratica disponibilità delle autorità israeliane, come al solito troppo disponibili, visto l’uso che ne è stato fatto… - avrebbe dovuto essere pubblicato con un minimo di riflessione e di commento. È anche incredibile pensare che un giornalista che ha raccolto direttamente una simile sconvolgente testimonianza non senta l’impulso morale di esprimere un’opinione, una valutazione, di fare un commento.
Ebbene, no. L’articolo è preceduto da un’informativa anonima. L’unico gelido commento consiste nel dire che «indipendentemente da quello che possiamo pensare del suo progetto omicida-suicida» - e che ci guardiamo bene dal dire - «è comunque di fondamentale importanza cercare di capire le motivazioni di Hamur, e dei suoi compagni, per tentare di spezzare il circolo vizioso fatto di odio, dolore e vendetta che continua a insanguinare il Medio Oriente».
Si badi bene: non è importante capire il contesto mentale e ideologico che sta portando tante giovani menti a un simile atteggiamento di follia criminale. Non ci si chiede se qualcuno o qualcosa stia inducendo (e come) un’autentica forma di aberrazione mentale e morale. No: si dichiara importante capire le motivazioni, come se quelle riportate nell’intervista possano essere considerate in alcun modo delle motivazioni. In che modo, sia così possibile contribuire a spezzare il circolo vizioso che insanguina il Medio Oriente… ebbene, questa domanda lasciamola perdere, in omaggio alla decenza.
Insomma, ci sventolano in faccia arcobaleni ad ogni angolo, ci imbottiscono la testa della parola "pace, pace, pace", in tutte i volumi e i timbri di cui è capace la voce umana, si sono usurati i tasti dei computer per battere quelle quattro lettere. Ci ripetono: violenza mai, mai, mai, per nessun motivo… Ma qui no. Perché parliamo di Medio Oriente, di Israele e di Palestina. E allora bisogna capire le motivazioni… quelle palestinesi, beninteso. Qui non si dice: leggete queste righe tremende per capire qual è l’odio che dovete cancellare. Qui il principio etico che certe cose sono orribili di per sé, il principio che non esistono "motivazioni" possibili della negazione dell’umanità, è stato dimenticato, accantonato.
Per parte mia, all’autrice dell’articolo e al suo Direttore responsabile Ezio Mauro trasmetterò il mio modo di vedere – ben lontano dal loro – con un esempio che spero sufficientemente chiaro.
Se mia cugina Laura, che aveva tredici anni quando fu uccisa ad Auschwitz – e io non ero nato – fosse sfuggita al gas e fosse stata convinta da qualcuno a farsi saltare per aria in un bus-scuola di bambini tedeschi, non avrei rispetto per la sua memoria.
Forse pensarla così rende la vita più complicata, ma sono felice di stare nei panni miei.

Ecco l'intervista.

Thauria Hamur, palestinese, ha 26 anni. Viveva nella West Bank, ed era stata reclutata dall’ala militare di al Fatah per portare a termine un attacco suicida nel cuore di Gerusalemme. Poco prima della sua missione, prevista per il maggio 2002, Hamur è stata catturata dalle autorità israeliane. Indipendentemente da quello che possiamo pensare del suo progetto omicida-suicida, è comunque di fondamentale importanza cercare di capire le motivazioni di Hamur, e dei suoi compagni, per tentare di spezzare il circolo vizioso fatto di odio, dolore e vendetta che continua a insanguinare il Medio Oriente.
L’abbiamo incontrata nella prigione Neve Tirzah, nella zona centrale di Israele, dove la donna sta scontando una condanna a sei anni per aver minacciato la sicurezza dello Stato.

Ci può dire cosa l'ha spinta ad offrirsi come volontaria per quella missione?

Potrei portarle molti esempi di bambini palestinesi uccisi senza alcuna ragione. Mio cugino è stato ucciso nel soggiorno della nostra casa, a Jenin, dalle truppe israeliane. Che hanno anche invaso la mia terra, e senza un briciolo di pietà hanno massacrato la mia gente. Per questo ho deciso di non provare a mia volta pietà ne misericordia per loro.

Agli uomini viene "promesso" di diventare martiri una volta in paradiso. Come donna, che cosa le è stato "promesso"?

Secondo il Corano, Dio ha promesso ai martiri 70 vergini come ricompensa. Inoltre, chiunque morirà come martire vivrà in eterno sostenuto dall’aiuto di Dio. Alle donne viene promesso di diventare angeli nella forma più pura e bella, al livello più alto esistente in paradiso.

Lei era convinta che con il suo gesto avrebbe fatto onore alla sua famiglia?

La missione è qualcosa che fa onore alla famiglia e a me. Il fatto stesso di essere rinchiusa come potenziale pericolo alla sicurezza del Paese, reca un grande onore alla mia famiglia.

Che tipo di addestramento ha seguito?

Sostanzialmente si trattava di mettersi una cintura imbottita di esplosivo. Non ho dovuto fare molto: l’addestramento si è svolto in un appartamento di Nablus. Mi hanno insegnato a legarmi la cintura attorno al corpo, ma, dato che era troppo grande, alla fine l'hanno messa in uno zainetto che avrei dovuto portare in spalla. C'era un pulsante che avrei dovuto schiacciare, fissato sul fianco destro. Avrei dovuto premerlo solo dopo aver visto tanta gente riunita insieme, e dopo essermi sistemata nel mezzo della folla. A quel punto mi sarei fatta saltare in aria. Come vede, le regole erano molto semplici. Me le hanno spiegate in non
più di mezz'ora.

Sta dicendo che l’addestramento necessario per andare a farsi esplodere in mezzo alla folla richiede soltanto mezz'ora di tempo?

L’addestramento in sé non richiede molto. Per diventare una martire, hai bisogno soprattutto di forza di carattere e di grande volontà. Nel momento in cui ho deciso di mettermi lo zaino in spalla e di farmi saltare in aria ero già pronta. Ovviamente dovevo sapere quale era il mio bersaglio, e ci voleva qualcuno che mi accompagnasse sul posto, perché sono una donna e non avrei potuto avvicinarmi da sola.

Dove era stata destinata?

A dire la verità sono stata io a scegliere il bersaglio, nella zona meridionale di Gerusalemme. Era un ristorante-pizzeria di cui non ricordo il nome. Ho deciso di andarci di sera e di farmi esplodere mentre la gente tornava a casa dal lavoro, quando in quella zona si sarebbe radunata una grande folla.

A quell'ora della sera non ha pensato che ci sarebbero state anche famiglie con bambini?

Io non puntavo in particolare alle famiglie con bambini. Non mi ero prefissata un bersaglio specifico, un tipo di vittima particolare. L'avrei fatto e basta. Loro (gli israeliani, ndr) non si preoccupano di uccidere donne e bambini.

Deve procurare una sensazione molto intensa, sentirsi l'esplosivo sul corpo.

Certo, è una sensazione molto insolita, ero elettrizzata all'idea di avere una simile opportunità. Avevo atteso con grande impazienza quel momento, non vedevo l'ora di raggiungere il mio bersaglio, di potermi avvicinare alle mie prede. Come donna palestinese, sapevo che per un po' avrei curato e dato sollievo al cuore di molti palestinesi, di molte persone che avevano sofferto. E non avevo davvero nessuna paura di compiere un gesto come quello.

Ha raccontato a qualcuno quello che aveva intenzione di fare?

Naturalmente no. Non avrei mai svelato il mio segreto. Se l'avessi fatto, avrei rischiato di rovinare tutto e i miei familiari non m'avrebbero più fatta uscire di casa.

Se oggi ne avesse l'opportunità, andrebbe in mezzo alla folla e si farebbe saltare in aria?

Se mi guardo attorno, mi rendo conto che gli ebrei non hanno avuto pietà per il mio popolo e il mio Paese. Arrivano a uccidere i bambini davanti agli anziani. Non pensano, non controllano neppure se quelle persone, quei ragazzi, sono armati o no. Che cosa potrebbe nascondere un ragazzino, se non un pacchetto di biscotti? Non ho nulla contro i bambini israeliani, ma esiste la possibilità che quegli stessi bambini crescano e un giorno possano arrivare ad uccidere mio figlio, o il figlio della mia vicina di casa. Per questo penso che sarebbe meglio che morissero subito.
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