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Informazione Corretta Rassegna Stampa
10.04.2004 L'ONU a una svolta: o si cambia o si chiude
uno scandalo tenuto sotto tono: perchè ?

Testata:Informazione Corretta
Autore: Angelo Mauri
Titolo: «L'ONU a una svolta: o si cambia o si chiude»
Giovedì 8 aprile, i quotidiani IlSole24ore ed il Financial Times, hanno pubblicato un inchiesta molto interessante, dopo tre mesi di indagini, che dimostra, con dovizia di particolari, come, durante il programma Oil for Food dell’Onu in Iraq (1995-2003), Saddam Hussein sia riuscito ad intascare ben 4 miliardi di dollari, oltre che elargire mazzette a politici, funzionari e giornalisti.
Mazzette che, evidentemente, servivano per perorare la causa del regime sanguinario presso le opinioni pubbliche e i media internazionali.
Denaro che sarebbe dovuto andare a beneficio della popolazione irakena, ridotta allo stremo non da un embargo mirato a sfiancare il regime, ma dalla corruzione di quel regime e di quanti erano alla sua corte.
Il ritrovamento, nelle scorse settimane, nei palazzi del potere di Baghdad, di liste e documenti con nomi e cognomi dei beneficiari di tante attenzioni, pubblicate da alcuni quotidiani, tra cui il Wall Streer Journal, non ha fatto altro che confermare quanto siano state vergognose tali pratiche.
Il meccanismo per evadere i controlli, peraltro molto blandi, dell’Onu, risiedeva nella creazione di società di comodo apparentemente pulite, l’utilizzo di prestanome e aziende (anche italiane) convertite al trading petrolifero, in grado così di comprare petrolio dal regime irakeno, e grazie ad amicizie influenti e ad un complesso giro di bonifici presso banche svizzere e arabe, pagare sostanziosi "neri" alla cricca di Baghdad.
Nelle liste dei beneficiari, risultano purtroppo, anche chi avrebbe dovuto controllare, come i funzionari Onu addetti al programma Oil for Food; politici (per l'Italia risulterebbe, tra gli altri meno conosciuti, Roberto Formigoni, grande amico del numero due irakeno, Tarek Aziz) e giornalisti; buona parte degli stessi che sbraitavano contro gli Usa per l’embargo.
Saranno le inchieste avviate dal congresso americano, da Kofi Annan e dal governo provvisorio irakeno ad appurare le responsabilità personali, ma il punto resta il totale appannamento di una istituzione come le Nazioni Unite, apparse non più in grado di fronteggiare i pericoli che il terrorismo ed il nuovo ordine mondiale impongono.
La politica estera della più grande potenza del mondo, gli Usa, è cambiata dall’11 settembre del 2001.
Da allora, si è capito quello che, ad esempio in Israele, già conoscevano da tempo: ovvero che da un ruolo passivo, gli stati che hanno subito un attacco terroristico, devono passare ad un ruolo attivo.
Attivismo che può comprendere, se necessario, anche l’azione preventiva contro determinati elementi di gruppi terroristici e contro quegli stati che li ospitano (operazioni di regime change e omicidi mirati di elementi di spicco del terrorismo).
Non è più possibile, in sostanza, aspettare le riunioni, le risoluzioni, i dibattiti e i congressi, mentre qualcuno, in qualche cantina, in qualche caverna o postazione gentilmente concessa dal paese ospitante, sta organizzando un attacco chimico in grande stile.
Non è più possibile essere condannati con risoluzioni farsa da commissioni presiedute o partecipate da stati che calpestano i diritti umani quotidianamente, foraggiano, incitano e ospitano il terrorismo, come Siria, Libia (nonostante i mea culpa di Gheddafi), Iran, Algeria, Libano, Sudan, ecc.
Il multilateralismo non deve mettere a repentaglio la sicurezza nazionale.
Quando l’Onu è così solerte nel condannare Israele per la sua difesa attiva contro le bombe umane dei fascisti islamici e silente quando i sicari di Arafat insanguinano le strade di Gerusalemme; quando le risoluzioni contro i regimi del terrore vengono ostacolate da capricci o veti di dubbia provenienza, è evidente, a quanti non sono accecati dalla propaganda antioccidentale, l’esigenza urgente di riforma delle Nazioni Unite.
Una riforma che dovrebbe andare nel senso auspicato dal partito dei Radicali transnazionali e da ampi settori bipartisan della politica americana: l’esclusione dall’assemblea di quei paesi che non rispondono ai canoni della democrazia, ma si reggono su dittature o regimi dispotici dinastici; questo per incentivare anche con mezzi pacifici, l’instaurazione di processi democratici in questi paesi.
Una riforma che dovrebbe prevedere uno snellimento delle procedure e della pachidermica macchina burocratica ora presente all’Onu (anche per prevenire fenomeni corruttivi), nonchè la possibilità per quei paesi sotto attacco terroristico, di agire in via preventiva secondo le proprie informazioni di intelligence.
L’Onu, non è la panacea di tutti i mali; l’Onu non è mai riuscito ad evitare genocidi o massacri come purtroppo hanno insegnato Rwanda ed ex-Jugoslavia.
Non basta riempirsi la bocca di belle parole sul multilateralismo come abitualmente fanno i nostri politici della sinistra italica, come se i caschi blu in Iraq facessero miracolosamente fermare Al-Qaeda, intenzionata più che mai a far fallire l’operazione democrazia intentata dagli Usa.
Se si avessero veramente a cuore le sorti di una organizzazione pur importante come quella presieduta ora da Kofi Annan, si capirebbe l’urgenza di una riforma non più rinviabile, che potrebbe dare nuova linfa ad una organizzazione già agonizzante, altrimenti votata ad una morte lenta e dolorosa.




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