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La Stampa Rassegna Stampa
09.04.2004 In Iraq guerriglieri palestinesi
Arafat esporta il terrorismo

Testata: La Stampa
Data: 09 aprile 2004
Pagina: 2
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Se i palestinesi esportano martiri a Baghdad»
Fiamma Nirenstein è l'unica giornalista oggi a dare l'informazione che terroristi palestinesi sono in Iraq per offrirsi come "martiri" contro le forze di liberazione della coalizione.
Ecco il suo articolo sulla Stampa di oggi:

GERUSALEMME
SI trasforma in un palcoscenico globale della guerra fra il terrorismo e la Coalizione il doppio fronte Baghdad- Falluja che brucia in questi giorni. Anche i palestinesi, secondo affermazioni riportate dal giornalista Matthew Gutman del Jerusalem Post, adesso in Iraq, giocano il grande giuoco: «25 combattenti palestinesi», ha detto mercoledi a Baghdad il luogotenente di Muqtada al Sadr, Said Amr al-Husseini «sono venuti ieri al nostro quartier generale e si sono offerti come martiri, pronti per il sacrificio agli ordini del Hawza». Niente di strano se i palestinesi sono sunniti.
In generale, «i leader Sunniti», ha detto l’Imam della maggiore moschea wahabi di Baghdad, Abd Satar Jabani «sono ansiosi di condividere la gloria della Jihad con gli Sciiti». Gli sciiti sono state le prime vittime della dittatura di Saddam Hussein, e quindi sarebbero in teoria i più naturali innovatori: ma le cose non sono così chiare da quando una quantità di attori giuocano su una scena che ha a che fare con l’enorme sommovimento di fondo che la politica americana ha portato nella zona con l’abolizione della dittatura dei talibani in Afghanistan e poi con quella di Saddam Hussein.
Molti palestinesi da sempre sostengono Saddam Hussein, il quale versava a ogni famiglia di terrorista suicida ventimila dollari. Lo avevano fiancheggiato entusiati quando sparava missili su Tel Aviv nel ‘91. Così mercoledì le strade di Ramallah si sono riempite di dimostranti che manifestavano; sia Fatah che Hamas che la Jihad Islamica erano presenti nelle strade, bruciavano bandiere a stelle e strisce, condannavano gli stati arabi come collaborazionisti di Israele e di Bush. Anche a Gaza si è svolta una manifestazione analoga, che dava il benvenuto all’Intifada irachena e chiedeva al mondo mussulmano di sotenerla «contro il terrorismo e sionista e americano». Spesso, la stampa palestinese ha chiamato Bush «il fuehrer dell’era della globalizzazione» (Al Hajat al Jadida, 16 febbraio 2004): si tratta di una pubblicistica di lunga tradizione e molto diffusa oggi nel mondo araba, e certo ancora di più durante il forte scontro di questi giorni.
La chiave della presenza di terrorismo straniero in Iraq è essenziale per capire gli angosciosi eventi in corso e anche quindi per una diagnosi e una prognosi: l’Iraq è il luogo da cui la pressione verso la democrazia può riverberarsi su tutto il mondo circostante, dalla Siria all’Iran, primi due punti di frizione, fino all’Arabia Saudita, o anche fuori dal Medio Orienete, per esempio in Pakistan. Già molte cose sono avvenute che vanno in questo senso, in Libia, nei Paesi del Golfo, nella stessa Arabia Saudita e anche nell’autonomia palestinese, dove è in piedi un movimento di democratizzazione molto più attivo del solito. La Siria ha cercato di tenere un profilo basso, ma il passaggio di armi e uomini dai suoi confini deve aver causato altri grossi problemi, se il quotidiano libanese AS-Safir ha pubblicizzato schermaglie armate di confine con due feriti, uno americano e uno siriano.
Gli Hezbollah (sostenuti da Siria e Iran) vengono citati apertamente da Sadr come alleati, e la loro attività in Iraq è ormai nota da tempo. Molte fonti, e fra queste Al Watan al Arabi, riportano che il motore pulsante della «guerra civile» è l’Iran, in cui ai massimi livelli si lavora a una situazione in cui sia evitata, tramite il massimo della confusione in Iraq, la rielezione di George W. Bush: altrimenti, si teme il rafforzamento dell’opposizione iraniana interna, e a un diretto pericolo per la repubblica Islamica. Il piano prevede l’unificazione in una guerra di guerriglia e terrorismo di tutti quanti i gruppi terroristi, da Al Qaeda agli Hezbollah, alle forze locali come quelle che hanno perso la guerra con Saddam, o gli Sciiti della Armata Mahdi di Sadr (parte minoritaria di quelli iracheni, che anzi scrivono lettere e petizioni a Sadr perchè cessi dal terrore e dall’estremismo fanatico) che sperano di poter rendere il paese un feudo integralista.
La guerra in Iraq non è affatto una guerra di popolo, come alcuni la disegnano creando un motivo morale per il ritiro: al contrario, è la punta di diamante della guerra globale al terrore, l’appuntamento dove la vittoria o la sconfitta creano una possibilità per la democratizzazione del Medio Oriente, la bestia nera sia degli eredi di Saddam che degli integralisti.

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