La Pasqua ebraica in Israele fra terrorismo e speranza
Testata: La Stampa Data: 06 aprile 2004 Pagina: 11 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «In Israele una Pasqua di dolore e di speranza»
E' periodo di Pesach, pasqua ebraica, e Fiamma Nirenstein parla dei festeggiamenti in Israele. Lo riportiamo dalla Stampa di oggi, martedì 6 aprile '04. Peccato che sia uscito senza il nome della giornalista? Una svista? Pesach, la pasqua ebraica da cui i Cristiani hanno preso l’ispirazione e le date per farne una pasqua di resurrezione tanto quanto quella ebraica è la festa della libertà, è scesa ieri sulla sera di Israele insieme a una nuvola di domande: così è la tradizione ebraica, così è la loro realtà, carica di domande, anche quest’anno. La gente si è riunita a grappoli di famiglie, a gruppi di amici, nelle case, negli alberghi, nelle hall pubbliche per mangiare insieme «il pane dell’afflizione» l’azzimo, e per ricordare quando, col pane ancora non lievitato, gli ebrei lasciarono l’Egitto, la schiavitù: i servi costruttori delle piramidi lasciavano il faraone per andarsene a casa, e il mar Rosso si aprì per farli passare. «In cosa è diversa questa sera da tutte le altre?» si chiede leggendo l’antico testo. Senza sognare però, ad occhi spalancati: due anni fa al Park Hotel di Netanya un grande attacco terrorista fece decine di morti, tanto da innescare l’operazione Muro di Difesa. Quest’anno, specie dopo l’eliminazione dello sceicco Yassin, decione di migliaia di poliziotti e soldati, mobilitati anche fra i ragazzi che finiscono i corsi di addestramento, o trattenuti nei ranghi sulla soglia della vacanza, cercano di bloccare 80 allarmi di intelligence. «Andate lo stesso in giro, godetevi la pasqua» le autorità ripetono. E la gente, giovani, vanno in gita e a cena, viaggiano fra posti di blocco,ingressi sorvegliati, accurate indagini ai raggi x negli abiti e nelle borse. Alla radio il ministro degli interni Shaul Mofaz legge lettere di soldati e dedica canzoni alle mamme e alle fidanzate mentre li incoraggia a resistere alla fatica. Sull’altro canale, il capo di Stato maggiore Shaul Ya’alon tiene un filo diretto di domande e risposte su ogni cosa: il servizio delle riserve, quando sarà accorciato? Per ora, risponde con un mucchio di argomenti, non se ne può parlare. Gli obiettori di coscenza? C’è caso e caso, ma nessun soldato può pensare di fare la sua propria politica in un Paese dove il governo è democraticamente eletto, sospira con tono remissivo... In giro, nonostante le compere riempiano lo stesso i supermarket e i centri acquisti, si vede la miseria indotta da questi tre anni di Intifada, i giornali parlano dei primi successi e dei cambiamenti apportati da Netanyahu come ministro dell’economia; nei supermarket, il compratore lascia olio, biscotti, torte, le mette in uno scatolone per le cene dei poveri. Il Paese manca addirittura di cibo: le organizzazioni non-profit, come Beit Hayeled (la casa del bambino) di Haifa distribuiscono sacchetti di generi di prima necessità, mantendendo un’ordine preordinato da numeri distribuiti alla gente: i volontari sono assediati, uno di loro chiama il numero 935 che non risponde e passa al «prossimo, prego». Camion girano nelle strade portando ai vecchi sacchi di patate, azzime, piccole galline intere, caschi di banane; la grande macchina della solidarietà israeliana ha cominciato però a prelevare nel pomeriggio per portarli ai seder i disabili, i malati, i feriti; negli ospedali, nei rifugi delle donne picchiate, nelle istituzioni dove vivono le persone più malridotte, i feriti più gravi dagli attentati, si organizza una cena che sia almeno quieta con i loro parenti. La radio interroga con ansia gli immigrati dall’Africa o dal lontano Ofriente: «Noi leggiamo stasera» dice un giornalista «schiavi fummo in Egitto... e oggi siamo liberi.. ma voi, qui ospiti da noi, come vi trattiamo?». Gli immigrati si lamentano e protestano come in ogni Paese di immigrazione, il giornalista soffre. Sharon ha dato inconsuete interviste a destra e manca: è cominciata la sua campagna per lo sgombero da Gaza e da parte degli insediamenti, cerca simpatia e fiducia nonostante i guai giudiziari, chiede di seguirlo, e raccoglie, com’è strana la vita, soprattutto consensi a sinistra. A Gerusalemme ottanta partecipanti sono attesi a una cena di pasqua che sarà condotta dalle vittime del terrorismo all’Albergo Olive Tree, a Gerusalemme est; fra questi ci saranno i sopravvissuti del park Hotel: c’è anche una ragazza che non sapeva con chi passare la serata, ha perso ambedue i genitori nello scoppio del park Hotel nel 2002. Questo come altri seder sarà diverso da quello originale. Ce ne sono per tutti i gusti: c’è un’Haggadah tutta primaverile, con poco Dio e molta natura, con poesie di Milan Kundera e di Martin Luther King ; c’è un’haggada del dolore, per chi ha perso qualcuno e non se la sente di gioire; ci quelle dei soldati, in cui si allude alla lontananza da casa, alla durezza dell’esperienza. Alcuni kibbutz rileggerano la più simbolica fra le riscritture dell’Haggadah, quella del 1949, a un anno dalla fondazione dello Stato ebraico, che chiede «In che cosa è diversa questa notte da tutte le altre notti? Nelle altre notti, finchè venimmo a questo Paese eravamo sotto la regola di leggi ostili e straniere.. e ora siamo nel nostro Paese, di cui coltiviamo la terra e facciamo fiorire i deserti». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.