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Il Foglio Rassegna Stampa
05.04.2004 Come si muove il governo israeliano
analisi delle evoluzioni e delle svolte

Testata: Il Foglio
Data: 05 aprile 2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: «Sharon fa sul serio ma la potenza mediatica non se ne accorge»
Riportiamo l'analisi che il Foglio fa della politica del governo israeliano.
Milano. Il 14 aprile Ariel Sharon presenterà a Washington il piano di ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza. Dalla Casa Bianca dovrebbe così arrivare l’attesa "benedizione", che permetterà al premier israeliano, probabilmente a fine maggio, di presentarsi di fronte ai 230 mila membri del suo partito, il Likud, per ottenere, tramite referendum, il via libera alla politica di disimpegno dai Territori palestinesi. Ma il percorso del primo ministro non sarà privo di ostacoli, specie dopo l’uccisione del leader di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, e dopo la richiesta di rinvio a giudizio contro il premier, che rischia di trasformare Sharon nel primo capo di governo incriminato per corruzione in Israele. Il premier non ha dalla sua parte molti membri del partito (alcuni dei quali durante il Congresso del Likud hanno sbandierato striscioni contro la proposta di ritiro) ed è guardato con grande sospetto dai palestinesi e dall’intero mondo arabo. Soprattutto dopo le dichiarazioni di ieri: Sharon ha lasciato intendere infatti che Yasser Arafat e il capo dei guerriglieri libanesi Hezbollah, Hassan Nasrallah, possono diventare bersagli di azioni mirate da parte israeliana. "Non vorrei dire che entrambi possano sentirsi immuni. Chiunque uccida un ebreo o colpisca un cittadino israeliano, o invii gente a uccidere ebrei, un uomo segnato. Punto", ha detto a Hareetz. Ieri la polizia israeliana ha inoltre fatto irruzione sulla Spianata delle Moschee, a Gerusalemme, dove centinaia di palestinesi avevano preso a lanciare pietre, dopo la preghiera del venerdì. Gli agenti hanno sparato proiettili di gomma, granate assordanti e lacrimogeni per disperdere la folla. Più di 20 i feriti e molti gli arresti.

"Il grande fratello della guerra al terrore"
Sebbene un sondaggio pubblicato dal quotidiano israeliano Yediot Ahronot abbia
mostrato che il 51 per cento dei membri del Likud è favorevole al ritiro da Gaza, Sharon – come ha ricordato Bbc News all’indomani della presentazione del progetto – è da sempre considerato "il campione dei coloni" e la sua mossa è stata già giudicata dai rappresentanti degli insediamenti israeliani nei Territori "una follia, un tradimento, una capitolazione nei confronti del terrorismo". Il 3 febbraio, dopo la diffusione del piano, Yediot Ahronot titolava, citando la voce di un colono: la proposta del premier "è la madre di tutti i tradimenti". "Ieri Sharon ha buttato l’ultima bomba, quella che deciderà
se la sua età avanzata trionferà negli anni o sarà semplicemente il culmine di una farsa messa in atto per una vita", ha scritto anche Ma’ariv. La stampa israeliana, insomma, non ha gradito la mossa del premier. "Anche se Sharon non metterà in pratica i suoi piani – ha scritto Ha’aretz – è indiscutibile che il primo ministro abbia causato enormi danni agli insediamenti. Nessun leader israeliano ha mai messo in discussione la loro legittimità come sta facendo Sharon, il padre dei coloni". Da una parte si riconosce al premier il ruolo di paladino degli israeliani di Gaza, dall’altra lo si mette sott’accusa per il pesante "tradimento". Sharon si dice pronto ad andare avanti, previo il via libera dell’Amministrazione Bush, anche senza il consenso dei due partiti alleati dell’estrema destra (il Partito nazionale religioso e l’Unione nazionale). Il premier ha garantito che formerà un nuovo governo con nuovi partiti "lo stesso giorno" in cui il suo piano dovesse essere bocciato dagli alleati. Ma c’è chi sospetta che il primo ministro non sia poi così convinto delle sue azioni. Ma’ariv ha parlato di una vaga intenzione di "ritirarsi dal piano di ritiro". A insinuare forti dubbi sulle reali intenzioni di Sharon ha contribuito l’uccisione di Yassin, avvenuta in modo spettacolare davanti agli occhi della comunità internazionale. Come ha scritto James Bennet sul New York Times, "ognuna delle parti del conflitto israelo-palestinese vuole dimostrare
all’altra che il ritiro da Gaza è la prova della propria forza". Ecco perché Sharon avrebbe messo a segno proprio ora l’eliminazione dello sceicco, per dimostrare di essere ancora – scrive Ma’ariv - "il grande fratello della guerra al terrore" e di non aver tradito i suoi. Sharon ha voluto mettere in chiaro che, nonostante la proposta di ritiro (che Hamas vorrebbe presentare come una resa israeliana) la lotta al terrorismo è forte e i palestinesi devono ancora temere le azioni militari israeliane. Una risposta alle accuse, mossegli da più parti, di fare il gioco dei terroristi e di mostrare profonda debolezza con il suo piano di disimpegno. "Sharon incarna la convinzione israeliana che i palestinesi possono essere intimiditi dalla forza militare – scrive David Ignatius sul Washington Post – e che la pace sarà possibile solo quando saranno indeboliti o annientati". Ecco perché – ha spiegato il giornalista palestinese Daoud Kuttab – è stato ucciso Yassin, "perché gli israeliani volevano dimostrare che lasceranno Gaza in una posizione di forza e non di debolezza". Se da una parte Sharon vuole presentare su un piatto d’argento, all’America e al mondo, le sue mosse da pacificatore, dall’altra conserva il piglio del "falco". Non a caso il Jerusalem Post lo definisce "Sharon, l’arrogante"
e Noga Tarnopolsky lo accusa di aver costretto gli israeliani, con la sua mossa " restare chiusi in casa, impauriti", nel timore della vendetta degli integralisti. Matt Prodger scrive su Bbc News: la decisione di Sharon di abbandonare la road map e dedicarsi al piano di ritiro mostra come Israele voglia imporre le frontiere ai palestinesi,senza negoziare, scegliendo la strada più facile, quella della "ritirata dalle aree che più difficilmente può permettersi di difendere".

L’informazione araba picchia duro
Come prevedibile, a picchiare duro sul premier è soprattutto la stampa araba. Nonostante un sondaggio pubblicato da Ma’ariv indichi che il 75 per cento dei palestinesi accoglie con favore il ritiro e il 47 per cento sosterrebbe una politica di riconciliazione se fosse raggiunto un accordo di pace, i giornali arabi sembrano inflessibili. Al Hayat parla di "trappola", di un piano che serve a Sharon "per indirizzare i palestinesi verso una guerra civile, per rimpiazzare la road map e ritardare la formazione di uno Stato palestinese, per allontanare l’isolamento internazionale che l’occupazione ha prodotto contro Israele". L’obiettivo del capo del governo di Israele – spiega Al Hayat – è di tenere fuori dal ritiro quattro insediamenti, in modo da attanagliare Gaza in una prigione circondata dalla presenza israeliana". In un commento dal titolo "Dieci motivi per cui Sharon ha ucciso Yassin", Patrick Seale insiste sulle pagine del quotidiano panarabo: l’eliminazione di Yassin è servita a dimostrare che "il ritiro non è una vittoria dei nemici d’Israele" e che Hamas è stata decapitata prima dell’uscita di scena dell’esercito. Il Washington Post dà voce al pesante atto di accusa di Ghada Ageel, residente a Gaza e ricercatrice della britannica Exeter University: "Sharon vuole lasciare Gaza nel pieno di una sanguinosa guerra civile". Yassin – spiega Ageel – aveva ipotizzato prima della sua morte, dopo l’annuncio di ritiro unilaterale fatto da Sharon, un piano per l’amministrazione congiunta di Gaza sotto la guida di Hamas, al Fatah e altre fazioni. Ma a Sharon questa ipotesi non va a genio, perché il premier "ha un piano che non prevede la pace e il mantenimento della speranza dei palestinesi". Sharon sembra temere, secondo la stampa internazionale, le conseguenze del piano da lui stesso ideato: ha paura che il progetto possa essere letto come un segno di debolezza d’Israele, guarda con preoccupazione l’eventuale sopravvento delle organizzazioni estremiste nell’area e intanto tenterebbe di fomentare col suo progetto la rivalità fra i gruppi più intransigenti. Qualcuno sostiene che il piano di pace e il viaggio Washington siano, in questo momento, buon diversivo per distogliere l’attenzione del paese e del mondo dall’accusa di corruzione che grava sul premier e sul figlio.

Le nubi giudiziarie
Il leader del Likud è accusato di aver sponsorizzato e aiutato attivamente progetti edilizi dell’uomo d’affari israeliano David Appel in Israele e in Grecia. Come contropartita, Appel avrebbe appoggiato la scalata di Sharon ai vertici del partito negli anni 1999-2000 e ha versato al figlio del premier – Ghilad – alcuni milioni di shekel, ossia centinaia di migliaia di euro, come compenso per la sua attività di consulente. Durissimo l’affondo di Ha’aretz sulla questione: qualunque sarà la decisione del procuratore generale, Menachem Mazuz, (se procedere o meno alla formalizzazione dell’incriminazione), "Ariel Sharon ha perso l’autorità morale e l’appoggio dell’opinione pubblica necessari per guidare un paese". La conferma che i sospetti sulla limpidezza del premier sono in crescita sta in un sondaggio pubblicato da Yediot Ahronot, secondo cui il 53 per cento degli israeliani vorrebbe che Sharon lasciasse il suo incarico a causa degli scandali in cui è coinvolto. Quel che è certo – scrive il francese Le Monde – è che "Sharon è condannato all’immobilità prima del giudizio del procuratore generale". Una previsione abbracciata anche dall’analista israeliano Gerlad Steinberg, che parla di una coalizione di governo "sicuramente paralizzata" nelle prossime settimane. Più fiducioso sulla capacità del premier di rimanere in carica è Ma’ariv: Sharon è oggi su un campo di battaglia, una posizione nella quale eccelle. E’ lontano dal gettare la spugna". Il Likud si prepara alla possibile uscita di scena del leader, nonostante il numero due del Gabinetto, Ehoud Olmert, abbia garantito che "Sharon resterà primo ministro, perché è stato eletto magistralmente a due riprese e perché il partito deve riconoscergli l’abilità di aver raddoppiato i suoi deputati in Parlamento". Le controversie giudiziarie potrebbero mettere a rischio i rapporti coi laburisti e il progetto del premier di formare un governo, se la destra si opponesse al piano di pace. Gli uomini di Shimon Peres frenano: "Il governo di unità nazionale si farà solo quando Sharon avrà dimostrato di voler davvero realizzare i progetti di ‘disimpegno’ e quando (forse ai primi di maggio) si saranno dissipate le nubi giudiziarie". Come scrive l’Independent, nelle prossime settimane si gioca una partita "in cui è in ballo il ritiro da Gaza, ma anche l’oblio politico del premier". Sorprende, da una panoramica sulla stampa mondiale, che mentre Sharon tenta una scommessa così importante per la soluzione del conflitto arabo-israeliano, molti media o parlano d’altro o non ci credono.
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