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Il Resto del Carlino Rassegna Stampa
05.04.2004 Il quotidiano bolognese sempre più fazioso
quando chi scrive o non sa la storia o è condizionato dal pregiudizio

Testata: Il Resto del Carlino
Data: 05 aprile 2004
Pagina: 0
Autore: Lorenzo Bianchi
Titolo: «Tre articoli sul Carlino di Lorenzo Bianchi»
Il Resto del Carlino è un quotidiano venduto a Bologna e provincia. Ha una grande tradizione, che vorremo definire in senso liberale. Peccato che da un po' di tempo anche il Carlino sembri una succursale del Manifesto. Ce ne siamo occupati di recente per una serie di articoli palesemente faziosi. Dei tre articoli che riproduciamo oggi, e che inviatiamo a leggere, l'autore è Lorenzo Bianchi. Un esempio su tutti è quello riportato nel secondo articolo, che vuole essere una breve storia del conflitto arabo israeliano, dove descrive lo sceicco Yassin come sant'uomo.
Partendo da una visione storica del genere è ben difficile pretendere un barlume di corretezza. Bianchi, oltre ad ignorare la storia, imputando alla passeggiata di Sharon la causa dello scoppio della seconda intifada, si rivela un alacre sostenitore del mito di Yasser Arafat che, in un modo o nell'altro, riesce a sfuggire alle trappole che il perfido Sharon gli prepara. Su Geusalemme l'opinione che viene messa in evidenza è quella che gli israeliani non permettano la libertà di culto. Falso, mai nella storia è stata garantita, come da quando Gerusalemme è unita sotto il controllo israeliano. Queste ed altre sono le falsità che Lorenzo Bianchi indirizza quotidianamente ai lettori del Carlino. Di seguito pubblichiamo i tre articoli.
Invitiamo i nostri lettori a leggerli attentamente e poi inviare le loro proteste al quotidiano bolognese.

1) «Chiunque uccida un ebreo è un uomo segnato»
Scontri sulla «Spianata». E Sharon minaccia Arafat

Ha bisogno di fare la voce grossa Ariel Sharon. Vuole ritirarsi da Gaza e da quattro colonie ebraiche nella Ci­sgiordania occupata. Teme che questa mossa, contestata dalla destra della sua coali­zione e del suo stesso parti­to, il Likud, possa essere interpretata come un segno di debolezza. Lo spettro che aleggia è quello del precipitoso ritiro dal Libano voluto dal laburista Ehud Barak. I duecentotrentamila iscritti al Likud stanno per esprimersi con un insolito referendum. Il premier è accreditato di un sottile margine di vantaggio. Spuntano così anticipazioni di interviste che promettono morte a Yasser Arafat e al leader degli Hezbollah liba­nesi Hassan Nasrallah. A entrambi il premier israeliano rivolge un’attenzione che inquieta: "Chiunque uccida un ebreo o nuoccia a un cittadino di Israele o ancora mandi qualcuno ad ammazzarlo è un uomo segnato. Punto". Oppure "ha il sangue sulla testa". L’espressione biblica gli pare però vaga: "Arafat non ha una polizza di assicurazione. Tutti sanno che è lui l’ostacolo che blocca ogni progresso". Visto il fresco precedente dello sceicco Yassin, il leader spirituale di Hamas, c’è di che preoccu­parsi. Il premier palestinese Abu Ala non nasconde la sua ansietà: "Sono minacce che non debbono essere sot­tovalutate". Arafat risponde sarcastico con la storia della sua vita rocambolesca: "Per lui sono un osso duro. Ha cer­cato di farmi fuori per ben tredici volte e non c’è mai riu­scito". Da settembre il gover­no di Gerusalemme ha deci­so "in linea di principio" di rimuoverlo, ma non è mai passato all’azione. Il presi­dente palestinese attende pa­ziente, asserragliato all’inter­no del suo quartier generale, la "Muqata". Forse sogna una fine da martire.

Dagli Stati Uniti però rovina addosso al primo ministro israeliano un deciso stop. Il sottosegretario di Stato Ri­chard Armitage ricorda che la Casa Bianca è contraria sia all’assassinio del Rais sia all’esilio e che "lo ha chiarito bene al governo di Gerusalemme". La cautela tiene conto dell’onda lunga di violenze scatenate dall’elimina­zione di Yassin. Un’onda lun­ga che sembra non volersi esaurire. Alla fine della pre­ghiera del venerdì nella mo­schea di Al Aqsa, il terzo luo­go santo dei musulmani, gio­vani fedeli che inneggiavano al defunto capo del movi­mento integralista Hamas hanno lanciato sassi in direzione degli ebrei raccolti da­vanti al Muro del pianto e de­gli agenti israeliani che sor­vegliavano la porta di Al Mu­ghrabi, a protezione dei cor­religionari. I poliziotti han­no fatto irruzione sulla spia­nata che divide Al Aqsa dal­la Cupola della roccia esplo­dendo proiettili di gomma, lacrimogeni e granate stor­denti. Uomini e donne si so­no asserragliati a migliaia nella moschea di Al Aqsa e nei sotterranei delle "stalle di Salomone". La polizia ha circondato la zona per due ore. Lo stallo è stato supera­to grazie a un accordo con il Waqf, l’ente religioso musul­mano che controlla la zona. I turbolenti fedeli sono deflui­ti senza altri intoppi. Ma il re­sponsabile del Waqf Adnan Husseini ha accusato gli isra­eliani di "limitare costante­mente la libertà di culto". Nella stessa giornata tre pale­stinesi sono stati uccisi. Due a Gaza e un giovane di sedi­ci anni a Betlemme
2) Dal 1947 a oggi le tappe di una convivenza senza pace. Vita e morte di due popoli in una sola terra promessa



La questione ebraica risor­ge nel cuore dell’Impero austro ungarico. Il messiani­co alfiere si chiama Theodor Herzl. È nato a Budapest nel 1860. Durante gli studi alla facoltà di legge, dell’Uni­versità di Vienna vive sulla sua pelle il pregiudizio dell’antisemitismo. Dopo la laurea diventa corrisponden­te da Parigi per la "Neue Freie Presse", un giornale libe­ral della capitale asburgica. Gli capita di seguire il processo contro un uomo che professa la stessa religione, il capitano Alfred Dreyfus, accusato ingiustamente di al­to tradimento. Sente le folle parigine invocare la morte per i discendenti di Davide. Nel 1896 scrive "Lo stato de­gli ebrei". Per la prima volta accarezza l’idea di una entità nella quale possano vivere e prosperare tutti i frammen­ti di popolo separati dalla diaspora, la nazione che vive in esilio dal settanta dopo Cristo, l’anno nel quale, l’impe­ratore romano Tito espugnò la ribelle Gerusalemme e di­strusse il Secondo Tempio la­sciando in piedi solo il Muro del Pianto.

Herzl muore nel 1904. Nello stesso anno si trasferisce a Londra Haim Weizmann, un ebreo russo che riuscirà a entrare nelle grazie del go­verno per le sue doti di chi­mico. È riuscito a produrre un materiale bellico, l’aceto­ne, facendo fermentare i suoi componenti. Nel 1917 il ministro degli esteri ingle­se Arthur James Balfour si sdebita riconoscendo agli ebrei il diritto di avere una "Patria" in Palestina. La So­cietà delle Nazioni seguirà a ruota la potenza imperiale britannica.

Dopo la fine della guerra mondiale il popolo disperso in tutto il pianeta comincia a tornare clandestinamente nel­la Terra Promessa governata dagli inglesi. I primi scontri con gli arabi al Muro del pianto scoppiano, nell’estate del 1929. Dal 1939 gli ebrei fuggono a migliaia dall’Eu­ropa addensandosi nell’area di Jaffa e di Tel Aviv. Sono gli anni dell’Olocausto, lo sterminio di massa perpetra­to dalla Germania hitleriana, sei milioni di morti. Nel 1947 una risoluzione dell’Onu, la 181, divide la Palestina in due parti, una araba e una israeliana alla quale, viene assegnato il 55 per cento del territorio. Geru­salemme è un’isola tutelata da uno status internaziona­le. Il 14 mag­gio 1948 il leader del Mo­vimento sioni­sta internazio­nale David Ben Gurion proclama l’indi­pendenza di Israele. Le arma­te di cinque stati arabi attac­cano, ma vengono sconfitte. Almeno quattrocentomila pa­lestinesi debbono lasciare le loro terre e le loro case. Nel 1959 Yasser Arafat e Kalil Al Wazir fondano Al Fatah. Cinque anni dopo, Arafat di­venta presidente dell’Orga­nizzazione per la Liberazio­ne della Palestina. Israele viene attaccata di nuovo nel 1967. Prima dall’Egitto e poi dalla Giordania e dalla Siria. È la guerra dei sei giorni. Le truppe di Moshe Dayan conquistano Gerusalemme e arrivano fino al Giordano.

Nel 1973, Egitto e Siria muovono con­tro Israele in occasione della festività ebraica dello Yom Kippur e vengono di nuovo respinti. Al Cairo si fa strada l’idea che è opportuno negoziare. Nel 1979 il presidente Anwar Al Sadat e il premier di Gerusalemme Menachem Begin firmano il primo ac­cordo di pace a Camp Da­vid. La resistenza all’occupa­zione è ormai tutta sulle spal­le dell’Olp. Le incursioni dal territorio libanese nel 1982 inducono Ariel Sharon, all’epoca ministro della dife­sa, ad invadere il Libano. A Sabra e Chatila i falangisti cristiani, alleati di Israele, massacrano decine di palestinesi. Arafat è costretto a rifu­giarsi a Tunisi con tutto il vertice dell’Organizzazione. Il combattente Abu Ammar, al secolo Arafat, si avvicina a piccoli passi alla prospettiva di una soluzione negozia­ta. Parallelamente spunta il movimento integralista Ha­mas, guidato dallo sceicco Ahmed Yassin, che respinge l’idea di riconoscere Israele. Il sant’uomo soffia sul fuoco della disperazione. Alla fine del 1987 si ribella a Gaza la immensa baraccopoli di Ja­balya. È la scintilla della pri­ma Intifada, la rivolta popo­lare contro l’occupazione israeliana.

Nel 1993 la diplomazia se­greta partorisce a Oslo una "Dichiarazione di principi" che riconosce una limitata sovranità palestinese a Gaza e nelle maggiori città della Cisgiordania occupata. Israe­le si ritira. Nascono l’Autori­tà Nazionale e il primo Parlamento palestinese. Arafat rientra trionfalmente in patria nel 1994. Il sei aprile Ha­mas fa esplodere un’autobomba ad Afula, a nord di Tel Aviv. Sette giorni dopo spedisce il primo kamikaze ad Hadera. I morti israeliani sono cinque. Yitzhak Rabin, il primo ministro laburista che ha stretto la mano ad Arafat e ha dato avvio al pro­cesso di pace assieme a Shi­mon Peres, cade per mano di un estremista di destra, Yi­gal Amir.

La filosofia del negoziato si sfilaccia, fra ritardi di Geru­salemme nell’applicazione degli accordi e ambigua inca­pacità di Arafat di fermare i terroristi. Nel luglio del 2000 il laburista Ehud Ba­rak, ancora una volta a Camp David, mette sul cam­po un’offerta di pace che pre­vede perfino la spartizione di Gerusalemme. Arafat si ri­trae. Sharon va a passeggia­re sulla spianata delle mo­schee, il terzo luogo santo dell’Islam. Esplode la secon­da Intifada. Sharon vince le elezioni. Il suo slogan è dra­stico: "Non si tratta finché non finiscono gli attentati".

I terroristi non cedono. Il pri­mo ministro decide di separa­re i destini dei due popoli. Anche fisicamente. Nasce il muro, in parte pannelli di ce­mento alti otto metri, in parte reti elettrificate dotate di sensori. Un vallo di sicurez­za, ma anche una linea di divisione dettata da timori de­mografici. In una Palestina che si estende dal Mediterraneo al Giordano gli israelia­ni rischiano di diventare mi­noranza fra dieci anni.
3) Una scuola materna nella patria di Gesù, senza distinzione di fede

Una nuova scuola materna per trecentocinquanta piccoli cittadini di Betlemme, cristiani e musulmani. Una piccola fiamma di speranza per bambini che crescono in una città che sta pagando prezzi altissimi alla seconda Intifada e al nuovo muro di separazione fra i territori palestinesi e Israele. Gli alunni più piccoli del Terra Santa College, diretto da padre Ibrahim Faltas, sono ora 150.

Le loro aule sono ex magazzini e scantinati. Il fiore della solidarietà del 2003, presentato durante il quarantaseiesimo Zecchino d’Oro, è dedicato a questo progetto nel quale è impegnato l’Antoniano di Bologna con il sostegno del «Quotidiano Nazionale». La nuova struttura verrà inaugurata con una festa‑pellegrinaggio alla fine di ottobre. Chi intende contribuire a questa opera vitale per la città può versare la sua offerta sul Conto Corrente Postale numero 16841405 intestato a Antoniano, Opere caritative antoniane, via Guinizelli 3, 40125 Bologna oppure sul Conto Corrente Bancario numero 650622 Cin H, Abi 5387, Cab 02400 della Banca popolare dell’Emilia Romagna, sede di Bologna. Per informazioni e donazioni con carta di credito si può chiamare il numero verde 800.200.302.
A corredo dei due articoli c'era il sopracitato articoletto.un articoletto riguardante un'iniziativa sostenuta dal Carlino (Quotidiano Nazionale) e tuttora in corso. Un'opera di beneficenza è sempre degne di lode, - ma una scuola diretta da Ibrahim Faltas, uno dei più strenui sostenitori dei terroristi palestinesi, ci pone una domanda: cosa insegnerà Faltas ai suoi piccoli allievi? Ma per il Carlino va bene così.

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