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Il Foglio Rassegna Stampa
05.04.2004 Il ruolo dell'Egitto
nella questione israelo-palestinese

Testata: Il Foglio
Data: 05 aprile 2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: «Mubarak cucina a fuoco lento una sorpresa mediorientale»
Dal Foglio riportiamo un articolo sui rapporti che intercorrono fra l'Egitto, Israele e l'ANP.
Milano. Dietro ai grandi eventi che influenzano gli scenari del Medio Oriente, dall’uccisione di Ahmed Yassin al rinvio del vertice della Lega araba, "si sta cucinando qualcosa a fuoco lento", sono parole di uno degli osservatori più attenti della regione, il giornalista Jihad Al Khazen, di Al Hayat. Da mesi gli uomini di Hosni Mubarak viaggiano tra l’Egitto e i Territori, prendono contatti con i funzionari dell’Anp, si hanno echi di incontri tra vertici dell’intelligence israeliana ed egiziana, e il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom è stato al Cairo, a spiegare il piano di ritiro unilaterale. L’Egitto è uno dei pochi interlocutori arabi che Israele ha a disposizione, è soprattutto il vicino che è utile coinvolgere nel piano di ritiro: c’è bisogno di qualcuno che pattugli i confini, che garantisca la sicurezza dopo che le truppe israeliane avranno lasciato Territori, non permettendo a Hamas di sfruttare il vuoto di potere. C’è anche bisogno di qualcuno con cui l’Anp si senta più a suo agio, di un’interfaccia. L’Egitto è tutto questo e se, insieme agli Stati Uniti e alla Giordania, riuscisse a traghettare israeliani palestinesi al negoziato, metterebbe a tacere quelli che insistono sull’indebolimento del paese quale potenza regionale. "L’Egitto un paese importante nel mondo arabo: può influenzare molte decisioni e ha un trattato di pace con Israele – spiega al Foglio il generale Mohamed Kadry Said, consigliere militare del Centro per gli studi politici e strategici dell’Ahram – ha tentato negli ultimi mesi di forgiare un progetto politico con palestinesi e israeliani. E’ stato però difficile raggiungere un accordo a causa delle azioni portate avanti su entrambi i fronti. Ma l’Egitto continua a riprovarci": vuole convincere Sharon a coinvolgere nell’attuazione del disimpegno l’Anp.
In un primo momento sembrava che i servizi segreti egiziani e israeliani avessero pensato a un ruolo dell’esercito del Cairo nella Striscia di Gaza, ipotesi smentita da Mubarak, anche se l’Egitto è pronto ad addestrare le forze dell’ordine palestinesi affinché possano mantenere autonomamente la sicurezza nelle zone lasciate da Israele, e ha garantito il proprio impegno sulle frontiere. Il premier palestinese Abu Ala si è detto favorevole al piano israeliano, a patto che questo non costituisca un’alternativa alla road map ma un passo della sua attuazione. Israele ben comprende un punto debole del progetto: la possibilità che Hamas possa approfittare del ritiro per acquistare potere a spese dell’Anp. Anche ieri, nella riunione domenicale del gabinetto Sharon, il piano ha causato dissensi. Ma l’ipotesi non spaventa solo lo Stato ebraico: "Un aumento della violenza nei Territori occupati potrebbe dare slancio al movimento islamico in Egitto", ha detto Nabil Abdel-Fattah del centro di Studi politici e strategici dell’Ahram. Al Cairo non sfugge anche un’altra realtà: Hamas è il movimento più popolare a Gaza, sono in molti a pensare che sia necessario una sua integrazione nel sistema politico. Ieri le fazioni palestinesi si sono riunite per discutere la possibilità di condividere con l’Anp la gestione di Gaza dopo il ritiro, presenti Hamas e Jihad islamico.

L’ascesa di Omar Suleiman
Il mancato raggiungimento a Tunisi, sede del vertice rinviato, di un accordo sulle riforme democratiche ha rafforzato la diagnosi della comunità internazionale sulla Lega, un’istituzione che si è incancrenita con il passare degli anni, e ha fatto riemergere le divisioni tra i regimi arabi. A reagire per primo è stato Mubarak, che ha subito proposto l’Egitto come sede di un vertice da convocare il prima possibile. Il presidente egiziano si è riunito con capi di Stato e sovrani dei paesi della Lega per trovare una soluzione. "Mubarak ha cercato di dimostrare che l’Egitto è un protagonista importante in Medio Oriente, in un momento in cui molti parlano di un suo indebolimento. E’ in programma una visita di Mubarak a Washington, e il presidente figurerà come rappresentante del mondo arabo. Probabilmente una fazione ha cercato di sabotare quest’immagine". La rapidità di reazione conferma la volontà dell’Egitto di ampliare il suo ruolo: "E’ l’unico Stato che può affrontare le sfide alle quali i paesi arabi si trovano davanti – ha detto all’Ahram Ahmed Abu Zeid, presidente del Comitato per gli Affari arabi – E’ l’orbita sulla quale gravita ogni satellite arabo". Il Cairo ha subito preso una posizione quando il quotidiano Al Hayat ha pubblicato una bozza del piano americano per il Grande Medio Oriente, dichiarando di non volere ingerenze occidentali, ma proponendo un programma di riforme da studiare al vertice arabo. "Le riforme – spiega Kadry Said – sono un argomento corrente che ormai
sta producendo reazioni e punti di vista. La questione ha causato il rinvio del summit. Qualsiasi vertice nel futuro si concentrerà su questo argomento".
Circolano perfino indiscrezioni sulla volontà di Mubarak di cancellare lo Stato di emergenza; scrive l’Economist: "Sarebbe cosa saggia. Il paese è maturo per un cambiamento. Se l’Egitto si muove, altri potrebbero seguirlo". Nell’élite egiziana si parla di riforme e il conflitto arabo-israeliano attira le piazze. Le due questioni acquistano ulteriore importanza in vista di una successione
politica, tornata d’attualità dopo un malore del presidente davanti alle telecamere. Alla luce del nuovo ruolo del Cairo, i nomi dei possibili successori, che circolano da mesi, prendono un’altra consistenza. Gamal, figlio
del presidente, grazie alla giovane età e all’educazione occidentale, affascina, ma l’idea di una successione dinastica non piace all’ala riformista, mentre il quasi sconosciuto (fino a poco fa) Omar Suleiman, capo dei Servizi segreti, permette a molti non solo d’intravedere una soluzione del problema israelo-palestinese, ma anche un aumento del prestigio internazionale dell’Egitto, grazie al suo impegno nel tema chiave della politica mediorientale. Suleiman inoltre è, tra gli uomini di Mubarak, il più stimato sia dagli israeliani sia dagli americani. E il folto movimento pro Palestina, sorto in Egitto all’indomani dello scoppio della seconda Intifada, non dimenticherebbe chiunque riuscisse a risolvere, anche solo in parte, il conflitto con una tregua. "Certe persone in Egitto pensano che Suleiman sia un
possibile candidato – spiega il Generale Kadry Said – il che non significa che sia vero. Per noi quest’area, Gaza e la West Bank, ha un’importanza militare, politica, d’intelligence e di sicurezza e l’uomo che si occupa del dossier israelo-palestinese deve essere non solo un militare (tutti i presidenti egiziani hanno fatto parte delle forze armate, ndr) ma anche una persona in possesso di buone informazioni sui diversi attori in gioco. Certo Suleiman è un uomo importante, potrebbe servire da presidente nel futuro, ma non è detto, altre persone hanno rivestito lo stesso ruolo nel passato".
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