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La Stampa Rassegna Stampa
02.04.2004 Ottimo l'articolo, ma che c'entra la foto ?
da Fiamma Nirenstein le ultime notizie da Gerusalemme

Testata: La Stampa
Data: 02 aprile 2004
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Tra Israele e Palestina circola a bassa voce una parola: "pace"»
La foto che accompagna l'articolo di Fiamma Nirenstein ha la seguente didascalia: "Agenti israeliani portano via una colona da un insediamento illegale dopo averne smantellato la sinagoga". Comprendiamo quanto al desk esteri, e in particolare al suo caposervizio, possano piacere immagini del genere, ma perchè affiancarla ad un artcolo con il quale non c'entra nulla ? Invitiamo i nostri lettori a porre la stessa domanda al direttore della Stampa. Dopo aver letto l'articolo di F.Nirenstein.
Eccolo:

GERUSALEMME
Venticelli, fragili refoli di pace. Si può immaginare che anche Abu Ala abbia tirato un segreto sospiro di sollievo quando sono stati arrestati ieri 12 ricercati fra cui il famoso Jamal Hamamra (un uomo del Mukabarat, che ha organizzato molti attacchi terroristi) che si nascondevano nell’Ospedale Psichiatrico di Betlemme mentre preparavano (secondo fonti israeliane) due grandi scoppi a Gerusalemme per la Pasqua ebraica, lunedì prossimo. Se i terroristi, che in questi giorni si impegnano a fondo per acquisire grossi risultati, dovessero disgraziatamente farcela, questo significherebbe oltre al disastroso spargimento di sangue, anche la rottura della fragilissima, tenue trama di speranza che si sta costruendo in queste ore. E Abu Ala avrebbe dei problemi politici.
Ricapitoliamo: Sharon, che andrà presto a Washington per ottenere il nulla osta allo sgombero unilaterale e un buon contraccambio (rinuncia al diritto al ritorno, parte del recinto, gli insediamenti di confine annessi) ieri sera ha incontrato i tre inviati americani che stilano le clausole dell’approvazione eventuale di George W Bush. L’accordo è fatto, senza troppi dissensi, con l’impegno israeliano di tornare alla road map appena possibile, al trotto verso lo Stato Palestinese «la visione» di Bush. Il treno passa, Abu Ala non vuole perderlo: durante il Consiglio Legislativo ha detto di considerare il ritiro una riapertura di pace: ha persino affermato per la prima volta che il terrorismo deve cessare, perchè è dannoso alla causa. Abu Mazen su questo tema ci rimise il posto; è una frase improfferibile senza l’approvazione di Arafat. Che cosa succede dunque? Dopo l’assassinio mirato dello sceicco Yassin Fatah nei primi giorni si spese in lodi funebri al capo di Hamas: lo chiamò martire, leader insostituibile, angelo che siede in paradiso (così Arafat, e anche Qreia).
Ma a pochi giorni Al Quds, giornale ufficiale palestinese, riportava che Yassin era molto malato, anzi, terminale, a letto, collegato a una bombola di ossigeno... che aveva già un piede nella fossa. Intanto Sarafat annunciava di essere disponibile dalle 18 alle venti per messaggi di cordoglio. Intanto Sarin Nusseibah, l’aristocratico professore palestinese che ormai da due anni raccoglie con l’israeliano ex capo del Mossad Amy Ajalon firme in favore della pace fra la gente del popolo, è arrivato a 130 mila firme per la rinuncia al ritorno e in cambio, il ritiro israeliano alla Linea Verde; Ajalon, da parte sua, ne ha raccolto fra gli israeliani 170 mila, ma certo il risultato di Nusseibah è pagato col rischio della vita, villaggio per villaggio, riunione per riunione. Dopo l’assassinio di Yassin che Nusseibah definisce sardonicamente «non inconsistente con il progetto israeliano del ritiro da Gaza», il professore scende in campo audacemente per trattenere i suoi dal prossimo attacco terrorista. Con lui 70 fra intelletuali, leader di Fatah, persino ex terroristi, firmano un documento di rinuncia al terrore.
Nusseibah, un giorno prima del discorso di Qreia contro il terrore, annuncia che la sua posizione sta conquistando la leadership di Fatah. La cosa ha una sua realtà, anche se è lunga e difficile: i terroristi arrestati ieri erano Tanzim, il 53 per cento della popolazione è a favore del terrorismo suicida, il famigerato Alam Koka che ieri è stato condannato a 18 anni per tentato omicidio degli ambasciatori israeliani in Cina e Germania e per aver pianificato di avvelenare le riserve d’acqua è parte dei Martiri di Al Aqsa, del Fatah. Ma uno sforzo è in corso: per esempio si è formata una commissione per cercare di fermare la tv palestinese dall’incitamento istituzionale al terrorismo suiciida dei bambini. Abu Ala vuole Israele fuori da Gaza e da parte del West Bank subito, e capisce che se il terrore agisce, questo non avverrà.
Inoltre, vorrebbe riproporsi come interlocutore; gli inviati di Bush, affezionati alla road map, pure vedono il ritiro unilaterale come un buon primo passo; come Sharon chiede, menzioneranno in una lettera (non in un trattato ufficiale) il diritto dei Palestinesi a «tornare in un loro stato», e non dovunque vogliano. Inoltre, Abu Ala sente che perde il treno rispetto al generale sommovimento del Medio Oriente: Mubarak tornando al Cairo all’improvviso ieri ha dato una vera buca, a Sharm el Sheick, a Bashar Assad di Siria e al presidente del Sudan Omar el Bashir, mentre ha incontrato freneticamente sia gli americani che i giordani e i sauditi per rimettere in moto il summit arabo sulla democrazia. Tutto questo è finalizzato a giocarsi un nuovo ruolo per rimettere i palestinesi in gioco. L’estremismo non è più solo una medaglia, nel mondo arabo, al giorno d’oggi, anche la leadership di Fatah comincia a capirlo.
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