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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
01.04.2004 Scontro per i tagli alla produzione petrolifera
per Tramballi: di chi la colpa? Di Sharon, naturalmente

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 01 aprile 2004
Pagina: 1
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Una nuova frattura»
Riportiamo il testo integrale dell'articolo di Ugo Tramballi, cui segue il nostro commento.
Chi avrebbe esplorato le viscere del deserto appena unificato dai beduini della casa Al-Saud, chiesero gli anziani al re. Solo inglesi e americani avevano i mezzi per farlo. Abdul Aziz scelse i secondi: diversamente dagli inglesi, gli americani erano meno pericolosi perché non avevano ambizioni strategiche nel Golfo Persico. Era il 1938 ed allora le cose sono un po'cambiate. E gli americani hanno 130.000 soldati in Iraq.

Gli americani hanno basi militari Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati, Oman, e nella stessa Arabia Saudita; sono gli alleati di Israele, finanziano l'Egitto, minacciano la Siria. Il petrolio ha proiettato anche i sauditi fuori dal loro sogno di insularità tribal-religiosa di un tempo: sono la superpotenza economica regionale; dalle coste atlantiche dell'Africa all'Indonesia quasi non c'è minareto che non sia stato finanziato da loro; hanno inconsapevolmente creato Al-Qaida, emerso da una commistione di ricchezza senza limiti, oscurantismo religioso e miopia politica.

Dai tempi del boicottaggio petrolifero del 1973-1974 non era mai accaduto che gli Stati Uniti prendessero posizione così chiaramente contro una decisione dell’ Arabia Saudita. Il taglio di un milione di barili alla fine lo ha deciso l’Opec, che è un organismo collettivo: ma lo è nel senso che la sua collegialità è costituita dall’Arabia Saudita e poi da tutti gli altri.

Posto nell'attuale contesto regionale, tuttavia, lo scontro sui tagli alla produzione petrolifera era quasi previsto. Sembra non ci sia più nulla che unisca sauditi e americani: un'incomprensione che riassume quella più ampia fra Occidente e mondo arabo. Le decisioni prese ieri dal ministro saudita Al-Naimi (che ha studiato in America) e le reazioni dell'amministrazione di Bush (il cui padre coltivava amicizie personali e affari col casato dei Saud) sono di natura economica: hanno a che fare con la svalutazione del dollaro, gli stoccaggi, la riduzione estiva dei consumi, gli speculatori.

E in un certo senso è un polverone inutile: tecnicamente il taglio sulla produzione non può essere fatto in aprile e se sarà confermata nei mesi successivi, tutti sanno che ci sarà chi ignorerà i propri limiti.

Ma che lo si volesse o no, nella realtà mediorientale di oggi le scelte economiche diventano anche decisioni politiche. I mercati petroliferi si aggiungono alla lista che comprende gli americani in Iraq, l'Intifada, il terrorismo islamico, la stabilità regionale, le arretratezze e le riforme del mondo arabo.

Solo cinque giorni fa a Tunisi il vertice della Lega araba è fallito prima ancora incominciare. La supposta unità si è spaccata fra chi proponeva "riforme democratiche" e chi solo "riforme"; fra chi chiedeva un'incondizionata denuncia del terrorismo islamico e chi pensava che farlo sarebbe stata una concessione eccessiva all'Occidente.

I fronti sono compositi: l’Arabia Saudita, per esempio, teme le riforme rapide, ma è favorevole a riproporre una pace a Israele, nonostante Sharon. C'è però una sovrapposizione tra il fronte che a Tunisi voleva democrazia e condanna senza ambiguità del terrore, e chi ieri a Vienna era contro il taglio della produzione di greggio. Ci sono paesi come Kuwait, Emirati, Bahrein e Qatar, favorevoli a lasciare il mercato petrolifero così com’è, che assieme a Marocco, Tunisia e Giordania hanno scelto la via più occidentale alle loro riforme. Il problema è che le opinioni pubbliche di questi sono antiamericane come quelle degli altri paesi.

I sondaggi dimostrano tuttavia che l'ostilità e più verso il governo che il modello americano. Anche nell'urbanistica Riad assomiglia più a Phoenix o Huston che a una città araba.

Queste contraddizioni sarebbero oggi meno evidenti e le simpatie più nette se dal giorno successivo alla liberazione di Bagdad, gli americani non si fossero limitati a presidiare il Ministero del petrolio della Banca centrale, ma avessero dimostrato di avere un piano dalla stabilità dell’ Iraq.

Non ci sono arabi che non siano soddisfatti della scomparsa di Saddam Hussein nè arabi che neghino la necessità di riformare i loro sistemi. Il problema è cosa sono in grado di fare loro e che cosa propone l’Occidente. La democrazia è un valore complesso, non una formula matematica: nei tempi e nei modi possibili può avere un successo più rapido fra i 150.000 qatarini, tutti ricchi, che fra i 20 milioni dall’ Arabia Saudita, in gran parte fondamentalisti, e i 75 dell'Egitto in maggioranza poveri.
Non c'è niente da fare, anche quando parla di petrolio, Tramballi tira in ballo Sharon (quella frase "nonostante Sharon"), come se fosse la causa del mancato riconoscimento da parte di quasi tutto il mondo arabo ad Israele.

E' proprio una fobìa quella del nostro Ugo. Mai andato in analisi ?

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