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Il Foglio Rassegna Stampa
01.04.2004 Prospettive del governo di Ariel Sharon
in un'analisi di Claudio Pagliara

Testata: Il Foglio
Data: 01 aprile 2004
Pagina: 4
Autore: Claudio Pagliara
Titolo: «Sharon tira dritto, si gioca tutto e sfida anche il Likud»
Il premier Ariel Sharon fra il terrorismo palestinese, gli attacchi interni e il ritiro da Gaza in un'analisi di Claudio Pagliara sul Foglio di oggi. Accurata come i suoi servizi Rai.
Gerusalemme. Il paragone può sembrare irriverente. Scomodare la controffensiva militare di 31 anni fa contro l’Egitto, per preparare quella politica, contro la destra del Likud. Eppure, uno stretto collaboratore di Ariel Sharon gliel’ha messa proprio così per convincerlo a rompere gli indugi. In entrambi i casi, si tratta di un azzardo. O si stravince, o si perde tutto. Nel ’73, in uno dei momenti più difficili della storia del paese, il comandante Sharon portò a sorpresa la guerra in territorio nemico attraversando il canale di Suez, e tornò a casa da eroe. Oggi la storia si ripete. Sharon è sempre convinto che la miglior difesa sia l’attacco. Il nemico da battere stavolta si annida nel suo stesso partito. Ministri, parlamentari e membri del Comitato centrale lavorano ai fianchi, galvanizzati dalla bufera giudiziaria che si è abbattuta sul premier. Ma lui ancora una volta gioca d’anticipo. Chiede alla base di pronunciarsi sul suo piano di ritiro da Gaza in un referendum senza precedenti. Una mossa che spiazza l’opposizione interna. L’azzardo è di dimostrare che la maggioranza dei 200 mila iscritti al Likud è più moderata dei dirigenti del partito. I sondaggi mostrano che la partita è aperta, anche se Sharon parte con una lunghezza di vantaggio. Il 51 per cento è pronto a votare sì, il 39 no. In
mezzo gli indecisi. Il premier ha esitato prima di ricorrere all’arma del referendum interno. Non lo hanno fatto Menachem Begin prima di Camp David, Benjamin Netanyahu prima di Wye Plantation, Ehud Barak prima di Camp David 2. Sharon si è convinto a lanciare l’offensiva soltanto dopo che il procuratore capo, Edna Arbel, ha raccomandato la sua incriminazione per l’affare cosiddetto "dell’isola greca", una speculazione immobiliare mai andata in porto e per la quale il figlio Gilad ha intascato da un imprenditore decine di migliaia di dollari per prestazioni professionali fittizie. La reazione dello Stato maggiore del Likud è stata tutt’altro che compatta. Molti ministri e dirigenti hanno chiesto le dimissioni o almeno l’auto sospensione del premier in caso di incriminazione. Il giorno stesso, Sharon ha deciso che era scoccata l’ora della controffensiva. E due giorni dopo, alla convenzione del partito, ha lanciato il suo guanto di sfida. Anche perché il premier ha buone ragioni per
pensare che uscirà indenne dalla tempesta giudiziaria. "Se potessi, scommetterei che non verrà incriminato – ci dice il direttore di Ma’ariv, Amnon Dankner – In Israele viviamo una situazione paradossale. Da una parte la popolarità di Sharon è in calo a seguito delle inchieste giudiziarie. Dall’altro
è destinata a crescere appena il piano di ritiro diventerà realtà. La vera domanda è se Sharon riuscirà a formare un nuovo governo con i laburisti al ritorno dal suo viaggio americano. Credo di sì, credo che tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 l’esercito inizierà a ritirarsi da Gaza e da parte della Giudea e della Samaria". Anche tra gli uomini del premier si ostenta sicurezza. Un suo stretto collaboratore ci ricorda che l’ufficio della procura diretto da Edna Arbel ha subito nel recente passato dei colpi, politici del rango di Netanyahu e Barak, messi sotto accusa, sono usciti a testa alta dai rispettivi processi. La Arbel ha fama di fustigatrice della morale pubblica. Ritiene che basti un ragionevole dubbio per trascinare in tribunale un politico. Di avviso opposto, il procuratore generale Meni Muzaz, l’uomo a cui spetta la decisione finale. Muzaz ritiene che non bastino indizi, ma prove schiaccianti per incriminare un premier. Inoltre ha già espresso il suo disappunto per aver appreso dal tg della sera le conclusioni della procura. Una fuga di notizie tesa a condizionarlo. Calcolo che potrebbe rivelarsi sbagliato. Muzaz ha ribadito che spetta a lui la decisione finale. La raccomandazione della procura contrasta con il rapporto della polizia che ha indagato sul caso. Muzaz dunque
si prenderà tutto il tempo necessario, consulterà giuristi e alti magistrati prima di far conoscere il verdetto. Che arriverà quasi certamente a maggio, in concomitanza con il referendum interno sul piano di disimpegno.

Un governo di unità nazionale?
Dall’esito delle due battaglie dipenderà il futuro politico di Sharon e del suo piano. Non è cosa buona che due argomenti così diversi siano destinati a intrecciarsi e a influenzarsi. Ma la grande scommessa di Sharon è vincere su tutti e due i fronti. E l’Amministrazione Bush lavora a questo scenario. L’ambasciata americana a Tel Aviv, dopo aver interpellato esponenti politici di governo e dell’opposizione, ha trasmesso Washington l’opinione che Sharon sopravviverà all’inchiesta giudiziaria e sarà in grado di portare a compimento il suo piano, che verrà annunciato nel vertice Bush-Sharon in programma il 14 aprile; per risolvere le ultime divergenze, oggi arriva a Gerusalemme il terzetto degli inviati americani, Burns, Hadley e Abrams. Sharon spera di farcela. Già defunto invece il suo governo. due partiti religiosi pronti ad andarsene piuttosto che bere l’amaro calice del ritiro da Gaza. Il premier ha detto che se se ne vanno ha già pronta una nuova coalizione. Nelle scorse settimane ha definito in trattative segrete la struttura di un nuovo governo di unità nazionale. Sei o sette ministri al partito laburista. Shimon Peres di nuovo ministro degli Esteri. Con Sharon premier, naturalmente.
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