Succede anche questo nelle Univeristà italiane non ti boicottano se dichiari di essere contro Sharon
Testata: Il Foglio Data: 30 marzo 2004 Pagina: 2 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «Egregio prof, se giura di essere contro Sharon, non sarà boicottato»
A proposito delle vicende legate ad Israele nel mondo accademico pubblichiamo l'articolo di Emanuele Ottolenghi sul Foglio di ieri. Il mondo universitario è nominalmente dedito alla ricerca della verità e della conoscenza. Corollario di questa missione è il principio di libertà, dell’assenza di confini per le idee, e dell’universalità di scienza e conoscenza. Per questo l’idea di un boicottaggio accademico è particolarmente odiosa: anche di fronte a paesi il cui regime non tutela la libertà di espressione, mette paletti ideologici, religiosi o di altro tipo alla libertà , tradizionalmente la categoria accademica sfugge alle sanzioni che si vorrebbero viceversa imporre ai governi. E’ il caso della Cina, è stato il caso della Serbia di Milosevic, è il caso di tanti paesi arabi dove la libertà non è di casa. Non è il caso di Israele, dove esiste un mondo universitario tra i più liberi e creativi dell’Occidente.
Nei lavori scientifici gli studiosi israeliani hanno uno tra i più alti tassi di pubblicazioni pro capite del mondo libero; la scienza israeliana nel ramo della bio e nanotecnologia, nell’elettronica, nella farmaceutica e nei computer è all’avanguardia; nella medicina e nell’agricoltura Israele ha dato e continua a dare importanti contributi alla conoscenza che è non monopolio dei governi ma patrimonio dell’umanità. Ciononostante, nella primavera del 2002, un gruppo di accademici in Inghilterra lanciò un appello a boicottare il mondo israeliano universitario. La petizione invitava le università a "impegnarsi a non sostenere o partecipare in qualunque convegno, cooperazione di ricerca, domanda o allocazione di borse e fondi, o altre attività di sostegno come scambi accademici e visite,che abbiano luogo o che coinvolgano università israeliane e altre istituzioni statali". La petizione ha ricevuto scarse adesioni, con meno di mille firmatari in tutto il mondo, e con quasi 20 mila firme raccolte in poche settimane da una contro-petizione. La condanna e l’opposizione di molte istituzioni anche critiche delle politiche israeliane hanno impedito che il boicottaggio fosse legittimato, ma nelle stanze dei bottoni di molte università ha fatto il suo danno, con studiosi che rifiutano di andare in Israele, con studenti israeliani rifiutati da dipartimenti a causa della loro nazionalità e col licenziamento di due israeliani (uno dei quali attivista di Peace Now) dal comitato editoriale di una rivista linguistica. A distanza di due anni, forse perché in primavera si risvegliano gli ormoni, il boicottaggio riprende vita. In una lettera aperta la presidente dell’Università ebraica di Gerusalemme, 331 firmatari – di cui otto docenti di università italiane: Enrico Alleva (Istituto di Neurobiologia, Roma), Paolo Amati, Daniel Amit, Roberto Caminiti, Francesco Cioffi, Francesco Sciortino (La Sapienza, Roma), Stefano Colonna (Università di Milano) e Daniele Frongia (Istituto Nazionale di Statistica, Roma) – chiedono agli accademici israeliani e alle loro istituzioni di dichiarare con chi stanno, con il governo o no. Accusati di reprimere la libertà accademica, i 331 docenti hanno pensato bene di non colpire tutte le università e gli accademici indiscriminatamente, ma "solo" quelli che non la pensano come loro. La lettera aperta, denunciando i danni alla libertà accademica sofferti dalle università palestinesi, chiede ai colleghi israeliani di prendere posizione sulle politiche del loro governo. Inutile dire che nessuno di loro si sogna di dire ad accademici arabi di prendere posizione sul terrorismo suicida, ad accademici italiani sul conflitto d’interessi, ad accademici europei sulle politiche agricole e sul loro effetto sulle economie del Terzo mondo, ad accademici turchi sul problema curdo, ad accademici cinesi sul Tibet. Solo agli israeliani va il dubbio privilegio di dover prestare un giuramento di lealtà al pensiero unico per poter evitare l’altrimenti "meritato" boicottaggio". Non è la prima volta che un giuramento è richiesto come condizione per esercitare la libera professione dell’insegnamento: in Italia e in Germania avveniva negli anni 30. I 331 firmatari sono dunque in ottima compagnia e seguono il solco di una "luminosa" tradizione di tolleranza. Ma almeno allora chi esigeva il giuramento non lo faceva in nome di principi di giustizia e umanità. Allora il totalitarismo nazi-fascista non mentiva sui suoi propositi, Oggi, invece, i liberticidi hanno l’ipocrisia di presentarsi come difensori della libertà. Attendiamo con ansia il momento in cui quella stessa forma mentis inviterà non solo a boicottare chi pensa con la propria testa, ma anche a bruciarne i libri. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.