D'Alema come Occhetto cambia il pelo ma non il vizio
Testata: La Repubblica Data: 29 marzo 2004 Pagina: 1 Autore: Massimo Giannini Titolo: «Gli Usa da soli hanno fallito, schieriamo le Nazioni Unite»
Repubblica nelle edizioni di ieri e oggi (28 e 29 marzo) dedica ampio spazio alle opinioni del presidente dei ds Massimo D'Alema su quelle che dovrebbero poi essere le linee guida della politica estera della Lista Unitaria. D'Alema è ben noto per le sue posizioni filopalestinesi ed in questa lunga intervista lo dimostra in modo da renderle se possibile ancor meno credibili. Esordisce parlando della guerra in Iraq condannando l'unilateralismo americano che a suo dire non ha fatto che peggiorare la situazione. Il terrorismo secondo D'Alema si alimenta soprattutto dall'irrisolta questione israelo-palestinese, che crea un sentimento di sofferenza all'interno del mondo arabo(?). Non sono invece i medievalio regimi che opprimono le popolazioni arabe, lasciandole incatenate e incapaci di sviluppare le proprie potenzialità? Questo D'Alema si guarda bene dal dirlo, come potrebbe criticare il suo amico Arafat? L' "analisi" che ne segue è di totale condanna verso Sharon. Hamas, dice D'Alema, si combatte con la politica. Saremmo curiosi di vederlo alle prese con un uomo bomba che ha deciso di farsi saltare in aria, si intratterrebbe con lui a parlare di massimi sistemi? Non crediamo proprio. Qual' è dunque la ricetta di D'Alema contro Hamas? condannare a parole gli attentati. Facile e demagogico. In seguito il presidente dei Ds non esita ad accusare Israele di essere uno Stato aggressore che tende a confinare i palestinesi in una riserva indiana umiliandoli. Dove sta la differenza tra queste dichiarazioni e le invettive gridate dai pacifinti nelle recenti manifestazioni? Madrid e Gerusalemme sono la stessa cosa: stragi contro civili innocenti. Che Israele stia facendo tutto il possibile, anche ricorrendo agli omicidi mirati, per impedire che decine di Madrid si ripetano sul suo territorio non è dunque lecito ? I terroristi che si fanno esplodere a Tel Aviv vogliono la distruzione di Israele, non il ritiro dai Territori. Non contento, D'Alema attacca la Rai, colpevole, a suo dire, di essere faziosa. Probabilmente, ritenendo informazione corretta la faziosità filopalestinese, quando la Rai finalmente acquista un po' di equilibrio questo viene visto come faziosità filoisraeliana. Nostalgie della tv di Stato sovietica? A D'Alema mancano i Santoro, i Paolo Longo, i Riccardo Cristiano ? Certamente sì, visto come giudica il lavoro di Caudio Pagliara.
Il quotidiano dell'ing. de Benedetti oggi dà voce alle reazioni all'intervista a D'Alema. All'interno del centrosinistra il consenso a quanto detto, seppur con qualche distinguo, è unanime. Repubblica però dimostra la sua faziosità pubblicando accanto all'intervista all'Ambasciatore d'Israele Ehud Gol quella a Nemer Hammad, il quale oltre ad essere un fedelissimo di Arafat, ha recentemente dichiarato che la vicenda del ragazzo bomba della scorsa settimana altro non è che una montatura israeliana. Abituato a dar credito alle nefandezze di Nemer Hammad, D'Alema vede come faziosa la Rai. Crediamo che di questo si dovrà tener conto alle prossime elezioni. (a cura della Redazione)
Pubblichiamo l'intervista apparsa ieri domenica 28.03-04: ROMA - «Altro che fuga, altro che disimpegno e irresponsabilità. Come i fatti dimostrano, un´altra politica estera è possibile, e il centrosinistra ne è l´espressione più compiuta e concreta». Dopo i tragici attentati di Madrid, la lista unitaria lancia la sua controffensiva sul fronte della sicurezza, del terrorismo e delle strategie internazionali utili a contrastarlo. E dopo Romano Prodi, che chiarisce la posizione dell´Ulivo sul tema della guerra in Iraq, tocca a Massimo D´Alema integrare il «manifesto» del centrosinistra con un progetto ancora più ambizioso. «Il dramma del dopoguerra iracheno - chiarisce il presidente dei Ds, non si risolverà senza un intervento della comunità internazionale in Medio Oriente». Per questo, dopo averne discusso a lungo proprio con Prodi, D´Alema avanza una doppia proposta: «Facciamo aderire all´Unione europea, con la formula della "associazione speciale", Israele, lo Stato palestinese e la Giordania, per offrire a questi paesi una prospettiva seria di crescita economica. E poi proponiamo loro, e anche all´Egitto e al nuovo Iraq, un´adesione alla Nato, con la formula della "partnership for peace", per offrire un quadro di regole militari che garantiscano sicurezza in tutta l´area. Solo in questo modo sarà possibile uscire dal tragico tunnel nel quale ci ha cacciati la strategia dell´unilateralismo americano». Presidente D´Alema, l´America, con il suo unilateralismo, colma i vuoti che l´Europa non riesce a coprire. Non è così? «No, non è così. Per questo condivido in tutto l´analisi di Prodi. Che rilancia un tema essenziale, quello del governo multilaterale delle crisi, la capacità della comunità internazionale di rispondere alle sfide, non solo a quelle del terrorismo e della sicurezza, ma anche quelle dei diritti umani e dei diritti dei popoli, attraverso la rete delle istituzioni internazionali, e attraverso il prevalere del diritto internazionale. Il valore delle dichiarazioni di Prodi, che riflette la posizione del centrosinistra italiano e di tutte le forze progressiste europee, sta proprio in questo. Dobbiamo partire da un dato oggettivo: il fallimento della politica dell´unilateralismo americano. Una strategia che ha lacerato il tessuto delle istituzioni internazionali e ha gravemente indebolito il sistema delle alleanze internazionali, sostituito dal sistema che loro chiamano dei "willing", dei volenterosi, e che invece è il sistema di "quelli che si accodano" in cambio degli appalti. Quella concezione dell´amministrazione Usa ha clamorosamente fallito: la guerra in Iraq doveva portare la fine del terrorismo, l´esportazione della democrazia e la pacificazione del Medio Oriente. È successo l´esatto contrario». Troppo spesso, nell´accezione diffusa del centrosinistra, l´invocazione del multilateralismo rischia di coincidere con la strategia del "tutti a casa". «La posizione della Lista unitaria è esattamente contraria. Non "tutti a casa", semmai "tutti in campo", ma insieme alle Nazioni Unite. Noi non vogliamo e non dobbiamo lasciare soli gli americani, perché questo aggraverebbe solo i problemi. La posizione di Prodi e quella della Lista unitaria, così come quella di Zapatero, va valutata nella sua integrità. Ritirarsi dall´Iraq sarebbe un gesto di protesta estremo, da prendere in considerazione nel caso in cui gli americani rifiutassero un intervento vero dell´Onu. Ma l´obiettivo della nostra strategia non è il ritiro: nasce invece dalla volontà di creare le condizioni per un pieno ripristino della legittimità internazionale nel dopoguerra iracheno. Una cosa è decidere una guerra, e sostenerla inviando i propri soldati. L´Italia lo ha fatto, e ha commesso un grave errore. Ma un´altra cosa è ritirarsi oggi, di fronte all´offensiva dei terroristi e alla minaccia di una guerra civile in Iraq». Ma lei è sicuro che il continuo riferimento all´Onu, strumento non sempre efficace negli ultimi anni, risolva davvero tutti i problemi? «Realisticamente, non credo che se si va tutti in Iraq si risolve ogni problema. Ma intanto viene meno il vulnus della guerra unilaterale. Adesso sento questi famosi "terzisti" di casa nostra che continuano a criticare la sinistra, che non sarebbe capace di assumersi le sue responsabilità. Faccio osservare che noi con l´Internazionale socialista, in Iraq ci siamo andati a luglio, molto prima che partissero i nostri soldati. A Baghdad noi ci siamo stati, mentre Berlusconi non ha ancora trovato il tempo di farlo, preso da impegni più ?stressanti´. Incontrammo noi per primi il governo provvisorio e insieme definimmo un quadro di proposte: calendario certo sul passaggio dei poteri alle autorità irachene, transizione gestita dall´Onu. Le nostre responsabilità ce le siamo prese subito, all´indomani della guerra. Il fatto è che nessuno ci ha ascoltato, a partire dal governo italiano. C´era questa fantastica illusione che, sotto la guida di Bush, le potenze vincitrici sarebbero state accolte in trionfo, con tanto di bandierine e di contratti petroliferi. E´ accaduto il contrario. E adesso c´è pure chi viene a chiedere più senso di responsabilità alla sinistra!» La sensazione è che, anche con un intervento multilaterale, l´Occidente non sia in grado di fronteggiare la minaccia nuova del terrorismo globale. «È vero, ma anche questo impone un cambio di strategia. Il terrorismo non si sconfigge solo con la forza, né tantomeno con la guerra, perché non è un esercito, non è uno stato, ma ha radici culturali e religiose diffuse, è un sentimento di odio verso l´Occidente. Noi, purtroppo, lo stiamo alimentando. Diciamolo con franchezza: era difficile, per Bin Laden, immaginare uno scenario "operativo" migliore dell´Iraq occupato. Per questo serve un cambio di strategia. Il terrorismo non è solo nemico dell´Occidente, ma è nemico dell´umanità, e dunque anche del mondo arabo. Per farlo capire alle opinioni pubbliche non serve la guerra preventiva. Serve la politica. Ma soprattutto, a mio parere occorre risolvere il vero punto nodale, che resta il conflitto arabo-israeliano. Anche su questo fronte, il Grande Programma per il Medio Oriente preparato dagli Usa si è rivelato un fallimento. Gli americani non hanno capito che, oggi più che mai, la svolta globale dell´area passa per Gerusalemme. Lì c´è il principale alimento dell´integralismo islamico. Anche per ragioni strumentali. Sono convinto che i terroristi di Al Qaeda non siano affatto appassionati dalla causa palestinese. Ma è un fatto che la "usano" per portare avanti la loro folle strategia del terrore. Ed è un fatto che l´integralismo, alla lunga, ha cominciato a diffondersi nel mondo palestinese». E non da ora, per la verità. Hamas non la scopriamo adesso, con l´uccisione di Yassin. «Vero. C´è Hamas, ci sono le brigate Al Aqsa, c´è la Jiahd. Ma come le affrontiamo? Hamas è una realtà complessa e articolata, che compi sanguinose azioni terroristiche. Ma è anche una struttura che fa assistenza sociale, raggruppa centinaia di migliaia di persone. La strategia di Sharon qual è? Le uccidiamo tutte con i missili? Non mi pare un buon programma». E allora? «Non possiamo e non dobbiamo accettare l´idea che a Gerusalemme si combatte il terrorismo come a Madrid. A Gerusalemme ci sono tragici atti di terrorismo, inaccettabili, e che vanno condannati e contrastati con durezza. Ma c´è anche uno Stato aggressore Israele, che tende a confinare i palestinesi in una riserva indiana. A reprimerli, a umiliarli. E questo noi non sempre lo vediamo, anche a causa di un comportamento della Rai in alcuni momenti apertamente fazioso». Presidente D´Alema, dove vuole arrivare? Qual è la sua idea? «La proposta, è chiara. Ne ho discusso a lungo, anche con Prodi, in questi giorni. Si articola in tre punti. Punto primo: la comunità internazionale deve far riprendere i negoziati, sulla base di una bozza concreta di accordo di pace, che riguarda le questioni aperte dei confini, dello status di Gerusalemme e dei profughi. Ritengo che quella di Ginevra sia una buona base di partenza. Il punto secondo è l´Europa: a Israele, allo Stato palestinese e alla Giordania noi possiamo offrire l´ingresso nella Ue, con la formula della "associazione speciale" già sperimentata per alcuni Paesi nordici, che comporti anche l´integrazione economica tra queste realtà e la loro graduale partecipazione al mercato comune europeo, alle sue regole e ai suoi benefici. Il punto terzo è la Nato: ai Paesi dell´area, includendo anche l´Egitto e il nuovo Iraq nel momento in cui sarà costituito come stato vero e proprio, noi possiamo offrire un legame all´Alleanza Atlantica, con la formula della "partnership for peace" già sperimentata con i Paesi dell´ex Urss. Dunque, ricapitolando: integrazione economica e garanzie di sicurezza, con la doppia garanzia della Ue e della Nato. Sono proposte che andranno discusse e ragionate. Ma per noi sono una solida base di partenza, per spezzare la spirale dell´odio e offrire una prospettiva di pace al Medio Oriente». Ne dovrete parlare, con i partner europei e con il governo italiano... «Faremo tutti i passi necessari. Per noi l´alternativa non è davvero tra andare sempre dietro a Bush per ottenere una pacca sulle spalle e intanto farci emarginare dal resto d´Europa, oppure restarcene a casa. Come si vede, noi abbiamo un nostro progetto di politica estera, attiva e concreta. E´ il governo italiano che non ce l´ha. E i risultati si vedono». Si riferisce al Direttorio anglo-franco-tedesco, che continua a tagliar fuori l´Italia? «Capisco Blair, Chirac e Schroeder. Se hanno cose serie di cui parlare, perché dovrebbero chiamare uno come Berlusconi? E lo dico con tutta l´amarezza di chi vede il proprio paese confinato in un ruolo margnale che non merita». Nella stessa pagina di Repubblica del Lunedì, a pag.4, le due interviste. La prima a Ehud Gol, ambasciatore d'Israele a Roma: Ehud Gol, ambasciatore di Israele in Italia "Ma prima occorre fermare il terrorismo"
A D´Alema voglio obiettare che sbaglia nel dire che a Gerusalemme c´è un governo aggressore
ROMA - Ehud Gol, ambasciatore di Israele in Italia, risponde con freddezza alla proposta di Massimo D´Alema di associare Israele e Palestina alla Ue: «Israele ha già un accordo di associazione con l´Unione europea, dal 1975, un accordo che è stato riconfermato nel 1995 e potrebbe anche essere ampliato: per il momento è un accordo soddisfacente per il nostro paese. L´entrata nell´Unione europea è solo un´ipotesi, non so quanto attuale, ma se ci sarà una formalizzazione, il governo israeliano naturalmente risponderà a questa offerta politica». Non crede che, a parte l´interesse unilaterale, un avvicinamento di Israele e Palestina alla Ue possa aiutarvi a ritrovare un percorso di pace? «Guardi, prima di parlare di politica e di negoziati vorrei dire una cosa. Ho letto l´intervista di D´Alema e voglio obiettare al passaggio in cui il presidente dei Ds sostiene che non si possa combattere a Gerusalemme il terrorismo come si combatte a Madrid, perchè in Israele c´è un governo "aggressore". Con le sue parole il presidente dei Ds sta ignorando i fatti storici: il terrorismo arabo contro gli ebrei è iniziato 100 anni fa. L´Olp è nato 3 anni prima della guerra dei 6 Giorni. Questo terrorismo non è una risposta all´occupazione, né agli insediamenti. È un terrorismo che ha come obiettivo unico la distruzione dello stato di Israele». D´Alema dice che il terrorismo va combattuto, ma che bisogna anche tornare alla politica, alla trattativa. «La linea morbida, la trattativa con tutti i terrorismi, con quello di Madrid come con quello di Gerusalemme, portano soltanto a maggiore violenza, e purtroppo la storia ci insegna che l´appeasement con i regimi dittatoriali o con il terrorismo rafforza gli stessi terroristi e molto spesso si rivolge contro chi crede che la tolleranza, la comprensione del terrorismo siano le scelte giuste». Quali sono le mosse politiche per far ripartire il negoziato? «Sul tavolo rimane ancora viva, anche se è in grandissima difficoltà, la Road Map: è l´unico piano di pace ancora sostenuto non solo da Israele e dai palestinesi, ma anche dal Quartetto, da Usa, Russia, Ue e Onu, ovvero dalla comunità internazionale. Questo piano di pace prevede varie tappe per far ripartire il dialogo. La prima tappa, essenziale, decisiva, è una sola: fermare il terrorismo. È una condizione fatta all´Autorità palestinese: nel momento in cui l´Anp adempirà agli obblighi che ha assunto, la Road Map prevede i passi politici successivi. Se l´Anp non vuole o non può controllare i terroristi questo significa che continua ad non essere un partner credibile per qualsiasi negoziato politico. È la posizione del governo di Israele, del governo di un popolo che ogni giorno, continuamente, vive sotto il ricatto del terrorismo». (v.n.)
La seconda a Nemmer Hammad, rappresenatnte di Arafat a Roma (ricordiamo che la rappresentanza dell'ex OLP, ora ANP, è pagata e stipendiata dal governo italiano). Una decisone che non è mai stata revocata, inconcepibile viste le ricchezze del multimiliardario signor Arafat, che siamo noi cittadini italiani a dovergli pagare le spese a Roma. Naturalmente Hammad è più che d'accordo con D'Alema. Nemer Hammad, ambasciatore dell´Anp in Italia "Il legame con la Ue può essere una svolta"
Vedo un processo graduale, temo le minoranze contrarie all´operazione in Israele e Palestina
ROMA - «La proposta di Massimo D´Alema è una risposta politica alla necessità di trovare subito una via d´uscita in Medio oriente, dopo il blocco della road map. Ben benga un nuovo ruolo dell´Europa». All´ambasciatore dei palestinesi in Italia, Nemer Hammad, l´idea di D´Alema, piace. «Sarei pronto a sottoscriverla subito». Ma il cammino, riconosce, non è facile. «La proposta di associare palestinesi e israeliani nella Ue non è nuova, Ricordo che fu lanciata nel ?78 da un gruppo di parlamentari, italiani compresi. Ma poi scoppiò la prima guerra del Golfo. E tutti finì nel cassetto». Oggi ci sono le condizioni per rilanciarla? «La situazione è pesantissima. Violenza e morti da una parte e dall´altra. E con la diplomazia ferma. Israele chiede la sicurezza come priorità. La Palestina sovranità e indipendenza. Io credo che uno spazio europeo, dove finalmente tornare a discutere sulla base delle risoluzioni delle Nazioni Unite, potrebbe segnare una svolta. Aprendolo poi anche alla Giordania, come propone D´Alema, potrebbe mettere in moto un processo in tutti i paesi del Mediterraneo». Con che tipo di rapporto con la Ue? «Difficile immaginare un ingresso immediato a pieno titolo. Vedo un processo graduale. Non escludendo che, da una parte e dall´altra, in Palestina come in Israele, si debba fare i conti con minoranze contrarie all´operazione». Se dipendesse da lei? «Direi subito di sì. Il triangolo, il modello Usa-Israele-Palestina, non ha funzionato. Da Oslo in poi è stata una catena di fallimenti». Alla road map, ora ferma, però aveva lavorato proprio l´Europa, oltre alla Russia e alle Nazioni unite. «A mandarla, purtroppo, in archivio è stata questa seconda guerra contro l´Iraq. Blair per esempio ha sostenuto che la cacciata di Saddam avrebbe aiutato a risolvere la questione palestinese, partecipando così all´invasione di Bagdad. E´ successo esattamente il contrario. Credo che lo stesso Blair ne stia predendo atto. Se è vero che il premier inglese è contrario all´idea di Sharon di un ritiro unilaterale da Gaza, e in questo senso sta premendo su Bush che riceverà presto il premier israeliano». Una specie di autocritica? «L´Europa deve dire una cosa agli Stati Uniti: abbiamo creduto che la guerra contro Saddam potesse aiutare i palestinesi. Non è stato così. A questo punto, prendiamo noi l´iniziativa, rimettiamo in pista la road map, convochiamo le due parti per una conferenza. L´Europa deve fare qualcosa, non può più aspettare gli Usa. Lo dice D´Alema. Lo hanno anche detto il presidente Prodi e il presidente Ciampi». (u.r.)
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