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La Stampa Rassegna Stampa
29.03.2004 Iraq: Israele a rapporto
i retroscena sui dati forniti dal Mossad sulle armi di distruzione di massa

Testata: La Stampa
Data: 29 marzo 2004
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Anche Israele fa i conti con l’Iraq»
Riportiamo l'analisi di Fiamma Nirenstein pubblicata sulla Stampa di oggi, 29 marzo '04.
ISRAELE, come gli Stati Uniti, fa i conti con le sue informazioni sull’Iraq alla vigilia della guerra, e non gli tornano: i mitici servizi segreti di Israele compreso il Mossad, dice suscitando grande scandalo un rapporto uscito ieri dalle stanze della Knesset, non avevano visto giusto, hanno presentato «valutazioni invece che informazioni», e hanno probabilmente sbagliato, a quel che si sa oggi, sia sul numero dei missili, sia forse sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Non basta: i servizi segreti hanno anche massiciamente errato sullo stato avanzato delle armi di distruzione di massa libiche. Il rapporto costruito con un lavoro capillare di otto mesi dal subcomitato della Commissione Difesa che si occupa dei servizi segreti (tre: il Mossad, per l’estero, lo Shabbach o Shin Beth per l’interno e Aman per l’esercito) nasce da 70 interrogatori degli uomini coinvolti nell’intelligence di quegli anni. Li ha condotti sia il deputato del Likud professor Yuval Steinitz, presidente della Commissione difesa, che il deputato Haim Ramon, uno dei leader dell’opposizione, e da alcuni tecnici, come gli ex capi del Mossad, Ari Shavit e Ami Ayalon. Il rapporto consta di due libri, di cui solo uno, che indica le conclusioni, è pubblico: l’altro, zeppo di segreti su come concretamente Israele cercava di ottenere informazioni in Iraq e non ci riusciva, è nelle mani del primo ministro e del presidente.
Il Mossad e anche gli altri servizi escono bastonati e certamente sulla via di un devastante dibattito pubblico che potrebbe ristrutturarli, come chiede Steinitz: Israele ha fresca nelle memoria il clima di estrema tensione che accompagnò un anno fa lo scoppio della guerra, le maschere distribuite a tutta la popolazione - che costarono miliardi alle tasche del contribuente - e l’ordine di aprirle in attesa di una pioggia di missili che non ci fu, e persino l’inoculazione antivaiolo di diciassettemila uomini nelle prime linee dell’eventuale emergenza. Steinizt e anche i due capi del Mossad spiegano: le informazioni degli ispettori dell’Onu nel ‘98 testimoniarono l’esistenza delle armi e dei missili, i curdi e gli iraniani sterminati da Saddam con armi non convenzionali lasciavano prevedere il peggio, nel ‘91 Israele aveva ricevuto una pioggia di missili su Tel Aviv, Saddam finanziava il terrorismo palestinese e non faceva segreto della sua intenzione di distruggere Israele: quindi, anche se la situzione era nebulosa, pure le misure di sicurezza restano del tutto ragionevoli rispetto alle possibilità di attacco. Su questo, non è per niente d’accordo Haim Ramon, che sostiene che poiché da anni non c’erano informazioni precise sui missili, Israele, se non fosse stata erroneamente allarmista, avrebbe certamente raggiunto la conclusione che i missili non c’erano, o non erano utilizzabili: i satelliti non ne coglievano l’esistenza né in movimento, né in manutenzione.
Ma la domanda non è tanto sull’effettivo pericolo: resta puntata sul Mossad, sui servizi, per Israele una questione vitale: perch*é non sapevano? Anche perché, risponde Steinitz, si era creata fra Israele, Usa e Gran Bretagna una sorta di circolo vizioso di informazioni, per cui Israele di fatto si è ritrovata spesso di ritorno le informazioni da lei fornite. Ma chi influenzava di più l’altro? Israele, come ha accusato il capo degli ispettori dell’Onu, ha passato agli Usa informazioni atte a spingerla alla guerra? Gli Usa volevano conferme della loro posizione? La risposta è un doppio: «no». Né uno ha avuto più influenza dell’altro. Chiediamoci invece, e con urgenza, insiste Steinitz, perché Israele si sia trovata così povera di dati fattuali su una storia così importante, anzi, due: Iraq e Libia. La risposta è nella distanza e nella chiusura di questi Paesi, sulla mancanza di porosità sociale, sull’impossibilità di sorvolarli (che invece insiste Steinitz, gli Usa avevano, e anche l’Inghilterra). Ma è anche, è qui viene la parte più dura, nell’arretratezza dell’organizzazione dei servizi e nella confusione che regna sui loro compiti: lo Shabach è l’unico che si è veramente aggiornato data la enorme crescita di terrorismo. Ma il Mossad e i servizi dell’esercito hanno sofferto di confusione fra compiti, mentre ci sarebbe grande bisogno che il Mossad, di fronte alla corsa alle armi non convenzionali, si attrezzi sulle questioni nuove, e Aman verifichi le politiche dei poco amichevoli Paesi arabi circostanti. Ma Steinitz non vuole dimissioni, piuttosto, cambiamenti che sveltiscano, come sottrarre all’esercito l’«unità 8200» che mette insieme tutte e tre le intelligence, e farne un’agenzia nazionale indipendente. Israele non si può permettere di annusare e di indovinare, deve sapere: e c’è di che preoccuparsi in particolare nei giorni in cui il summit di Algeri della Lega Araba è stato rimandato (ieri) perché molti Paesi non erano d’accordo nel discutere del piano americano di aiuti e democrazia, con la spiegazione che è invece tempo, piuttosto, per un summit di rilancio dell’Intifada.
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