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L'Espresso Rassegna Stampa
29.03.2004 Critico nei confronti di Sharon ma sostiene la lotta contro Hamas
Intervista a Shimon Peres

Testata: L'Espresso
Data: 29 marzo 2004
Pagina: 38
Autore: Paola Caridi
Titolo: «Quanti errori Sharon»
Su L’Espresso in edicola questa settimana (numero del 26 marzo '04) compare una intervista al leader Shimon Peres. L’intervista, ad ampio raggio, permette di evidenziare come anche un personaggio moderato come Peres, per quanto critico nei confronti del governo, sostenga con chiarezza la necessità di una lotta determinata nei confronti del terrorismo.

Riportiamo integralmente l’intervista di sicuro interesse.

Poteva anche lui dar ordine di assassinare Yassin, ma non l'ha mai dato. Perché, ha detto a caldo subito dopo l'omicidio mirato dello sceicco di Hamas, "assassinare un leader terrorista non uccide il terrorismo". Ancora una volta, come spesso è successo in questi ultimi mesi, l'icona del laburismo israeliano si schiera contro Ariel Sharon. Un uomo della sua stessa generazione, un uomo con cui ha condiviso anche responsabilità di governo quando, a cavallo tra 2001 e 2002, è stato ministro degli Esteri nel governo di unità nazionale. Dal generale Arik, però, Shimon Peres prende sempre più spesso le distanze. Nobel per la pace, architetto del defunto accordo di Oslo con i palestinesi, due volte premier e indiscusso capo del partito laburista dopo la morte di Rabin, l'ottantenne Peres non è però tenero né con il defunto sceicco Ahmed Yassin né con Hamas. Con cui, dice, non si tratta.

Lei pensa che la politica del premier Sharon stia conducendo Israele verso la pace? Pensa, insomma, che un approccio solo di tipo militare possa portare il paese verso la pace?

"Io non condivido le idee di Ariel Sharon. Ho le mie, di idee. Penso che, mentre si combatte il terrorismo e i terroristi con la necessaria determinazione, dobbiamo allo stesso tempo negoziare con la necessaria serietà. Non ritengo che si possa fermare il terrorismo solo con la forza. Per avere partita vinta del terrorismo bisogna anche fornire un'alternativa politica. Una delle vie per combatterlo è quella di aggiungere una motivazione politica per farlo finire, e non solo essere legati a una militare".

Qual è l'alternativa politica che lei intravede?

"Beh, abbiamo la Road map in tre fasi. Dobbiamo cominciare a negoziare e ad applicare la prima parte che prevede, peraltro, di rimuovere tutti gli insediamenti illegali (cosa che Sharon ha promesso di realizzare) e di non costruirne di nuovi. Assieme a molti altri punti che devono essere realizzati dagli israeliani, e parallelamente a quello che i palestinesi devono fare. Nella fattispecie, fermare il terrorismo".

Ma per tornare sulla Road map, i palestinesi devono solo fermare il terrorismo o devono anche rispettare altri obblighi?

"Nella prima fase, questo è il loro compito principale. O almeno, facciano vedere che stanno cercando di fermare il terrorismo. Mostrino una volontà, una capacità di fermarlo. Dobbiamo, in sostanza, muoverci su due linee, in maniera parallela. Insieme cercare di mettere la parola fine sulla violenza, e contemporaneamente cercare insieme il modo di iniziare i negoziati".

Il governo Sharon, però, sostiene che dall'altra parte non ci sia, in questo momento, qualcuno con cui sedersi al tavolo e trattare.

"Non sono così sicuro che non ci sia nessuno, dall'altra parte. C'è il primo ministro Abu Ala, che è persona molto seria. E io penso che con lui noi possiamo negoziare. Lo abbiamo conosciuto a Oslo, è un negoziatore molto serio".

E di Yasser Arafat, oggi, cosa pensa?

"Lasci ai palestinesi di occuparsi di Arafat. Arafat non deve diventare un problema israeliano. Deve rimanere un problema palestinese".

Lei sarebbe pronto a negoziare con altri settori della politica palestinese?

"No. Sono loro a non essere pronti a trattare con Israele. Vogliono distruggerla. Hamas e Jihad islamica non vogliono negoziare con Israele, vogliono solo sopraffarla. Perché, allora, dovremmo trattare noi con loro? Quando abbiamo cominciato a parlare con l'Olp, l'Organizzazione per la liberazione della Palestina, era perché loro erano pronti a trattare su una pace che fosse basata sulla divisione del territorio e sulla creazione di uno Stato palestinese. Su questo ci siamo trovati d'accordo. Ed è per questo motivo che abbiamo cominciato a trattare con loro, seriamente e in maniera completa, su questi due impegni".

Lei pensa che, a questo punto, sia ancora possibile per i protagonisti di questo conflitto, sia da parte israeliana sia da parte palestinese, gestire da soli la situazione? O non è, invece, giunto il momento di un intervento internazionale in Medio Oriente?

"Non le so dire se siamo capaci da soli di gestire la situazione, ma sono sicuro che non ci debba essere un intervento internazionale. Non vedo gli Stati Uniti o l'Unione europea che si mettono al nostro posto e al nostro posto scelgono. Siamo noi a dover fare una scelta. Noi a dover prendere una decisione. Non li vedo pronti a mandare eserciti, forze militari, caschi blu. E neanche noi siamo interessati ad avere qui i loro soldati. Per noi, la simpatia delle madri americane è molto più importante della presenza dei soldati americani. Detto questo, ci possono certo aiutare, ma non attraverso le pressioni. Piuttosto, dando incentivi invece che imposizioni. Per esempio, l'Unione europea potrebbe dire a israeliani, palestinesi, giordani: 'Signori, se voi siete capaci di raggiungere la pace, potreste diventare membri dell'Unione europea'. Così come stanno facendo con Cipro. Le parti in conflitto dovrebbero essere invitate nella Partnership for Peace, affiliandosi così alla Nato per combattere il terrorismo. Veda, in un modo che può apparire singolare, per molti paesi arabi il problema non è Israele, il problema è il terrorismo. Non è Israele che sta mettendo in pericolo i loro regimi. Sono i terroristi che lo stanno facendo".

Cosa pensa del modo in cui Sharon sta gestendo il piano di disimpegno? Parla dell'uscita da Gaza e fa salire repentinamente la tensione eliminando lo sceicco Yassin.

"Posso certo criticare Sharon, ma ho un problema a farlo. Non siamo stati noi a introdurre sulla scena le uccisioni. Noi siamo coloro che sono uccisi, ed è normale che un paese voglia difendere la propria esistenza. C'è stato pochi giorni fa l'attentato suicida nel porto di Ashdod, c'è stato pochissimi giorni fa l'assassinio di uno studente, un giovane arabo totalmente innocente ucciso mentre faceva jogging a Gerusalemme. Non ometto la lotta al terrorismo. Vi aggiungo, invece, la politica".

Israele deve andare via da Gaza, secondo lei?

"Dobbiamo andare via da Gaza in maniera completa, del tutto, e nel più breve tempo possibile. E dare Gaza all'Autorità Nazionale palestinese".

I coloni stanno influenzando le decisioni del governo Sharon?

"Penso che siano molto rumorosi. Ma, sa, in politica non si giudica un gruppo di persone dal volume della loro voce, ma dal numero dei loro elettori. Sono una minoranza, insomma, e devono accettare il governo della maggioranza".

C'è spazio per un governo di unità con Sharon?

"No, almeno finché non ci sarà una politica comune. Lo scopo non è quello di creare un governo, ne abbiamo avuti tanti. Il giorno in cui avremo una politica comune, ci sarà allora un appoggio largo".

Di cosa ha più paura: di un aumento del terrorismo, dell'anarchia nella politica palestinese o dell'isolamento internazionale di Israele?

"Direi di nessuna delle tre. Non sono alternative. Penso che l'anarchia sarebbe una tragedia per i palestinesi e anche per noi. Penso che l'aumento del terrorismo sarebbe una tragedia per tutti noi. E l'isolamento di Israele sarebbe un errore".

Per la democrazia in Israele?

"Sì. Perché anche Israele sta vivendo un momento molto difficile. E non è stata una sua scelta. Vede, oggi Israele ha 56 anni. Nei suoi primi vent'anni di vita abbiamo avuto cinque guerre. E vissuto momenti molto pericolosi. Nella seconda parte abbiamo avuto tre intifada. E non è stato semplice affrontarle. Quello che Israele ha fatto non lo ha fatto per piacere o sadismo, ma per difesa. E ogni guerra, ogni momento violento crea situazioni e occasioni che nessuno di noi vorrebbe avere".

Cosa significa per lei un confine?

"Ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di confini decisi insieme, piuttosto che muri o barriere. Non c'è niente che possa difendere un paese meglio della comprensione, della buona volontà e della pace".

E del muro cosa ne pensa?

"Se seguisse la linea di sicurezza, sarebbe buona. Nel momento in cui, però, è diventata prevalente l'ambizione politica, è diventato un errore. E ora il governo sta cercando di correggere l'errore".

Lei pensa che questo muro sia il confine giusto tra persone che si comprendono?

"La gente deve mettersi d'accordo. Guardi, le coppie sono la cosa più complicata della vita, sia a livello personale, sia sul piano internazionale. Non è questione di comprensione, piuttosto si tratta di un compromesso continuo tra le due parti. Invece di voler vincere sempre a tutti i costi, bisogna aver voglia di vincere la comprensione e il compromesso. Questo è il significato della pace".

Amos Oz parla di divorzio consensuale.

"È più complicata, la situazione. Perché dobbiamo divorziare, ma allo stesso tempo anche sposarci. Divorziare dal passato e sposare un nuovo futuro, in cui la gente possa vivere. Normalmente".
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