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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
26.03.2004 Luoghi comuni e propaganda a raffica
ma anche indicatori economici

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 26 marzo 2004
Pagina: 7
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Un mondo dove il denaro non fa politica»
A pag.7 è pubblicato un articolo principalmente di cronaca, firmato dalla Redazioni Esteri, dal titolo: "Hamas: Israele non avrà mai la pace"
che descrive le reazioni a Gaza e in Israele, dopo l'eliminazione fisica dello sceicco Yassin, capo di Hamas.

Nella stessa pagina è pubblicato un articolo firmato da Ugo Tramballi (inviato a Riad), che riportiamo: "Un mondo dove il denaro non fa politica"

Più ricchi di molti altri arabi, statisticamente perfino più degli israeliani. Questo erano i palestinesi prima della nuova Intifada. I loro 2mila dollari procapite erano il reddito più alto del mondo arabo non petrolifero; la crescita economica dell'Autorità Palestinese, il 25% dal 1996 al 2000, era proporzionalmente più alta di quella israeliana.

Questo rende l'idea del suicidio politico ed economico oltre che devastante in termini di violenza, commesso dall'Anp di Arafat.
In quegli anni prevaleva un senso generale di ottimismo riflettuto dal raddoppiarsi degli investimenti", scrive il Fondo Monetario. Fra 400 e 500 milioni di dollari in aiuti privati e ufficiali affluivano ogni anno nei Territori. Il Tesoro israeliano aveva trasferito 4,7 miliardi di dollari di tasse che spettavano all'Autorità palestinese.
In quella stessa stagione di illusioni Israele diventava un protagonista della new economy mondiale. I 4 miliardi di dollari l'anno ricevuti sotto varie forme dagli Usa erano usati per la Difesa ma anche per integrare l'immigrazione russa e svilupparne le potenzialità. Nonostante un milione di nuovi cittadini, alla vigilia dell'Intifada la disoccupazione era all'8,5 per cento.
Che ne è rimasto di quegli anni e di quel denaro?
Fumo. L'economia palestinese è devastata: l'Intifada ha fatto recedere di 15 anni il livello di vita nei Territori.
E chi ha deciso di riprendere l'Intifada? Non è piovuta dal cielo, è stata una libera scelta da parte di Arafat.

Quanto a Israele, la Banca centrale ha calcolato che un anno di rivolta palestinese costa il 3,8% del Pil nazionale: shekel più, shekel meno, tre anni d'Intifada fanno 22 miliardi di dollari.
Dalla caduta del Muro (prima era sottinteso che si trattasse di quello di Berlino: ora, per il moltiplicarsi di nuovi muri, è bene precisarlo) era l'economia che determinava gli scenari politici: perfino croati, bosniaci e poi anche i serbi, hanno smesso di massacrarsi davanti ai soldi che la comunità internazionale era pronta a spendere nei Balcani.
Forse Tramballi vive sulla luna. A parte il sottile umorismo dettato dal fatto che il nostro non riesce a distinguere un muro costruito per impedire la fuga verso la libertà, l'unico muro della vergogna, quello di Berlino, da una barriera eretta per impedire alle bombe umane, ai fascisti islamici di falciare le vite degli israeliani.
Poi, vorremmo ricordare a Tramballi, che non sono stati i soldi a convincere croati, serbi e bosniaci a smettere di massacrarsi, bensì una guerra, condotta principalmente dagli americani seguiti dall'Europa.
Metodi forti quindi, come quelli che sta usando Israele per difendersi.

Ora sembra essere tornati al vecchio mondo: i mercati asiatici soffrono la paralisi elettorale di Taiwan, quelli europei le bombe di Madrid, il petrolio, il terrorismo globale.
Coerente con le sue tradizioni, il Medio Oriente e in particolare israeliani e palestinesi sono sempre stati impermeabili alle promesse di ricchezza offerte dalla stabilità politica.
Gli unici impermeabili qui, sono i sicari di Arafat, che hanno sempre rifiutato il dialogo, anche quando è stato offerto loro quello che nessun israeliano offrirà mai più in futuro.

Anche Arafat è un uomo coerente: aveva distratto su conti speciali un miliardo di dollari durante gli anni del processo di pace; e lo scorso febbraio, in un anno di guerra, il governo francese ha intercettato un trasferimento di 11 milioni dall'Autorità Palestinese al conto parigino di Suha, la moglie di Arafat.
Briciole, un goccia in mezzo al mare in confronto alla corruzione che imperversa nell'Anp.

Poche regioni del mondo hanno visto passare tanti soldi sotto forma di aiuti economici politicamente motivati, come in Medio Oriente; nessuna ha mai avuto per grazia naturale una ricchezza come quella petrolifera, senza che ne venissero migliorati i fondamenti sociali.
Più del 60% delle riserve mondiali provate giacciono sotto e attorno il Golfo Persico. Israele è forse il caso più evidente nel quale gli aiuti occidentali non riescono a essere uno strumento di pressione politica. Dal 1949 all'anno scorso, gli Usa hanno dato circa 90 miliardi di dollari fra aiuti e crediti agevolati. Ma questo non ha garantito che Ariel Sharon chiedesse il parere Usa prima di far uccidere lo sceicco Yassin: un'azione imbarazzante che interferisce con la lotta americana al terrorismo.
Non ci sono aiuti che tengano di fronte al massacro quasi quotidiano di civili israeliani inermi. O forse Tramballi avrebbe preferito che i governi israeliani avessero incassato rimanendo in silenzio e senza colpo ferire davanti agli eccidi?
Quando si tratta di sicurezza nazionale non è necessario chiedere il parere di nessuno, e la sostanzialmente positiva reazione americana alla eliminazione di Yassin lo ha dimostrato.

Solo una volta, nel 1991, minacciando di congelare le garanzie sui crediti, l'amministrazione di G. Bush senior aveva costretto gli israeliani a fermare gli insediamenti e sedersi al tavolo della conferenza di Madrid.

Fantasie. Quella volta furono gli israeliani a sedersi volontariamente, per l'ennesimo tentativo di dialogo con l'Anp.
Come premio per il contributo alla liberazione del Kuwait, dal 1991 l'Egitto riceve un aiuto militare di 2,2 miliardi di dollari l'anno:allora gli Usa avevano anche cancellato 50 miliardi di debito internazionale egiziano.
Il denaro ha aiutato Mubarak a restare una diga moderata del mondo arabo, ma non ha impedito che il presidente egiziano criticasse l'intervento in Iraq e oggi respinga le richieste americane di riforme. Al contrario Emirati, Qatar, Kuwait che non hanno bisogno di soldi, per ragioni puramente politiche sono i più stretti alleati nella regione. "Perchè stiamo mandando i nostri soldi a quei ragazzi?" si chiedeva il mese scorso un articolo nel sito del Partito repubblicano.
Americani ed europei avevano stabilito una divisione del lavoro in Medio Oriente: i primi facevano quello politico, finanziando direttamente i paesi più critici e impegnando la forza militare per garantire stabilità; l'Europa quello più economico, gestendo le ricostruzioni come in Palestina e creando le strutture per l'integrazione dei mercati: lo strumento più importante è l'Iniziativa euro-mediterranea che dal 1995 garantisce un aiuto di 8,8 miliardi in 15 anni a 12 paesi arabi, non paragonabili ai contributi Usa, ma offre un'area di libero scambio entro il 2010.
Dopo l'11 settembre la collaborazione transatlantica è diventata meno chiara.
Soprattutto l'anno scorso, quando al vertice giordano del World Economic Forum gli americani sono entrati in competizione diretta con l'Europa, offrendo a 22 paesi della regione una loro zona di libero scambio entro il 2014.
Nessuno s'illude che i tempi e gli obiettivi fissati dagli europei nè quelli americani saranno rispettati. Gli occidentali hanno idee sempre più diverse e gli arabi sono troppo divisi per vedere a quale punto del nostro comune orizzonte si stabilizzerà il Medio Oriente."
Anche se l'articolo, a tratti, descrive la situazione in generale del Medio Oriente, quando l'attenzione di Tramballi si focalizza su Israele, ecco uscire luoghi comuni e propaganda a raffica.


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