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Il Foglio Rassegna Stampa
26.03.2004 Chirac, Schroeder , Zapatero: state sbagliando
parola di leader arabo discendente diretto del profeta

Testata: Il Foglio
Data: 26 marzo 2004
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Abdallah di Giordania dimostra che la linea Zapatero è sbagliata»
Sul Foglio di oggi Carlo Panella ci informa a proposito della posizione di re Abdallah di Giordania, il quale mette in guardia dai pericoli del Zapaterismo. Ecco il pezzo.

Inascoltato, da tempo re Abdallah II di Giordania spiega alla "vecchia Europa"
che la "linea Zapatero" – come quella Chirac- Schroeder – sull’Iraq si basa su analisi della situazione mediorientale prive di fondamento. "Per la maggioranza degli iracheni il cambio di regime e la possibilità di decidere il proprio futuro sono elementi positivi, il presente è oscuro, ma futuro è promettente". Soprattutto Abdallah sostiene – lo ha fatto in una recente intervista ad Antonio Ferrari sul Corriere della Sera – che non è vero che la strategia del terroristi islamici sia di colpire innanzitutto l’Occidente: "Il loro obiettivo non la distruzione dell’Occidente, ma la distruzione dell’Islam moderato, per prendere potere nei paesi arabi; l’Europa è un obiettivo secondario: indebolendola si vuole condizionare il futuro del mondo musulmano all’interno della comunità internazionale". Abdallah ritiene così che non sia relazione meccanica tra la presenza di contingenti militari in Iraq e la possibilità di divenire bersaglio di attentati: "Non legherei il problema della presenza o meno di soldati in Iraq e la possibilità di essere presi di mira da terroristi. Direi che questa è solo parte di un quadro più ampio, legato a una lotta all’interno dell’Islam, con gli estremisti che cercano di creare conflitti tra Oriente e Occidente e guerre interreligiose". Giudizi che ribaltano radicalmente
le analisi di Parigi, Berlino, di Prodi, di Zapatero e che sono ascoltate in Europa solo dai governi inglese, italiano e da Aznar. punto di vista di Abdallah è fondamentale perché è proprio lui oggi uno dei principali obiettivi dei terroristi islamici; perché porta il nome del bisnonno, ucciso nel 1950
da un sicario del Gran Muftì di Gerusalemme (che aveva le stesse idee dello sheikh Yassin), leader filonazista dei palestinesi dal 1920 al 1948, per impedire che siglasse un accordo di pace con Israele mediato da Golda Meir; perché la Giordania ha partecipato attivamente (anche se in maniera coperta) alla guerra in Iraq ospitando le truppe speciali inglesi che hanno conquistato
nelle prime ore di guerra le basi H2 e H3 in territorio iracheno (le vitali centrali degli oleodotti); perché oggi – unico tra i leader arabi – collabora apertamente con le forze anglo-americane in Iraq (Amman istruisce 35 mila poliziotti e migliaia di militari iracheni); perché nell’Economic World Forum di Amman, a giugno, ha invitato gli imprenditori israeliani a investire in Iraq, in vista della formazione di una grande area di mercato integrato Israele-Palestina-Giordania-Turchia-Iraq; perché è un tenace propugnatore della necessità di immediate riforme democratiche nei paesi arabi, a iniziare dal suo; perché infine è l’unico leader arabo che sappia avere rapporti franchi e duri (polemicissimo sulla "barriera di difesa", critico sul piano di ritiro unilaterale da Gaza), ma di reciproca fiducia, con il governo di Israele (il 19 marzo ha incontrato Ariel Sharon nel suo ranch nel Negev). Re Abdallah di Giordania (come suo padre, re Hussein, come il bisnonno Abdallah, come il trisavolo Feisal I alleato degli inglesi e amico di Lawrence d’Arabia) ha una posizione coraggiosa e netta. Abdallah, soprattutto, avverte l’Europa che è sbagliata un’analisi del terrorismo islamico come "risposta agli errori e alle colpe dell’Occidente", che esso è invece espressione di un sommovimento politicoreligioso interno all’Islam (un vero e proprio scisma) e che come tale va affrontato. Questa posizione, maturata in un paese che ha una forte presenza di fondamentalisti islamici (con i Fratelli musulmani), a stento tenuta a bada, porta oggi Abdallah ad assumere una posizione di leadership nel mondo arabo perché costruisca una risposta al terrorismo, basata su un proprio, forte impegno riformista. Nel disinteresse della "vecchia Europa" – ma non dell’Inghilterra e dell’Italia – Abdallah (in un regno che mai ha conosciuto democrazia reale) tenta così di portare i recalcitranti leader arabi ad avviare
un processo di modifiche democratiche. Non si turba per le offese di chi – come
il temporeggiatore Mubarak – lo accusa di farsi imporre le riforme da Bush e intende lanciare nel vertice arabo di Tunisi di fine marzo la sua sfida riformista. L’Amministrazione Bush ha colto in pieno la possibilità di costruire una sponda in Giordania per avviare quel processo di lenta democratizzazione contenuto nella Great East Iniziative (a partire dall’istruzione popolare, dai diritti delle donne e dalla democratizzazione dei media), che considera il secondo stadio dell’intervento in Iraq. Da tempo la Giordania gode di un trattamento di favore di "libero scambio", senza dazi doganali, con le merci americane e proprio due giorni fa l’Amministrazione Bush ha stanziato 138,5 milioni di dollari di finanziamento, che portano gli aiuti economici dell’ultimo decennio a ben 2,3 miliardi di dollari.
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