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La Stampa Rassegna Stampa
25.03.2004 Ragazzini pronti per esplodere e uccidere
e hanno il coraggio di chiamarla liberazione

Testata: La Stampa
Data: 25 marzo 2004
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La cultura dei kamikaze bambini»
Riportiamo dalla prima pagina de La Stampa l'articolo di Fiamma Nirenstein, a commento dei moltissimi articoli che stamattina hanno riportato il caso del ragazzino scoperto in tempo prima che si facesse esplodere.
Quel bambino con la cintura di tritolo e la faccia disperata ci ha agghiacciato. Eppure non è un caso isolato: a ciò conduce la nuova ideologia totalitaria del terrorismo. Perché il terrorismo, come il totalitarismo, non conosce limiti di sorta, i bambini altrui come i propri non sono protetti dalla santità del diritto alla vita, l’intera società diventa un campo di battaglia, anche i bambini sono pedine.
Hussam Abdu, fermato al check point di Hawara proprio dove un altro bambino di dieci anni con un carrettino pieno di esplosivo era stato fermato la settimana scorsa, suscita pena e dolore: la sua mamma malata, i cento shekel (20 euro) di compenso, le condizioni generali dei palestinesi dall’inizio dell’Intifada... si stringe il cuore per questa umanità mal guidata la cui vita brucia nella fiammata del conflitto. Ma lo strazio non dà assolutamente il diritto di immaginare che il ragazzo sia solo un caso umano, e che come tale vada compatito: dall’inizio dell’Intifada sono 29 i terroristi suicidi sotto i 18 anni, 22 che hanno compiuto agguati sacrificali, migliaia le staffette e i portatori di tritolo e armi varie, gli esploratori lungo i recinti di Gaza, migliaia quelli usati come scudi umani durante gli scontri o da leader braccati.
L’uso dello «shahid» bambino è un contrassegno dell’Intifada, punteggia i discorsi ufficiali di Arafat che ha addirittura esclamato durante un raduno di scolari che niente ci può essere di meglio di un «martire» ragazzo, è oggetto di lodi sui libri scolastici, alla tv e alle radio ufficiali.
Videoclip televisivi cantati mostrano a ripetizione bambini felici in Paradiso dopo essersi immolati; altri bambini che gettano i giocattoli per raccogliere un sasso e correre sul campo di battaglia; altri che scrivono lettere: «Non essere triste caro padre e non piangere per me» dice un videoclip molto popolare, in cui il bambino si vede mentre un attore-soldato israeliano lo uccide «mi sacrifico per il mio paese con determinazione e desiderio». «La shahada, il martirio - dice in un talk show una bambina di 11 anni - tutti desideriamo la shahada... che cosa può essere meglio di andare in Paradiso...». Gli esempi di questa cultura della morte sono sui muri e nelle espressioni di gioia delle madri i cui figli si fanno terroristi.
Il piccolo Hussam è stato spinto da un’alta ondata di considerazione sociale sulla strada del tritolo. Possiamo finalmente chiedere, noi europei che abbiamo finanziato largamente tv e libri palestinesi, che a questo si ponga fine?
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