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La Stampa Rassegna Stampa
21.03.2004 Sull'Iraq qualcuno mente
Ma non è in USA. E'in Europa

Testata: La Stampa
Data: 21 marzo 2004
Pagina: 7
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L’America che è certa di avere vinto»
Dopo l'editoriale di ieri di Enzo Bettiza (del quale raccomandiamo vivamente la lettura, si veda IC di ieri 20 marzo), La Stampa pubblica oggi una corrispondenza da Washington di Fiamma Nirenstein. Attraverso una serie di interviste ne esce un ritratto dell'America del coraggio, che ha la certezza di aver combattuto e di combattere in Iraq per la democrazia e la difesa di tutto l'occidente. Qualcuno dirà che l'articolo non segue il filo della corrente comune della politica europea. Bene, diciamo noi. Sono questi i valori che ci servono per sconfiggere il terrorismo islamista. E pure quello pacifista di casa nostra, null'altro che l'anticamera del primo. E bene fa Fiamma Nirenstein a raccontarcelo.
Ecco l'articolo:

«Economia, politica, diritti umani: a Baghdad un mondo nuovo»

WASHINGTON
EPPURE c’è qualcuno per cui quell’immagine della statua staliniana di Saddam che precipita nel vuoto e si infrange sradicata dagli americani fra le acclamazioni della folla, non ha niente di controverso. «Quando si leggono i giornali o si guarda la televisione si ricava un’impressione disastrosa: il Far West del terrorismo. Ma, a un anno di distanza, la realtà non è quella: è completamente diversa». Incontriamo a Washington Rend Rahim, un’elegante signora bruna che dopo essere stata per anni della Fondazione Iraq per la democrazia e i diritti umani è la rappresentante ufficiale, ovvero l’ambasciatore, del Consiglio governativo iracheno presso gli Usa. Meglio di ogni altro, insieme a un gruppo di esperti americani riunitisi all’«American Enterprise Institute» per discutere di «Iraq un anno dopo» Rend Rahim rappresenta l’opinione positiva, ovvero che la liberazione dell’Iraq da Saddam per mano della coalizione abbia fondamentalmente funzionato bene: «Ultimamente ho trascorso sette mesi a Baghdad e ho visitato il resto del Paese: ho visto una nazione fragile e ferita, certo, ma anche un’incredibile rinascita democratica dopo venticinque anni di oppressione, violenze, uccisioni di centinaia di migliaia di cittadini. I 25 milioni di iracheni sono sostanzialmente grati di essere stati liberati e vivono una nuova vita: le scuole, gli uffici, i ristoranti, il mercato, l’informazione, i consigli locali, centinaia di giornali, televisioni, funzionano. Sono stata fuori la notte vedendo che finalmente la gente può uscire fino a tardi come in una nazione normale, i tetti fioriscono di antenne satellitari, si può guardare di tutto, mettersi in contatto con chiunque, comprarsi un telefonino... e soprattutto il progetto di costituzione garantisce a ogni componente etnica e religiosa i suoi diritti, e questo è un fatto totalmente inusitato: nessuno ha avuto cento, nessuno ha avuto zero. Tutti hanno visto e rispettato i loro diritti e io amo particolarmente quella lunga sezione, che non osavo neppure sognare, in cui si garantiscono i diritti umani e civili di ogni cittadino. Il mondo dovrebbe finalmente capire che questo è meraviglioso non solo per gli iracheni, ma per tutti coloro che amano la libertà».Eppure il terrorismo ripete ogni giorno la sua strage, la guerra in quanto guerra contro il terrore non ha funzionato: anzi, nel mondo intero i terroristi rivendicano le loro azioni in nome della guerra all’occupazione americana. Richard Perle, forse il maggior ideologo della guerra in Iraq come guerra contro il terrorismo, ispiratore e consigliere del presidente Bush, risponde spazientito e preoccupato per il fatto che non si capisca cosa accade laggiù effettivamente: «Innanzitutto non è vero affatto che il terrorismo nel mondo sia aumentato, e tanto meno che i terroristi agiscono di conseguenza alla politica americana. Ai tempi del presidente Clinton, il più pacifista di tutti i presidenti, mentre l’impegno Usa era tutto sul processo di pace, Al Qaeda stava preparando l’attacco alle Twin Towers e in tutto il mondo scoppiavano le bombe. Quanto alla perdita di vite umane in Iraq, è certo una tragedia: i soldati americani sono eroici nella loro difesa della libertà in una situazione tanto difficile; ma la perdita di vite umane oggi è infinitesimale rispetto a quella inflitta da Saddam al suo popolo (si parla di 300-400 mila assassinati) e anche di quella che possono infliggere i terroristi al mondo se lasciati liberi di agire. Per identificare i terroristi in Iraq bisogna pensare che vi sono migliaia di carnefici e torturatori a suo tempo incaricati da Saddam Hussein, residui del regime, che temono l’avvento dei processi per crimini contro l’umanità; oppure, i terroristi islamici che lottano per il dominio del mondo finanziati dagli Stati vicini terrorizzati dall’avvento di una democrazia in Medio Oriente. Essi temono per se stessi. Gli altri vogliono conquistare il mondo. La scelta è: combattere questa inevitabile ondata di aggressività letale, o restarne succubi?».
Chi difende la guerra in Iraq, non si lascia respingere dal fatto che non si sono trovate le armi di distruzione di massa: «Le informazioni degli ispettori dell’Onu erano e restano il punto di riferimento; e Saddam non ha permesso le ispezioni; niente ancora ci dice che tali armi non debbano essere ritrovate», sostiene Perle, che si indigna alquanto quando si insinua che qualcuno, per esempio il Consiglio Nazionale iracheno, possa aver gonfiato a dismisura le notizie sulle armi nascoste: «E’ orribile e assurdo pensarlo, e dimostra anche molta ignoranza del modo in cui funzionano i servizi di intelligence: fa parte della campagna di discredito che copre la verità di grandi progressi in Iraq e nella guerra contro il terrore». E la terribile miseria? «Si è mai visto in un mese che si possa eliminare il risultato di venticinque anni di corruzione e di rapina?». Comunque i dati parlano una lingua piuttosto chiara, dice Danielle Pletka, la vicedirettrice dell’American Enterprise citando una ricerca condotta dall’istituto: l’elettricità dal maggio 2003 ha raggiunto adesso il picco assoluto di consumo settimanale, i telefoni e i cellulari si comprano con facilità, si stanno distribuendo 500 mila opuscoli che spiegano le linee della nuova Costituzione democratica, l’Organizzazione per il Commercio Mondiale ha conferito all’Iraq lo stato di osservatore, la televisione di Stato Al-Iraqiyah sta per mandare in onda una produzione locale intitolata «Fosse comuni»... «Tutto sta andando relativa bene - sostiene uno studioso che da anni percorre il Medio Oriente e l’Asia Centrale, Reuel Marc Gerecht -. Non c’è guerra civile, la gente lavora e seguita anche ad arruolarsi nelle forze di polizia e militare, l’Arabia Saudita, l’Iran e la Siria avrebbero potuto intervenire molto più pesantemente...». «In una visione strategica di lunga gittata - sostiene Thomas Donelly, direttore del Comitato per la sicurezza nazionale americana dal ‘95 al ‘99 - questo è il cambiamento di gran lunga migliore e più promettente per un assetto strategico pacifico, utile a tutto il mondo: ha già condotto alla rinuncia di Gheddafi alle armi di distruzione di massa e a un atteggiamento più meditato e attento da parte del mondo arabo. L’Iraq potrà partecipare alla prossima riunione della Lega Araba da cui all’inizio lo si voleva escludere a tutti i costi. Non è un mutamento fondamentale e interessante, questo seme di democrazia impiantato nel mondo arabo?».

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