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Europa Rassegna Stampa
14.03.2004 I cristiani se ne vanno dalla "terra santa"
e il quotidiano di Rutelli la spaccia per Israele

Testata: Europa
Data: 14 marzo 2004
Pagina: 10
Autore: Aldo Maria Valli
Titolo: «Cristiani in Terra Santa: una denuncia e un grido di dolore»
Su Europa di domenica 14 marzo 2004, viene pubblicato un articolo sui rapporti tra Israele e Vaticano e sulla situazione dei cattolici in "terra santa". Aldo Maria Valli nel suo articolo pone l'accento sulle presunte mancanze di Israele nei rapporti bilaterali, che consisterebbero nel non aver ancora trasformato l'accordo fondamentale in legge; un ritardo che danneggia il personale ecclesiastico. Nulla viene detto invece a proposito del ritardo con il quale il Vaticano ha riconosciuto lo Stato di Israele (nel 1994, 46 anni dopo!) che non pochi danni ha provocato all'immagine internazionale di Israele. Sarebbe doveroso ricordarlo, anche perchè quel riconoscimento avvenne all'indomani della prima guerra del golfo nella quale il Vaticano si schierò contro l'intervento alleato,a fianco di Saddam Hussein, errore che la Santa Sede "pagò" sul piano dell'immagine inghiottendo l'intero boccone del riconoscimento giuridico di Israele. Solo così fu riammessa nel consesso internazionale. Può dispiacere il riconoscerlo, ma non c'è altra spiegazione.
Ecco la prima parte dell'articolo:

«Delusione, sconcerto e crescente preoccupazione». In questo modo l’agenzia Asianews, del Pontificio istituto missioni estere, definisce i sentimenti della Chiesa cattolica a proposito dei rapporti con lo stato di Israele. A dieci anni esatti dall’entrata in vigore dell’Accordo fondamentale tra la Santa Sede e il governo israeliano, il quadro tracciato è a tinte fosche, e le responsabilità vengono indicate senza mezzi termini.
Dieci anni fa, spiega il padre francescano David Maria Jaeger, massimo esperto in materia di accordi tra Santa Sede e Israele, «la Chiesa cattolica ha fatto un passo storico coraggioso e lungimirante nell’accettare di normalizzare i suoi rapporti ufficiali con lo stato di Israele. In cambio aveva ricevuto la promessa di normalizzare la posizione giuridica della Chiesa nel territorio dello stato, ma adesso Israele deve avere il coraggio di tornare al tavolo delle trattative» dopo una rottura definita «inspiegabile».
Lo stato di Israele, spiega l’agenzia missionaria, non ha mai trasformato l’accordo fondamentale in legge, per questo i tribunali israeliani sostengono di non conoscerlo. Lo stesso vale per l’accordo sul riconoscimento civile delle persone giuridiche ecclesiastiche, stipulato sette anni fa ma mai tradotto in legge dalle autorità israeliane.
«Ma il fatto più grave – denuncia l’agenzia- è che il 28 agosto 2003 Israele ha ritirato del tutto la propria delegazione ai negoziati con la Santa Sede, mentre erano in corso i negoziati per raggiungere l’importantissimo accordo sulla salvaguardia delle proprietà ecclesiastiche e sulle esenzioni fiscali».
In mancanza di norme certe, per i rappresentanti della Chiesa cattolica che operano in Israele crescono le difficoltà. All’interno di un quadro complessivo di per sì drammatico, e che vede la continua diminuzione della presenza cristiana, in assenza del riconoscimento statale delle esenzioni statali le istituzioni cattoliche, come l’ospedale San Giuseppe di Gerusalemme, «si vedono trascinate davanti ai tribunali», mentre membri del personale ecclesiastico non ricevono i visti di ingresso e di soggiorno.
«L’ansia per il futuro –scrive ancora l’agenzia- è aggravata dal rigoroso silenzio mantenuto dal governo circa le motivazioni della rottura e per la coincidenza di questa con l’aggravarsi di diversi problemi quotidiani», tra i quali «l’invasione militare di alcuni conventi» per costruirvi pezzi del muro di separazione.
Dichiara padre Jaeger_ «Occorre che lo stato di Israele capisca l’assoluto obbligo giuridico di ritornare al tavolo del negoziato. L’impegno di farlo è inserito in un solenne trattato internazionale firmato e ratificato dallo stato di Israele. Le regole nei rapporti Chiesa-stato interessano lo stato non meno che la Chiesa: se lo stato vuole che si rispettino le regole non deve mostrarsi inadempiente: Israele non può prolungare ancora molto il suo assentarsi dai negoziati».
Nonostante nella prima parte dell'articolo Valli sostenga che il mancato riconoscimento di alcuni aspetti giuridici rechi "danno" alla chiesa, di fatto accusa Israele dell' "esodo forzato" dei cristiani dalla "terra santa". Si pensa ovviamente agli arabi cristiani che debbono andarsene da Israele,invece Valli non chiarisce ma si smentisce poco dopo. Infatti riporta l'opinione di suor Ileana che spiega che i cristiani hanno molte difficoltà e i musulmani oltre a crearne ne approfittano. Al di là dei cavilli è importante sottolinere quest' ultimo aspetto: i cristiani se ne vanno poichè c'è chi non li vuole e ne agevola "l'esodo", e gli israeliani non c'entrano nulla, non il contario come Valli vuole far credere. E' dalla autorità palestinese che se ne vanno i cristiani (arabi), non da Israele.
Ma EUROPA, titolando come ha fatto, lascia credere ai suoi lettori che è Israele (spacciata per "terra santa")a cacciare i cristiani.
Al posto di De Mita c'è Rutelli, al posto del POPOLO c'è EUROPA, ma le vecchie abitudini non muoiono. Leggere la parte conclusiva dell'articolo:

Accanto a questa denuncia l’agenzia missionaria propone quella, proveniente dal territorio palestinese, di suor Ileana Benetello, che presta servizio nel Baby Caritas Hospital di Betlemme, ospedale psichiatrico cattolico per i bambini poveri della regione: «Tanti cristiani –dice suor Ileana- stanno emigrando. A loro vengono dati facilmente i permessi di espatrio. Ad esempio nel 2003 da Betlemme se ne sono andati più di un migliaio di cristiani», cioè il 10 per cento dei circa 10mila presenti. «I cristiani sono compressi fra musulmani ed ebrei, e soffrono più di tutti perché sono deboli. I cristiani che emigrano non vendono la casa ad altri cristiani, che non hanno possibilità economiche. Allora si fanno avanti i musulmani che, aiutati dai paesi arabi, comprano facilmente case e terre». Demograficamente in difficoltà, i cristiani sono penalizzati anche dal sistema scolastico. Possono frequentare scuole cattoliche solo grazie alle offerte dall’estero e alle adozioni a distanza. Altrimenti devono andare in quelle pubbliche, «imbevute di islamismo».
Se a tutto questo si aggiunge il problema del lavoro (così grave che, per trovarlo, «gli stessi palestinesi si prestano alla costruzione di insediamenti ebraici e all’erezione del muro»), la situazione appare disperata. «In tutti questi anni difficili –dice suor Ileana- ho capito l’importanza di Gesù: è lui che mi fa andare avanti». Ma fino a quando i cristiani potranno sopravviver così?
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