E' colpa di Israele capro espiatorio per eccellenza per Igor Man(zella)
Testata: La Stampa Data: 15 marzo 2004 Pagina: 1 Autore: Igor Man Titolo: «Oltre l'ombra dell'Islam»
Lo aspettavamo e puntualmente si è presentato. Igor Man(zella), smagliante più che mai, oggi prova a propinare una delle sue raffinate analisi sull' Islam e sul medio oriente. Man(zella) riconosce che vi sia in atto uno scontro di civiltà tra Islam radicale e Occidente, tuttavia, tra dotte citazioni e linguaggio aulico, punta il dito accusatorio su Israele,la cui presenza nell'area provoca il risentimento delle masse arabe e dà origine al rifiuto dell' Occidente. Israele oltre a creare l'irrisolvibile questione palestinese secondo Man(zella), danneggia chi nell'Islam ha una visione moderata poichè si trova in ritardo rispetto a quel mostro che, pur trovandosi nella stessa area geografica,ne detiene il primato scientifico e bellico. Logica conseguenza di tutto ciò sta nella risposta che l'Islam radicale offre,a cui le masse arabe progressivamente si rivolgono. Cercare un capro espiatorio fa sempre comodo, aiuta a non pensare alle proprie manchevolezze. Igor Man(zella) lo ha trovato da molti anni, Israele. Pubblichiamo il suo articolo: dopo averlo letto si prega di inviare e-mail alla Stampa. La probabile complicità islamica nel massacro a ridosso delle elezioni spagnuole, col risultato a sorpresa che sappiamo, questa mistura di angoscia e di paura: l’Angst diagnosticata da Heidegger, insomma la sindrome di Madrid vieta all’Europa - vecchia e nuova - la (beata) speranza di un sereno progresso nel segno della democrazia del benessere? Non è facile rispondere. E’ certo, però, che la sconfitta di Aznar non significa che abbia vinto al Qaeda: poiché la Spagna profonda ha dimostrato con l’esercizio del voto di credere nella democrazia, nell’uomo mortificando l’ambiguità di Aznar. E’ un momento infausto questo che stiamo vivendo: il famoso «scontro di civiltà» sempre negato per scaramanticamente esorcizzarlo, cresciuto nel brodo di coltura della irrisolta (o irrisolvibile) questione palestinese, non è una teoria bensì una realtà della quale è d’obbligo prendere atto. Senza isterismi, lucidamente. Codesto «scontro» sembrerebbe aver per protagonisti il cosiddetto mondo occidentale e l’islàm. Sembrerebbe poiché, in fatto, l’islàm è un universo culturale a sua volta tormentato da uno scontro interno fra (per semplificare) radicali e moderati, tra conservatori e modernisti. Nel mondo islamico, in quello arabo in particolare, oggi come nella metà del secolo XIX quando nell’area mediterranea l’imperialismo occidentale era al suo apogeo, si scontrano due correnti di pensiero. Una prospetta l’urgenza di recuperare il (favoloso) passato mediante una sorta di controcrociata senza misericordia, l’altra di modernizzarsi «tenendo in una mano il Corano, nell’altra il computer», come ebbe a dirmi Hassan II. L’idea modernista provocò nel mondo islamico quel riformismo, mutuato da Atatürk che ha ispirato i vari Nasser, Ben Bella, Burghiba, i dirigenti del Baas e dell’Olp. Ma al principio degli Anni 70 i risultati più evidenti dell’opzione laico-modernista sono il neocolonialismo economico, l’alienazione culturale, l’urbanizzazione selvaggia, la corruzione dei leaders. Di più: come osserva l’islamista Patrick Arfi, i popoli arabi, traumatizzati dal primato bellico e scientifico di Israele, han finito col credere agli ulema pei quali le disfatte son dipese dalla incapacità delle ideologie laiche di realizzare le aspirazioni degli strati popolari. Il malcontento irrobustito da un senso di colpa collettivo, si rifugia nella moschea e i radicali lo cristallizzano nell'islàm della rivincita. Khomeini, con la sua rivoluzione, assesta il colpo finale catalizzando il purismo islamico nel martirio. Il Corano, egli spiega, considera il suicidio peccato mortale ma quando ci si immola per uccidere il nemico di Dio, si diventa martiri destinati al Paradiso. Di conseguenza, la religione diventa «l’anelito della creatura oppressa dall’infelicità, l’anima di un mondo senza cuore e lo spirito di un mondo senza più spirito». A scriverlo non è stato Giovanni Paolo, né Khomeini bensì Carlo Marx. La sindrome di Madrid prevede un futuro prossimo gonfio di pericoli. A dar retta alle videocassette di Osama, non ci sarà tregua, l’islàm ci farà scontare persino colpe antiche come le crociate e attuali come la guerra all’Iraq. Siamo dunque destinati a combattere una «guerra irregolare», poiché sai o credi di sapere chi sia il nemico ma non esiste un fronte dove combatterlo. L’Europa non può fare la guerra a Osama né esorcizzare, negandolo, lo scontro in atto fra la civiltà occidentale e la controciviltà pseudoislamica. Tuttavia esiste un’arma con cui difendersi: il dialogo. Occorre parlare - «per spiegarsi» - con l’islàm vero, non quello deformato con blasfema presunzione dallo Sceicco della Morte e dai suoi scherani semi analfabeti. Il dialogo, ostinato, ragionato, onesto: ecco l’arma contro la cultura della morte dei falsi profeti cresciuti a pane e sangue. «Nei tempi oscuri ci sarà ancora il canto?». Sì, dice Brecht, «ci sarà il canto che parlerà dei tempi oscuri».
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